Un padre disperato quello di Marco Manfrinati, l’uomo che lunedì ha ucciso l’ex suocero Fabio Limido in via Menotti a Varese e ferito gravemente la moglie Lavinia Limido. Ma oltre al dolore, il clima in via Val Gardena a Busto Arsizio è teso, probabilmente per i dissidi tra le due famiglie.
«L’avvocato non ha ancora i documenti, ma se le cose andassero così mio figlio pagherà», queste le prime parole del padre di Manfrinati, che hanno preceduto uno sfogo, una ricerca di risposte a un’unica domanda: perché?
«Marta non ha fatto conoscere il bambino a mio figlio, l’ho rivisto dopo 11 mesi – racconta – forse Marco era stanco della situazione e poteva scoppiare l’esasperazione di una persona che non vede suo figlio da mesi. Non hanno risposto nemmeno agli avvocati”.
E secondo le parole dell’ex suocera (leggi qui): «Mio figlio non è mai stato violento, la denuncia è per violenza psicologica. Quello che ha fatto Marco è una cosa deplorevole che non può essere giustificata, ma forse si poteva evitare. Forse sarebbe bastato sedersi a un tavolo e parlare”.
Non riesce nemmeno a darsi una spiegazione sul perché non hanno fatto vedere loro nemmeno il nipote, che attualmente frequenta l’asilo, l’unica cosa che gli viene in mente in un momento così difficile è che è stato fatto “per per il gusto di farci soffrire”. ».
«Quello che è successo era qualcosa che non avrei neanche lontanamente immaginato, se avessi visto dei segnali sarei intervenuto. È mio figlio e non lo abbandonerò mai, siamo disperati, la vita è finita per tutti, perché avere un figlio in carcere non è vita”.
Il pensiero, però, è andato anche alle vittime del gesto di Marco, in primis a Fabio Limido “perché non ha colpa lui”. Poi a Lavinia e al nipotino: «Ogni bambino deve avere la propria madre».
