«Durante il mio ultimo viaggio a Vienna avrei voluto sedermi al posto di Degasperi ma non me lo hanno permesso» – .

«Durante il mio ultimo viaggio a Vienna avrei voluto sedermi al posto di Degasperi ma non me lo hanno permesso» – .
«Durante il mio ultimo viaggio a Vienna avrei voluto sedermi al posto di Degasperi ma non me lo hanno permesso» – .

Sedici anni di insegnamento, ventidue in politica come assessore (1998-2008) e sindaco di Trento (2008-2020), portando sempre con sé le chiavi dell’urbanistica, e poi altri quattro anni di insegnamento. Dal primo settembre andrà in pensione Alessandro Andreatta, professore di italiano, storia e latino al liceo classico Arcivescovile. Martedì è stato il suo ultimo giorno di scuola con Gli studenti. «Mi hanno regalato una maglietta “Honoris causa otium”, dei libri e anche un 33 giri di De André», dice l’ex sindaco, che la settimana scorsa ha fatto anche l’ultimo viaggio con le sue classi. La passione per l’insegnamento nasce dalle lezioni di un professore di lettere, la passione per la politica fiorisce nel Gruppo Don Milani a 16 anni. Il più bello? «Amo entrambe le vocazioni». Ma Andreatta si ritira anche dalla politica? «Mi hanno chiesto di dare una mano, non lo escludo, ma non con ruoli istituzionali. Voglio dedicarmi ai miei tre nipoti e al volontariato”.
Professor Andreatta, come è andato il suo ultimo viaggio?
“Molto bene. È un bel progetto: ogni anno scegliamo una destinazione dal valore istituzionale-internazionale. Siamo andati a Vienna perché ospita il quartier generale delle Nazioni Unite. Nei prossimi anni i ragazzi andranno a Bruxelles o a Strasburgo per il livello politico europeo, a Roma per quello nazionale e infine ad Atene, culla della democrazia e della partecipazione”.
Insomma, non rinuncia mai alla politica.
«Mi sono buttato a capofitto in questo progetto. Ho una passione innata per la politica. Siamo andati anche a vedere il vecchio parlamento austriaco. Avrei voluto sedermi sulla sedia di Degasperi, ma non era possibile. Potevo vederlo non troppo lontano.
Come sta il professor Andreatta in viaggio?
«In alcune visite ho richiesto ai bambini di seguire attentamente la guida. Il programma era serrato: un giorno abbiamo fatto 12 chilometri. I ragazzi sono arrivati ​​la sera molto stanchi, ma felici. Tuttavia, c’erano momenti in cui venivano lasciati liberi. Dopodiché sono una persona che scherza. Il viaggio è l’occasione per parlare di tutto, della musica, dello sport, dei propri desideri”.
Di cosa parlano i ragazzi oggi?
«Quello di cui parlavamo anche noi. È vero, i tempi cambiano (vedi cellulari, social), ma alla fine i ragazzi si ritrovano sempre a parlare di sport, di canzoni, di tutti i generi, di qualche cotta, dei primi amori. Questa è la costante. Le differenze sono date dal ritmo: oggi gli studenti hanno bisogno di tempi veloci”.
Quando è iniziata la tua passione per l’insegnamento?
«È nato in seconda media, a 13 anni. Mi sono innamorato del modo di insegnare e della competenza del mio insegnante di lettere, Sergio Fontana. Poi, finite le scuole superiori a Prati, mi sono iscritta a Lettere a Padova. Ho iniziato ad insegnare stabilmente nel settembre del 1982, continuando poi fino al ’98, quando sono diventato consigliere. La mia vita è divisa in ventidue anni di consiglio comunale e venti anni e 11 mesi di scuola”.
Come è nata la tua passione per la politica?
«Certamente il fattore scatenante è stato il Gruppo Don Milani. Avevo 16 anni. Eravamo un gruppo di giovani formati non tanto nella politica, ma nell’apprendimento della scuola. All’interno di questo gruppo c’erano Lorenzo Dellai, Gianni Kessler, Michele Nicoletti, Beppe Zorzi e di certo ne dimentico altri. Nella mia famiglia c’era anche la politica: papà era impegnato nel sindacato, mia madre faceva sempre il massimo per gli altri. Non sono mai stato membro di un partito. Sono entrato in Comune nel ’95 come consigliere con i Democratici Popolari, poi nel ’98 è nata la Margherita, di cui sono stato uno dei fondatori, e infine è arrivato il Pd.
Quali sono stati i vent’anni migliori? Quelli della scuola o quelli del Comune?
«Amo entrambe le mie vocazioni. Qual è la differenza? Quando sono a scuola so di avere 70-100 studenti di cui occuparmi e mi concentro completamente su di loro. Fare politica, invece, significa prendersi cura di 120mila persone, dai neonati ai centenari. In una città c’è tutto: maschi e femmine, adulti, giovani e anziani, ricchi e poveri, le persone culturalmente più dotate e quelle meno attrezzate, coloro che svolgono i lavori più quotidiani e coloro che svolgono una professione in linea con le loro esigenze. percorso di carriera. Formazione scolastica. Mi è piaciuto prendermi cura di tutti.
È tornato a scuola nel 2020, dopo ventidue anni, infatti: come si è trovato?
«Ho riscontrato una maggiore attitudine al lavoro di squadra tra gli insegnanti. E poi ho trovato molta tecnologia. Ho dovuto abituarmi al registro elettronico (ride)”.
La scuola è rimasta “investita” dalla tecnologia?
«Il rischio è che ci sia una preponderanza della dimensione tecnico-tecnologica-scientifica rispetto alla necessità e all’opportunità di avere tempi di riflessione e di pensiero. Deve esserci sempre la volontà di creare un equilibrio, che non significa 50/50, ma significa garantire la possibilità di trasmettere, attraverso alcuni temi, la voglia di capire e di discutere».
Ascolta, ma adesso tornerai a fare politica?
“C’è un tempo per ogni cosa. Se vado in pensione vuol dire che sono vecchio, ho compiuto 66 anni a febbraio. Quindi non penso che tornerò a fare politica. Mi hanno chiesto di dare una mano, non escludo che ciò possa avvenire, ma sicuramente senza ricoprire ruoli istituzionali. Ho fatto 22 anni come consigliere comunale: quello era il mio tempo. Preferirei sforzarmi di suscitare la vocazione alla politica e stimolare la partecipazione”.
Come stimolare la partecipazione dei giovani?
«Negli ultimi anni ho voluto sperimentare alcuni momenti informativi già nel triennio. E ho potuto vedere che si può cominciare a parlare di democrazia e partecipazione anche nel primo e nel secondo. Gli studenti sperimentano in prima persona la partecipazione perché sono chiamati a eleggere due rappresentanti di classe: c’è qualcuno che propone e che poi ha il compito di ascoltare la “base” per formulare proposte insieme agli altri rappresentanti. La scuola può essere un’importante palestra di partecipazione. Prima c’erano i partiti, c’era il sindacato, c’erano alcune associazioni cattoliche, ora resta solo la scuola. Ovviamente non bisogna indirizzare gli studenti verso il pensiero politico, su questo sono molto rigoroso, ma possiamo educare alla politica. In fondo, la politica non è altro che individuare un’ipotesi di soluzione, esporla alla ricerca del consenso e poi fare una sintesi. La politica è mediazione, nel senso più nobile del termine. E la sintesi è la cosa che più mi piace della politica perché è la ricerca del punto di convergenza più alto. I giovani devono interessarsi alla politica, altrimenti la subiranno”.
Prima come consigliere, poi anche come sindaco, lei ha sempre esercitato la potestà in materia urbanistica. Che effetto ti fa vedere la città trasformarsi?
«Quando sono diventato assessore nel ’98 ho cominciato ad innamorarmi della mia città e ad interrogarmi sulla Trento ideale del futuro. Chi fa pianificazione urbana cerca di costruire la migliore città possibile. Nel 2001, 23 anni fa, con il sindaco Pacher abbiamo inserito nel Piano Regolatore Generale (Prg) la disposizione per l’interramento della ferrovia e del viale di superficie. Vedere che ancora oggi si va avanti in questa direzione e che la condivisione avanza in città è una grande soddisfazione. La città cambia e si trasforma in problemi e opportunità. Bisogna saper cogliere le opportunità e rilanciarle. Negli ultimi vent’anni, gli occhi di alcuni urbanisti come Busquets (per il viale di superficie), Piano (per le Albere), Botta (per la Facoltà di Giurisprudenza) e Gregotti (per il progetto sulle aree inquinate dell’Alto Trento) ) sono stati importanti ). Tutte cifre che all’epoca furono contestate. Ma leggere e immaginare la città del futuro attraverso lo sguardo di chi viene da fuori permette di avere un respiro più ampio”.
A cosa dovremmo prestare attenzione nella costruzione della discarica e del conseguente viale?
«Negli ultimi anni i tecnici del Comune, sotto la supervisione del sindaco Ianeselli e dell’assessore Baggia, hanno effettuato interessanti studi della zona. Al posto della ferrovia si libererà uno spazio molto ampio che collegherà il nord e il sud, l’est e l’ovest, cambiando così la mobilità delle persone e il rapporto con gli spazi pubblici. Ebbene, questi studi ci dicono di non fare cose strane in quest’area. L’errore più grande sarebbe quello di autorizzare interventi edilizi autonomi e non coerenti con l’intervento della grande discarica, con la sua visione”.
Cosa ne pensate del progetto delle Torri di Sequenza in prossimità delle zone inquinate dell’Alto Trento? L’altezza degli edifici – più alta delle torri della Madonna Bianca, addirittura il doppio – è controversa.
«Non c’è dubbio che sia giusto costruire in alto perché il nuovo suolo non si consumi, ma credo che Trento abbia una sua ragione, un suo equilibrio progressivo. Dobbiamo capire fino a che altezza possiamo costruire. Non siamo a Milano”.
La politica riaffiora sempre nelle sue parole. È preoccupato per il fenomeno dell’astensionismo?
«Sì, sono molto preoccupato. Tutte le persone che credono nella politica devono trovare i canali giusti per unire le persone. Molto dipende dalla credibilità dei politici. Noi politici – mi coinvolgo anch’io – siamo responsabili dell’astensionismo. I politici non sono tutti uguali, ognuno risponderà di quello che ha fatto. Faccio un’ipotesi assurda: se fossimo tutti coerenti e credibili i cittadini avrebbero un’immagine diversa e si avvicinerebbero alla politica”.

 
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