Ponte sullo Stretto di Messina: ecco perché non si può fare

Il Ponte sullo Stretto di Messina appare e scompare quasi ad ogni cambio di governo. L’ultimo no è di Mario Monti. Nel 2012 l’esigenza di contenere la spesa pubblica è pressante: il governo rileva gravi carenze nel progetto definitivo del 2011 e chiede dettagli sugli aspetti finanziari e sulla sostenibilità generale dell’opera, pena la messa in liquidazione della società Stretto di Messina (leggi qui 221 del 2012). Le integrazioni non arrivano e il governo nomina un curatore (qui Dpcm 15 aprile 2013).

2020: ne parliamo ancora

Nell’estate 2020 l’esecutivo Conte ripropone l’idea con il piano di rilancio delle infrastrutture in Italia inserito nel Pnrr. Il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli nomina una commissione di 16 esperti per esaminare possibili alternative alla campata unica e stanziati 50 milioni per un progetto di fattibilità. Conte cade nel 2021 e il governo Draghi conferma gli stanziamenti. Dovrebbe occuparsi del progetto di fattibilità Italferruna società del gruppo FS per investimenti infrastrutturali che, contattata da Dataroom, ha risposto: «Italferr non ha mai ricevuto alcun incarico per elaborare uno studio di fattibilità e non è mai stato coinvolto in alcuna attività di progettazione del Ponte sullo Stretto di Messina”. I 50 milioni riappaiono dopo le elezioni del 2022 quando Matteo Salvini, il nuovo ministro dei Trasporti, decide di usarli per riattivare l’azienda Terme dello Stretto di Messina e l’amministratore delegato di allora: Pietro Ciucci.

Un progetto già rifiutato

Ripartiamo quindi dal vecchio progetto, con le carenze rilevate dal governo Monti e quelle a suo tempo evidenziate dal Ministero dell’Ambiente. Progetto anch’esso respinto nella sostanza dalla commissione di esperti del MIT nell’aprile 2021. Nella relazione finale si legge: vanno studiate soluzioni alternative, quella a campata unica non è la migliore (qui). Il problema posto dai tecnici è che ad oggi non esiste ancora la tecnologia per una infrastruttura di quel tipo. Lo stesso anno le l’Università di Catania e Kiel (Germania) annunciano la scoperta di una faglia attiva di 34,5 km lungo lo Stretto di Messina, mai mappata, che ha deformato i fondali marini e che è in grado di innescare terremoti di magnitudo 7.1 (qui). Il livello massimo che la struttura può sopportare (qui). L’aggiornamento del designer non ne tiene conto. D’altronde i tempi sono troppo stretti: il 29 settembre 2023 c’è la firma tra lo Stretto di Messina ed Eurolink e il 30 settembre il Consorzio annuncia di aver consegnato la documentazione. Il pacchetto finisce al comitato scientifico indipendente dello Stretto di Messina che a febbraio dà parere positivo, ma a condizione che vengano accettate 68 raccomandazioni (qui l’elenco). Tra questi: nuovi approfondimenti sismici, nuove analisi e previsioni con scenari che tengono conto di eventi estremi e una nuova analisi delle correnti marine e dei venti in relazione alla struttura.

Inizia il processo di esproprio

Intanto, il 3 aprile, nello Stretto di Messina avvia il processo di esproprio di terreni e centri abitati della sponda siciliana e calabrese (qui). I cittadini devono rispondere entro il 2 giugno. Si stima che siano 500 gli edifici (tra abitazioni e immobili commerciali) e 1500 possedimenti, per un totale di 370 ettari. Ma prima di sottoporre il progetto definitivo al Cipess, il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile che per legge approva i progetti infrastrutturali strategici, è necessario acquisire le osservazioni degli enti locali coinvolti attraverso le Conferenze di Servizi. Ma è complicato fornire osservazioni se non ci sono ancora gli adeguamenti richiesti dal Comitato Scientifico, Ministero dell’Ambiente e Ministero dei Beni Culturali. E senza il benestare del Cipess non si può procedere agli espropri e aprire i cantieri. Il 3 maggio anche l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Messina ha preso carta e penna e scrive: «Alla luce delle attuali normative antisismiche, il progetto definitivo non è adeguato» (qui).

Faglia attiva sotto il pilastro

Nelle aree espropriate alcune situazioni sono cambiate rispetto al 2011: su una c’è una variante ferroviaria, un’altra ricade in un’area cimiteriale, su una terza è stato costruito un villaggio turistico. Ma soprattutto, secondo lo studio geologico commissionato dal comune di Villa San Giovanni sulle mappe catalogate da Ispra nel 2015, sono presenti 5 faglie attive di cui una nella zona del blocco di ancoraggio del pilastro. Dopo il terremoto dell’Aquila Non c’è assolutamente nessun edificio su quel tipo di area. Lo Stretto di Messina si dice consapevole di ciò e che sarà evitato il posizionamento su faglie attive. Dalle mappe al momento non è chiaro. E intanto da gennaio 2023 il valore di case e terreni è crollato proprio perché soggetti a vincoli di esproprio. L’incertezza è caduta anche sulle zone limitrofe: chi vuole comprare casa non può accendere un mutuo perché la banca non può erogare il mutuo. Mentre le pubbliche amministrazioni, con le restrizioni, vedono bloccati tutti i loro progetti, compresi quelli del Pnrr come la riqualificazione dell’area Forte Beleno a Villa San Giovanni, forte del 1888 in cui era previsto un investimento di 1,5 milioni di euro.

Stesso progetto, stessi nomi

Il progetto non cambia e nemmeno i nomi. In Eurolink ci sono Webuild (capofila), la spagnola Sacyr, Condotte d’Acqua, la Cooperativa Muratori Cementisti, la giapponese IHI Corporation e il Consorzio ACI del gruppo Gavio. Sacyr è stato multato in Spagna nel 2022 per 203,6 milioni di euro con le 5 principali imprese di costruzione del Paese: per 25 anni dal 1992 al 2017 hanno eluso la concorrenza accettando di dividere i contratti. Del gruppo La Cooperativa Muratori Cementisti fa invece parte della «Bolognetta scpa» che ha realizzato in Sicilia il viadotto Scorciavacche, crollato nel 2014 nove giorni dopo l’inaugurazione. Si apre un’indagine e secondo l’accusa il ponte crolla perché costruito su un terreno instabile, cosa che sarebbe stata nota sia all’impresa costruttrice che all’Anas che lo ha inaugurato tre mesi prima della data di consegna prevista e senza collaudi. Il presidente dell’Anas è Pietro Ciucci. Il processo inizia e si conclude nel 2023 per prescrizione nei confronti di nove imputati con l’accusa di attentato alla sicurezza dei trasporti e falso. Resta però in corso alla Procura di Palermo un tratto dell’indagine che coinvolge ancora Pietro Ciucci e due dirigenti Anas accusati di “induzione a dare o promettere utilità”..

Cambiano i costi

Il bando vinto nel 2006 prevedeva che l’opera sarebbe stata finanziata attraverso il projectfinancing: la cordata vincitrice avrebbe dovuto versare tra il 10 e il 20% del totale e l’avrebbe rimborsata con il ricavato dei pedaggi. Dai 3,9 miliardi del bando del 2006 siamo passati ai 13,5 previsti dal documento costi-benefici dello Stretto di Messina. La legge di Bilancio 2024 ne stanzia 11,6 (qui articolo 56). Chi ci mette gli altri? Eurolink? Difficile. L’ipotesi di realizzarlo con il projectfinancing è già stata respinta nel 2021 dalla commissione tecnica del MIT: «appare evidente che la brevità del tracciato di attraversamento e delle relative opere connesse non consente di prevedere un volume di pedaggi a carico degli utenti tale da consentire un’operazione di projectfinancing» (qui pag. 144). Ad oggi, quindi, l’opera non risulta interamente finanziata, ad es non è nemmeno sicuro che costerà 13,5 miliardi, perché sarà lo Stretto di Messina a definire il prezzo definitivo in sede di progetto esecutivo. Eppure, nonostante tutti i problemi, il governo va avanti. È l’Europa che ce lo chiede, dice il ministro Salviniper completare il corridoio TEN-T Palermo-Reggio-Roma-Milano-Berlino-Helsinki. Non è proprio così. Lo scorso 26 aprile Pat Coxcoordinatore del Corridoio Sandinavo-Mediterraneo per la Commissione Europea, risponde per iscritto a 3 eurodeputati: «la Commissione è a conoscenza solo del fatto che l’Italia sta effettuando studi preparatori» e “potrebbe cofinanziare fino al 50% degli studi preparatori”. Ma “senza conoscere i risultati degli studi preparatori non è possibile avanzare ipotesi su un potenziale contributo dell’Ue”. Bruxelles, insomma, vuole vedere le carte prima di ipotizzare aiuti economici.

(…) con l’emanazione del decreto il titolo Webuild è salito del 20%.

Chi ha davvero fatto bingo

Nell’ottobre 2022 Salvini su Rete4 dice che il ponte “creerebbe 120mila posti di lavoro veri” (qui minuto 8’34”). La ditta Stretto di Messina ha corretto il dato: negli otto anni necessari per realizzare l’opera verrebbero utilizzate, a seconda degli anni, dalle 4.300 alle 7.000 unità (qui a pagina 14). L’associazione «Invece del Ponte».che ha fatto i calcoli sul documento costi-benefici redatto dallo Stretto di Messina, dice che raggiunge i 2.229 all’anno. Si tratta di incarichi a tempo determinato perché una volta completata la costruzione del ponte scompariranno ed eliminerebbero anche quelli attuali stabili sul collegamento traghetti. In sostanza, il progetto più grande su cui scommette l’Italia resta quello del 2011, rilanciato con decreto, così come lo fu il consorzio che vinse la gara nel 2006 e l’amministratore delegato dello Stretto di Messina. Ciò che è cambiato è il costo: dai 3,9 miliardi di allora ai 13,5 miliardi di oggi. La direttiva europea del 2014 (art.72) impone un nuovo bando quando un’opera costa il 50% in più rispetto a quella vecchia. Qui le cose si fanno confuse perché nel 2012 i costi erano già saliti a 8,5 miliardi. Quindi nella migliore delle ipotesi non si può superare di un euro altrimenti si ricomincia a fare una nuova corsa. Una cosa è certa: il governo Monti aveva chiuso i giochi perché le carte non mostravano la sostenibilità finanziaria. Ccomunque vada, a fare jackpot è l’operatore che si rimette in carreggiata: con l’uscita del decreto il titolo Webuild è schizzato del 20%.

 
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