“La città era troppo piccola per me ma ho capito che era casa” – .

Viareggio, 16 giugno 2024 – Essere nel blu” le dà l’impressione di vivere e fluttuare nell’aria e nel cielo. Riuscire a creare, con la leggerezza di quell’aria e di quel cielo, i movimenti e i gesti della coreografia che lei, Chiara Cinquini, “la ragazza in blu”, ha portato, e porta, in giro per il mondo. A Viareggio, come a Londra, Belgrado o Milano.

Chiaro , è una ballerina, performer, insegnante, coreografa. Identificarlo con un solo termine è difficile. Come ti definiresti?

“Il termine performer è forse quello che mi si addice di più, perché ho sempre cercato di fare tante cose. Ho iniziato con la danza classica, mi sono specializzata nella contemporanea e poi mi sono aperta al mondo del teatro, della coreografia e del bodypainting. Al di là della danza in sé, mi interessano le azioni teatrali, performative del Carnevale e dell’opera, che mi permettono di spaziare e lavorare anche con persone che non necessariamente provengono dal mondo della danza”.

Lei però nasce nel mondo della danza, nella scuola della madre Barbara Tofani

“Sì, ma non ho iniziato subito. Perché crescendo con una madre ballerina e maestra, che non mi ha mai fatto mancare nulla, ma che vedevo poco, la danza era una cosa da evitare perché la teneva lontana. Ma lei è stata molto brava perché non mi ha mai costretto.

E poi cosa è successo?

“Un’estate, avevo 8 anni, mi disse che a settembre i miei compagni di classe avrebbero provato a ballare e mi chiese se volevo provarci anch’io. Per farle un favore, ci ho provato. Poi, però, non ho più smesso. “.

È andata anche a studiare all’estero.

“Essendo nato e cresciuto a Viareggio, mi è sembrato restrittivo. Ed essendo figlia di una ballerina, un po’ ne sentivo il peso. Volevo fare la ballerina ma mi chiedevo se, fuori città, fossi davvero capace di farlo. Avevo 18 anni e studiavo a Firenze con Simona Bucci, collega di Carolyn Carlson che poi mi formò a Parigi, e decisi di provare. I miei genitori mi hanno accompagnato a Parigi per fare un’audizione per un’accademia a Londra. Dopo un mese arrivò la lettera che mi avevano preso”.

Allora perché è tornata?

“Dopo aver terminato gli studi a Parigi, dove la danza, rispetto a quella inglese, mi apparteneva di più, sono stata in tournée e ho lavorato parecchio. E sono tornato con maturità emotiva: sentivo che Viareggio non mi era più vicina ma tornare era tornare a casa. Intorno ai 30 anni, imparando a rivalutare i pregi della città e non vederne solo i difetti, ho deciso di crearmi una base stabile, con la possibilità, nel frattempo, di lavorare nel mondo sempre pronto a fare le valigie . E questa è una cosa che mi piace davvero”.

E se non fosse stata una ballerina?

“Mi piace disegnare, quindi forse avrei optato per l’accademia di pittura. Sempre in ambito artistico, che è un po’ l’imprinting della mia famiglia. Mio nonno Carlino, fratello di Vittorio Cinquini che cantava canzoni con Casani e Malfatti, ad esempio, era autodidatta e realizzava meravigliosi dipinti della Viareggio dei primi del ‘900. Anche mio nonno e mio padre hanno creato le scenografie per le canzoni”.

Un rapporto con il Carnevale che in qualche modo sembra scritto…

“Da piccola la domenica mattina mi portavano nei vecchi hangar, da Emilio Cinquini, cugino di mio padre, e facevo la cartapesta, i fogli di carta. È stato come prendere parte allo sviluppo della station wagon”.

Come fa ormai da dieci anni con le coreografie per Alessandro Avanzini. Come è nata la collaborazione tra voi due?

“Sua nipote, mia coetanea, stava ballando con mia madre, mi chiese se volevo provare, visto che i coreografi all’epoca se n’erano andati. Nell’arco di 25 giorni ho preparato una coreografia per “La rete”. Quell’anno vincemmo e fu un colpo incredibile: gli uscieri mi accolsero con cura e attenzione e il rapporto con Alessandro Avanzini, da quel momento in poi, non si sciolse mai. Ha lo stesso modo di lavorare e di comprendere la performance nel linguaggio del carro con qualcun altro.

Da cosa parti per creare coreografie?

“Sono le parole e ciò che un progetto vuole dire e comunicare, per il Carnevale come per Puccini, che mi stimolano e creano l’intenzione del movimento, delle azioni sceniche e teatrali. Parto da un’idea che spesso si modifica vedendo le maschere o i ballerini che sono parte attiva del percorso creativo, la coreografia è mia figlia, ne hanno un pezzo anche loro.”

Di quale risultato sei più fiero?

“Essere riuscito a fare quello che volevo, senza mai arrendersi: aver trasformato la mia passione in un lavoro”.

Cosa vorresti invece per il futuro?

“Accumula quante più esperienze possibili, continua a conoscere mondi, luoghi e luoghi teatrali. Potrai continuare a fare le valigie.”

 
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