«L’Italia cresce, ma ora chiedete cervelli. In 15 anni sono stati allontanati 525mila giovani” – .

«L’Italia cresce, ma ora chiedete cervelli. In 15 anni sono stati allontanati 525mila giovani” – .
«L’Italia cresce, ma ora chiedete cervelli. In 15 anni sono stati allontanati 525mila giovani” – .

La globalizzazione non è morta. Ma non si può certo dire che goda di buona salute. Ed è un problema non solo per l’Italia, per tutta l’Europa. Lo scorso anno il commercio con i paesi extra-europei rappresentava il 55 per cento del Pil del Vecchio Continente. Viviamo di esportazioni. Se grandi economie come gli Stati Uniti o la Cina chiudessero i loro mercati, il benessere dei cittadini europei costruito sul modello di un’economia aperta rischia di crollare. Fabio Panetta non ha dubbi. La sfida non si vince con meno mercato, ma con più mercato. Soprattutto con un mercato più europeo. Il modello economico del Vecchio Continente va ripensato, ma non in ottica protezionistica, quanto piuttosto per ridare forza all’Europa nelle relazioni globali. Pertanto, è necessario ridurre l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera e “espandere” e potenziare il mercato unico.

È un discorso profondamente europeista. L’Europa immaginata da Panetta è un’Europa che integra i settori strategici delle telecomunicazioni, dell’energia e della finanza. Che riunisce “campioni” presenti in diversi Paesi per raccogliere le enormi risorse necessarie a finanziare l’intelligenza artificiale, la vera sfida del futuro che stabilirà vincitori e vinti della crescita economica del prossimo ventennio. Ma anche per rispondere alla transizione energetica, che richiede 800 miliardi di euro di investimenti all’anno. Servono “politiche comuni”, perché nessun Paese è in grado di affrontare da solo queste trasformazioni epocali. Unirsi significa anche cominciare a pensare, senza pregiudizi, alle questioni del debito comune, degli Eurobond, come già fatto per finanziare il Ngeu, quello che in Italia si chiama Pnrr, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

L’ONERE

L’Europa che vuole contare nel mondo non può fare a meno dell’Italia. Un’Italia che è cambiata profondamente negli ultimi anni. Naturalmente c’è l’enorme “onere” del debito pubblico. Così come bisogna evitare le “facili illusioni” perché i problemi sono tanti. Ma va superato anche il pregiudizio che vede il Paese costantemente in fondo alla classe, il vagone di coda del treno europeo. Devi solo essere in grado (o disposto) di leggere i dati. Tra il 2019 e il 2023 il Pil italiano è cresciuto del 3,5% contro l’1,5% della Francia e lo 0,7% della Germania. In termini pro capite il divario è ancora maggiore. L’occupazione è aumentata nello stesso periodo di 600mila posti, la maggior parte dei quali a tempo indeterminato. Mentre in Francia e Germania le esportazioni sono diminuite, in Italia sono cresciute del 9%. Il nostro Paese è un “creditore” netto verso le altre economie di 155 miliardi di euro. Tutto questo non è frutto di un evento fortuito, del superbonus o delle politiche ultra-espansive della Bce negli ultimi anni. C’è una parte delle imprese italiane che si è trasformata profondamente negli ultimi cinque anni. Ha investito e vinto la sfida della competizione. Il settore manifatturiero italiano è diventato il più automatizzato tra le principali economie dell’area euro. In Italia ci sono 13,4 robot ogni 1000 dipendenti. In Germania 12,6, in Francia 9,2. Le imprese hanno raddoppiato gli investimenti nelle tecnologie digitali. Tutto questo è stato reso possibile anche dai programmi di incentivi messi a disposizione dai vari governi, da Industria 4.0 in poi.

OSTACOLI

C’è un gruppo di imprese italiane, come ha già sottolineato il Centro Studi Nomisma, che va “controvento”. Che sono leader sui mercati globali, spesso in nicchie ad altissimo valore aggiunto. Sconfiggono la concorrenza e spingono le esportazioni nazionali, spingendo l’intera crescita del Paese. È sbagliato, però, pensare che si tratti di vantaggi definitivamente acquisiti. Sono conquiste che vanno coltivate e consolidate. La vera sfida politica è rimuovere tutti gli ostacoli che rallentano questo processo di modernizzazione. Bisogna rimuovere i limiti alla concorrenza, investire nell’istruzione e nella formazione delle giovani generazioni, ma bisogna anche trovare la strada per ridurre il debito pubblico e favorire lo sviluppo del Mezzogiorno.

Un programma vastissimo, verrebbe da dire. Ma è anche l’unico programma per superare le difficoltà e tornare a contribuire al progresso dell’Europa. Una comunità, ha ricordato Panetta, che ha garantito sviluppo, benessere e convivenza pacifica a milioni di persone.

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Il Messaggero

 
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