Il saluto di Betori. Lacrime e applausi citando Luzi e La Pira: “Chiesa in città”

Il saluto di Betori. Lacrime e applausi citando Luzi e La Pira: “Chiesa in città”
Il saluto di Betori. Lacrime e applausi citando Luzi e La Pira: “Chiesa in città”

Lacrime e applausi. Alla fine, nel ricordare i due fratelli che non sono più con noi, il cardinale Giuseppe Betori ha ceduto ad una commozione vera, profonda, nella messa di congedo a Firenze. Dopo quasi sedici anni e una liturgia di due ore, la forza di mostrare debolezza ha tolto gli ultimi dubbi che mons. Giuseppe non sia il rigido esponente della Chiesa di Ruini, come alcuni ancora si ostinano a considerarlo, ma un pastore tra la gente, un popolo, se non duro come quello eletto, certamente non facile, che nel 2008 gli è stato affidato da Benedetto XVI. Anni in cui «alla fragilità che sempre accompagna la vita della Chiesa, si sono aggiunte le debolezze della mia persona, per la quale sono qui oggi a chiedere perdono, per non essere stato all’altezza della storia di questa città, soprattutto delle vostre aspettative. So che mi ami, come io amo te, e che, con indulgenza, non mi negherai la tua comprensione.

Davanti ad almeno duemila persone, il cardinale giunto da Foligno ha ringraziato e salutato un’intera comunità, concelebrando la solenne liturgia insieme al suo successore don Gherardo, ai vescovi fiorentini, al cardinale Gualtiero Bassetti, ai monsignori Giovanni Roncari, Stefano Manetti, Giovanni Paccosi e Claudio Maniago, e quasi tutti i sacerdoti diocesani, primo fra tutti il ​​cardinale Ernest Simoni. Nell’omelia Betori ha evidenziato alcuni punti del suo episcopato, sottolineando le caratteristiche della cattedrale e lo spazio che occupa nella fisionomia della città: “Ho cercato di rendere pienamente questo essere una Chiesa immersa nella città, pronta ad entrare nei suoi spazi , in dialogo con tutto ciò che edifica la comunità degli uomini”.

Citando i poeti Mario Luzi e Davide Rondoni, nonché il Santo sindaco Giorgio La Pira, il cardinale ha parlato della cattedra su cui siede il vescovo di Firenze: “Quello che ho cercato di indicare in questi anni, non sempre riuscendoci, sembra me a questo luogo dice da solo: misura, equilibrio, armonia, riposo, bellezza, contemplazione e pace sono l’identità profonda, al di là dei tratti immediati, istintivi, anche polemici e aggressivi, di questa città e quindi della Chiesa fiorentina, sintesi di tensioni composte”.

La sua argomentazione ha raggiunto tre punti. Detto della cattedrale e della magnificenza della Cattedrale, si è accennato alla bandiera diocesana: “È sì il vessillo del Risorto, ma è anche l’insegna del popolo. Mi ha sempre mosso e chiamato alla responsabilità di percorrere i passi segnati insieme da Cristo e dal popolo, rafforzando in me la convinzione che le vie di Dio non sono diverse dalle vie degli uomini, quando seguono sentieri sicuri che li edificano nella In verità – ha proseguito – non ho cercato di proporre un mio cammino, ma ho cercato di cogliere le vie di Dio nel cammino della gente. Questa è la linea tracciata dalla nostra norma: stare in mezzo alla gente, senza mai staccarci da essa, anche a costo di qualche rallentamento, ma avendo cura di mantenere salda la trama del tessuto ecclesiale, evitando sbalzi in avanti, che possano suscitare qualche applauso. ma che inesorabilmente generano anche infortuni”. Una frase che serve da consiglio al suo successore don Gherardo, che durante l’omelia non ha mai staccato gli occhi dal predecessore.

 
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