in Italia 8 dipendenti su 10 hanno un lavoro a tempo indeterminato – .

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Milano, 27 aprile 2024 – La mancanza di lavoro sembra ormai un lontano ricordo per vaste aree del Paese. Quello attuale è un attimo particolarmente positivo per il nostro mercato del lavoro. Sia per il record storico degli occupati, sia per l’aumento del numero di coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato e, infine, anche per l’aumento, soprattutto nell’ultimo anno, del personale con elevati livelli di qualifica.

Storico degli occupati

Nel 2023, infatti, aumenterà il numero degli occupati in Italia ha raggiunto i 23,6 milioni di unità, 471mila in più rispetto al periodo pre-Covid, di cui 213mila hanno interessato il Sud che è stata la distribuzione geografica che ha registrato il maggior incremento percentuale del Paese (+3,5 per cento). Inoltre, le previsioni ci dicono che lo stock complessivo di occupati è destinato a crescere ulteriormente, raggiungendo i 24 milioni di lavoratori entro il 2025.

L’84% dei dipendenti ha un contratto a tempo indeterminato

Anche l’anno scorso abbiamo raggiunto un’incidenza diL’84 per cento di coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato (15,57 milioni su 18,54 milioni) sul totale dei dipendenti. Se confrontiamo il numero dei dipendenti a tempo indeterminato nel 2023 con gli stessi dati del periodo pre-pandemia, l’incremento è stato di 742mila unità (+5%).

È sempre più richiesto personale qualificato

Infine, il numero di sono aumentati i lavoratori altamente specializzati/qualificati nell’ultimo anno del 5,8% (+464mila), pari al 96,5% dei nuovi posti di lavoro creati nel 2023; mentre rispetto al 2019 la variazione resta positiva (+2,3%), ma più contenuta rispetto all’anno precedente (+192mila) con un’incidenza del 40,7% sui nuovi posti di lavoro creati negli ultimi quattro anni.

Rimangono ancora molte criticità

Nonostante possiamo contare su questi risultati di notevole importanza, ci sono ancora alcune criticità che facciamo fatica a superare. Il principale rimane il basso tasso di occupazione; tra i 20 Paesi dell’Area Euro, Fanalino di coda l’Italia con un “misero” 61,5%., rispetto a una media dell’Eurozona del 70,1%. Non va trascurato anche il trend registrato dai lavoratori autonomi; rispetto al 2019 sono diminuiti di 223mila unità (-4,2%), nonostante nell’ultimo anno si sia registrato un leggero segnale di ripresa pari a +62mila unità (+1,3%). Senza contare che, purtroppo, storicamente abbiamo livelli salariali mediamente più bassi rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, a causa di un livello di produttività del lavoro molto basso, di un tasso di NEET molto alto e di un tasso di occupazione femminile inferiore a quello di tutti i paesi dell’Unione Europea. Europa. Sono alcuni flash sul mercato del lavoro italiano ripresi dall’Ufficio studi della CGIA.

Rispetto al periodo pre-Covid l’occupazione è cresciuta soprattutto al Sud

Negli ultimi anni a livello territoriale ci sono le regioni del Sud essersi registrato gli incrementi occupazionali più significativi. Rispetto al 2019 La Puglia ha registrato un notevole +6,3%. (+77mila unità), seguono Liguria e Sicilia entrambe con +5,2 per cento (la prima con +31mila unità e la seconda con +69mila), Campania con +3,6 per cento (+58mila unità) e Basilicata con +3,5 per cento (+7mila unità).

A livello provinciale, invece, sì Lecce con +16,5%. (+36.500 unità) ad aver realizzato l’incremento percentuale più significativo del Paese rispetto al periodo pre-pandemia. Seguono Benevento con +12,4% (+10mila unità), Enna con +11,2% (+4.800 unità), Frosinone con +10,9% (+16.600 unità) e Ragusa con +9,4% (+10mila unità). Non tutto il Mezzogiorno, però, ha potuto contare su risultati positivi.

Tra gli ultimi posti nella graduatoria provinciale vediamo altre realtà del Mezzogiorno: in particolare il Sud Sardegna e Siracusa dove la contrazione occupazionale è stata del -4,3 per cento per entrambe (la prima con -4.900 unità e la seconda con -5mila), Caltanissetta con -5,2 per cento (-3.400 unità), Sassari con -6,8 per cento (-12.600 unità) e, infine, chiude la classifica la provincia marchigiana di Fermo con -7,9 per cento (-6mila unità).

 
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