un insieme di destini tramandati come l’Odissea – .

C’è un motivo per cui il 4 maggio è la Giornata Mondiale del Calcio, scelta dalla FIFA per ricordare gli Invincibili, e perché tutti amano il Grande Torino. Basterebbe questo per illustrare la grandezza di una squadra che unisce i tifosi senza distinzioni né discussioni: cosa rara in un mondo dove siamo divisi su tutto e dove la memoria raramente viene rispettata, ma il ricordo della tragedia di Superga è ancora vivo dopo il 75. anni e questo può essere spiegato solo dalla mistica. Sono ormai in pochi a poter dire di aver visto giocare quei ragazzi, eppure ogni 4 maggio migliaia di persone si recano in pellegrinaggio per rendergli omaggio. C’è sicuramente un profondo senso di appartenenza, a maggior ragione per una squadra immortale che non poteva declinare in campo, ma qui si va oltre. Per gli italiani il Grande Torino fu una speranza di rinascita dopo il dolore della Seconda Guerra Mondiale e poi giocò un calcio mai visto prima, grazie all’opera di quel genio assoluto di Erno Egri Erbstein. All’epoca era la squadra più tifata e oggi fa impressione trovare tifosi granata in giro per l’Italia perché il nonno o il padre amavano il Grande Torino. Magari senza averlo mai visto dal vivo, tanto meno in televisione che ancora non esisteva, ma con la trasmissione orale del mito. Come l’Odissea e chi arriva a Torino vede quella collina: impossibile distogliere lo sguardo da laggiù e non pensare a quanto accaduto il 4 maggio 1949. Probabilmente pioverà anche quest’anno, come da tradizione, e questo messaggio che arriva da Sky vale più di mille pensieri.

Ho avuto la fortuna e l’onore di poter raccontare la storia del Grande Torino, girando le scene della serie “Storie di campioni” di Sky Sport in una Filadelfia ancora da ristrutturare. Quel prato era un santuario e lavoravamo di notte perché sembrava un castello scozzese, altrimenti era un rudere. Nell’ultima scena, girata alle 5 del mattino, mi è successa una cosa che non mi era mai accaduta: ho cominciato a piangere dall’emozione. Non un occhio bagnato, ma solo lacrime copiose che mi hanno costretto a rifare tutto, quando già stava per fare l’alba e il tempo stringeva tra le imprecazioni dei tecnici. Avevo qualcosa dentro che non si fermava perché pensavo che se il destino ti ha dato il dono di innamorarti di una squadra come il Torino, allora avrai la ragionevole certezza che quel tuo amore non sarà mai turbato dalla monotonia. Ma da ogni altra possibile condizione dell’anima, inevitabilmente, sì.

Il Grande Torino non è una storia, ma un insieme di destini. Da Kubala che stava per firmare con i Granata e doveva prendere quell’aereo per Lisbona a Franco Ossola che voleva restare a Torino, ma se n’è andato comunque su insistenza della moglie incinta. Dal presidente Novo che ha saltato il viaggio causa febbre al fratello di Ballarin che invece è partito come se fosse un viaggio premio. La cosa che però mi ha colpito di più è stato Valerio Bacigalupo che nel portafoglio teneva una foto di Sentimenti, l’amico-rivale che non lo fece giocare in Nazionale. Oggi una storia così non sarebbe possibile, forse nemmeno immaginabile, come vedere Giampiero Boniperti con la maglia del Toro sfidare il River Plate in un’amichevole dopo la tragedia, perché gli argentini volevano onorare il Grande Torino. Ecco perché questa squadra non va dimenticata, ma onorata e amata. Adesso e per sempre.

 
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