“A Torino sentivo parlare solo in calabrese” – .

di Paolo Ficara – L’autostrada E45 è quel tracciato di oltre 5.000 km che parte dal nord del nord Europa, cioè la Norvegia, e arriva a sud del sud cioè Gela, comune in provincia di Caltanissetta che ha dato i natali all’ex difensore amaranto Vincenzo Camilleri. Sì, abbiamo messo la Reggina in tutte le nostre conversazioni. E nella storia della Reggina, Franco Iacopino rappresenta una sorta di E45.

In un percorso lungo 42 anni che parte dai tempi del presidente Oreste Granillo, è impensabile contattare l’ex tecnico amaranto e chiedergli un semplice pensiero su Torino-Reggina del 13 giugno 1999. Perché il viaggio si arricchisce piacevolmente di deviazioni, escursioni e soste.

Tanto per cominciare, il dottor Iacopino trasmigra l’anima amaranto di due mesi abbondanti, senza cambiare sede: “La cosa migliore per un tifoso juventino come me è stato esordire in Serie A a Torino contro la Juventus. L’ingresso dell’autobus al Delle Alpi è stato piuttosto sfortunato, in discesa. Aprendo per prima la porta dell’autobus, la mia emozione mi ha tradito. E sono scivolato. Se la mia valigia non avesse attutito il colpo, sarei rimasta lì”.

Il ricordo, da amaro, si trasforma subito in dolce. O forse sarebbe meglio dire salato: “Mohamed Kallon viveva vicino alla Capannina. Una sera mi chiama, sostenendo di avere con sé due cugini. E chiedendomi di portargli tre pizze – ricorda Iacopino proprio al Dispaccio – vado a portargliele, e mi trovo a casa mezza Sierra Leone. Vado a prendere altre sette pizze. Voleva pagarmi, gli ho risposto che l’importante sarebbe fare gol alla Juve. Segna e viene verso di me per festeggiare. C’era un po’ di sentimento”.

E dopo questo bel teletrasporto all’esordio nell’agosto ’99 nella massima serie, la macchina del tempo torna a quel 13 giugno: “Quel pezzo di magnifico giocatore di Ferrante voleva fare gol a tutti i costi, dovendo diventare capocannoniere. In ogni caso ormai è tutto prescritto”.

Abbiamo chiesto al dottor Iacopino quali sono le differenze tra il viaggio di ritorno dopo Pescara nel 1989 e dopo Torino, dieci anni dopo: “Pescara e Torino sono due facce della stessa medaglia. Il Pescara poteva approfittare della sconfitta di Torino per andare in Serie A. Era un punto dietro di noi, con una differenza reti migliore. Sono due emozioni diverse. Il rammarico dell’Adriatico consiste nel fatto di averlo meritato. A Torino era impossibile perdere. Sono uscito dal Jolly Hotel Ligure, davanti alla stazione di Torino, e non ho sentito una sola parola in italiano: la gente intorno parlava in calabrese”.

Già ai tempi di Granillo, il dottor Iacopino vide sfumare all’ultimo minuto la promozione in Serie A: “Avevo il terrore che non ci sia due senza tre. Ero stato al Lecco, anche se come responsabile del settore giovanile. assistendo a quel massacro dello 0-0. A Pescara sono stato protagonista di una serata particolare, che non si può dire. Nonostante questo abbiamo giocato una grande partita. Quelli della Cremonese erano quasi tutti over 30: buttavano fuori la palla perché volevano arrivare ai calci di rigore. Eravamo più forti, lo abbiamo dimostrato in campo. Al terzo tentativo è andata bene”.

Franco Iacopino ringrazia chi gli ha regalato infinite emozioni nei suoi 42 anni da allenatore della Reggina: “I calciatori. Gli allenatori. Gente come Scala, Bigon, Bolchi, Colomba. Dopo 50 anni, scriviamo ancora con alcuni giocatori. Oggi questa componente di aggregazione viene a mancare. Il coinvolgimento di molte persone ha permesso di risolvere diversi problemi. Molto utile la cantina del giornalista Arnaldo Cambareri. Il suo collega Lillo Scopelliti, per me, è stato un fratello. Un giorno scrisse sul Corriere dello Sport, la pagina nazionale, che tutte le squadre si trasferivano a Milano nell’albergo di trasferta, mentre io prendevo il sole all’Oasi. Mi ha chiesto se ero incazzato, ma aveva detto la verità e ci abbiamo scherzato sopra. Oggi emergerebbe una tragedia”.

Con toni leggeri ma esprimendo contenuti molto seri, il dottor Iacopino ci fa percepire uno dei segreti dei successi della Reggina: “La sera mia madre chiese a mia sorella cosa avesse fatto la Reggina. Anche se non sapeva che aspetto avesse una palla, si rese conto che sarei tornato felice se avessi vinto. Reggio è così. Mi viene da ridere quando sento parlare degli orari di chiusura degli uffici. Si chiude quando finisci. Il presidente Foti è arrivato alle 20 e voleva il resoconto della giornata. Tra una cosa e l’altra erano le 10 di mattina. Ma era necessario. Eravamo di Reggio. Quando mi sono trasferito a Modena, sono arrivato a casa alle 7,10 di sera: mia moglie mi ha chiesto se stavo male, ma la guardia giurata lì ha chiuso l’ufficio alle 7. In tutti i campionati vinti, la Reggina è stata inferiore alla diretta concorrenti. È successo con Scala, Zoratti e Bolchi. Ha vinto perché è riuscito ad avere questo 2% in più”.

 
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