Non esiste separazione delle carriere, né ci sarà mai – .

Con un editoriale come al solito lucido, perché estraneo alle controversie tribali, Angelo Panebianco analizza ed elogia la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistrati giudici. E dà buoni effetti, soprattutto sul lungo periodo, per ragioni che mi è impossibile riassumere qui, ma il cui punto focale mi sembra essere questo: un CSM (Consiglio Superiore della Magistratura, non più unico ma diviso) dei giudici avrebbe le migliori ragioni per ristabilire il principio che la verità processuale è scritta dalle sentenze e non dalle istruttorie del pubblico ministero, come la nostra cultura illiberale, con il solido apporto del giornalismo, ha stabilito almeno da allora il caso di Enzo Tortora, con sublimazione negli anni di Mani Pulite.

Spero proprio che Panebianco abbia ragione, e probabilmente lo ha, ma bisognerebbe partire dal presupposto che la separazione delle carriere – su cui governo e ministro Carlo Nordio hanno costruito l’epopea della riforma epocale, e la magistratura l’eterno allarme democratico , ed entrambi a scrivere una nuova stagione di fiction – non è una separazione delle carriere. Per essere tale, la magistratura inquirente avrebbe bisogno di essere sottoposta ad una forma di indirizzo da parte della politica, con la conseguente soppressione dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Propongo una breve introduzione per coloro che non hanno familiarità con le questioni relative alla giustizia. L’obbligatorietà dell’azione penale è il principio costituzionale su cui si fonda l’indipendenza della magistratura inquirente e stabilisce che il pubblico ministero è tenuto ad indagare su ogni denuncia di reato. Un principio voluto, all’indomani del ventennio fascista, per impedire al tiranno di indirizzare l’azione penale, ma con la controindicazione, evidente negli ultimi decenni, che l’obbligo è diventato discrezionale: il pubblico ministero tende a impegnarsi maggiormente nelle indagini accolti per vari motivi e talvolta, non di rado, sospettati di essere un mezzo per raggiungere la fama o per tenere sotto controllo la politica in una spettacolare inversione di controllo.

Quando il sistema giudiziario nel suo insieme invoca un colpo di stato, si riferisce esplicitamente a questo: al timore che il procedimento penale obbligatorio venga abolito e che il pubblico ministero venga imbrigliato da direttive politiche. Per aumentare la suggestione, la loggia massonica P2 e il suo gran maestro Licio Gelli si ritirano all’esterno, qualcosa di quasi cinquant’anni fa. La fine dell’indipendenza della magistratura. Un dibattito surreale. Ovunque nel mondo, quando parliamo di indipendenza della magistratura intendiamo la magistratura giudicante. Nessun giudice, in una democrazia liberale, deve rispondere alla politica. Ogni giudice, in una democrazia liberale, deve esercitare la massima indipendenza. Ciò vale, infatti, per la magistratura giudicante. Ma in nessuna democrazia liberale questa indipendenza è garantita alla magistratura accusatoria. Succede solo in Italia e solo in Italia si parla addirittura di colpo di stato.

Negli Stati Uniti il ​​pubblico ministero è un avvocato eletto dai cittadini o nominato dal governatore dello Stato e quindi completamente dipendente dall’autorità politica. Nel Regno Unito, il capo della pubblica accusa, al quale rispondono tutti i pubblici ministeri, è nominato dal governo. In Francia, il pubblico ministero è posto dalla Costituzione sotto l’autorità del Ministero della Giustizia, che di anno in anno stabilisce le priorità delle indagini e decide le destinazioni dei pubblici ministeri. In Germania il pubblico ministero è nominato dai governi regionali. Mi sono limitato a citare le democrazie occidentali più avanzate, dove difficilmente si intravede il trionfo del progetto golpista di Gelli.

Ho sempre pensato che la separazione delle carriere, quella vera, con le vere conseguenze, sarebbe un’ottima cosa per l’Italia ma oggi, un po’ più disincantato, non lo so più. So che per sottomettere la magistratura inquirente alla disponibilità della politica sarebbe necessaria una politica meno tribale e più responsabile, e che per mantenere l’indipendenza assoluta la magistratura inquirente dovrebbe essere meno casta, meno pomposa, più capace di essere all’altezza l’enormità del suo privilegio. Non sono ottimista come Panebianco, temo che non ci sia via d’uscita: sono i comportamenti, più che le leggi, a determinare la maturità di una democrazia. Certamente non c’è stata alcuna separazione delle carriere, non ci sarà nemmeno se la riforma costituzionale dovesse finire, né ci sarà mai.


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