L’erbario più grande d’Italia è a Firenze e sarà digitalizzato. “Un patrimonio immenso” – .

L’erbario più grande d’Italia è a Firenze e sarà digitalizzato. “Un patrimonio immenso” – .
L’erbario più grande d’Italia è a Firenze e sarà digitalizzato. “Un patrimonio immenso” – .

Firenze, 11 giugno 2024 – Ci parlano di cambiamenti climatici e ci raccontano anche di quando nel nostro Paese sono arrivate alcune specie invasive. Tramite la erbari si apre un mondo. Ed è per questo che iniziare il digitalizzazione dell’erbario dell’Italia centrale apre nuovi interessanti scenari mai esplorati prima. Con oltre 2 milioni di esemplari botanici stimati, lerbario del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze è il più grande d’Italia e tra i più importanti del mondo. Ed è proprio qui, nel capoluogo toscano, che la storia della botanica e il futuro della ricerca sulla biodiversità si incontrano.

Grazie al Centro Nazionale Biodiversità Futuro il progetto è partito, con un finanziamento di quasi 7 milioni di euro piano di digitalizzazione dell’erbario dell’Italia centrale e di altre collezioni naturalistiche. Si tratta di 4 milioni e 200mila campioni che, da qui alla fine di agosto 2025, renderanno accessibile il patrimonio naturalistico degli erbari in ogni angolo del globo, un ‘archivio di biodiversità’, una memoria storica da preservare e valorizzare. “Grazie alle tecnologie avanzate, i ricercatori da tutto il pianeta potranno accedere a questo immenso patrimonio naturale”, ha sottolineato Luigi Fiorentino, presidente del Centro Nazionale Biodiversità Futuro. Con lui, Stefano Cannicci, direttore scientifico del Centro nazionale futuro biodiversità dell’ateneo fiorentino, Elena Canadelli dell’Università di Padova, responsabile scientifico del progetto di digitalizzazione e Alessio Papini, coordinatore scientifico del progetto per l’ateneo fiorentino. Grazie a’intelligenza artificiale molti dati vengono incrociati ed è possibile una catalogazione rapida ed efficiente dei campioni.

“Questa operazione ci permette di creare un database globale che integra informazioni genetiche, chimiche e storiche, facilitando la ricerca e l’analisi dei dati botanici su scala globale”, ha spiegato Canadesi. Un campione digitalizzato, infatti, offre “un’anteprima visiva che aiuta molto nella ricerca”. Le macchine utilizzate possono scansionare fino a 60mila campioni a settimana. Un numero record, tanto che questo progetto, bell’esempio di collaborazione tra pubblico e privato, rappresenta una delle più grandi operazioni di digitalizzazione mai realizzate in Italia. “Una straordinaria avventura scientifica e culturale che trasporta nel futuro la nostra conoscenza della biodiversità”, concordano gli studiosi.

La digitalizzazione partirà dalle collezioni di tracheofite o piante vascolari dell’erbario dell’Italia centrale e si estenderà gradualmente ad altre collezioni. Acquisirà e renderà accessibili online immagini ad alta definizione e informazioni trascritte dalle etichette, consentendone l’accesso a chiunque. Le informazioni potranno interagire con centinaia di altre collezioni in tutto il mondo, creando un ampio database ricco di dati sulla biodiversità vegetale del passato.

Se nel Medioevo e nel Rinascimento la natura veniva studiata attraverso riproduzioni disegnate, nel 1543, grazie all’intuizione del medico imolese Luca Ghini, nacquero a Pisa il primo orto botanico universitario al mondo e il primo erbario moderno, entrambe istituzioni che avrebbe contribuito a trasformare per sempre il volto della botanica, da semplice disciplina ausiliaria della medicina a scienza vegetale.

L’erbario dell’Italia centrale nasce nel 1842, da un’idea del botanico palermitano Filippo Parlatore, che per primo si rese conto della necessità di un rinnovamento generale degli studi sistematici di botanica e fitogeografici. Sotto la sua direzione l’erbario divenne non solo un punto di raccolta ma un vero e proprio centro nevralgico per la ricerca e lo scambio di campioni vegetali con botanici di tutto il mondo. Da allora molto è cambiato, ma l’erbario resta ancora uno dei principali strumenti per lo studio, la conservazione e la catalogazione delle piante, nonché un archivio di informazioni storiche stratificate nel tempo e spesso ancora inesplorate.

Ogni campione botanico, infatti, racconta una storia legata alla persona che lo ha raccolto e al suo viaggio, come quello intrapreso dal giovane naturalista Charles Darwin durante il suo giro del mondo sul Beagle (1831-1836), o come i campioni raccolti da Odoardo Beccari nel Borneo a metà dell’Ottocento. Anche le piante che conosciamo oggi e che vediamo nei parchi e nei giardini hanno una lunga storia da raccontare. Ad esempio il “fossile vivente” Ginkgo biloba, che con le sue foglie a forma di ventaglio ispirò alcune poesie allo scrittore tedesco Goethe. Unico sopravvissuto di una famiglia prosperata nell’era mesozoica e rinvenuta in formazioni boschive della provincia di Zhejiang, nella Cina orientale, si può ancora ammirare un esemplare maschio nell’Orto Botanico dell’Università di Padova sul quale, a scopo didattico, nel Nell’Ottocento venne innestato un ramo femminile che ancora oggi produce abbondanti semi ogni autunno. O come l’Indigofera tinctoria, da cui si estrae il famoso “Indaco dei tintori”, una tintura vegetale utilizzata già 4.000 anni fa in India per tingere i tessuti naturali e utilizzata anche in medicina e cosmetica oltre che come colore per la pittura; nell’Ottocento veniva utilizzato per tingere un resistente tessuto grezzo per i pantaloni da lavoro degli operai e dei minatori, detti “jeans”.

Tra gli esemplari vegetali conservati nel museo ci sono anche quelli raccolti da scienziate come le italiane Elisabetta Fiorini Mazzanti (1799-1879) e Silvia Zenari (1895-1956); e forse come la francese Jeanne Baret, esploratrice e prima donna a compiere il giro del mondo, che si imbarcò nel 1766 travestita da uomo insieme al botanico e medico Philibert Commerson, a bordo dell’Etoile, la nave che accompagnava il barone Louis Antoine de Bougainville. Sebbene i fogli dell’erbario non riportino esplicitamente il nome di Baret, che si imbarcò in segreto, nel museo sono presenti numerosi esemplari molto probabilmente da lei raccolti.

 
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