“Reggio sciolta dalla mafia”. L’ombra del questore sul sindaco Pd Falcomatà – .

È questione di ore, qualche giorno al massimo. Potrebbe presto essere istituita nel Comune di Reggio Calabria la commissione d’accesso della Prefettura per valutare le infiltrazioni della ‘Ndrangheta nell’amministrazione, dopo che l’inchiesta Ducale che ha coinvolto il sindaco Giuseppe Falcomatà e il consigliere comunale Giuseppe Sera, entrambi del Partito Democratico, ha rivelato una potenziale scambio politico-imprenditoriale-mafioso (l’aggravante del 416ter è l’ipotesi della Procura su Falcomatà) dietro l’elezione dell’esponente Dem al ballottaggio di fine 2020 e ha rivelato due brogli elettorali distinti e intrecciati decisivi per la loro elezione.

La Prefettura mantiene la bocca serrata ma l’automatismo sarebbe inevitabile, così come appaiono gravi e documentati i tentativi di influenzare l’amministrazione per favorire il gruppo mafioso che avrebbe agevolato la sinistra al ballottaggio. “Nel 2012 il comune fu sciolto per molto meno”, ricorda uno degli allora consiglieri comunali. Lo scioglimento porterebbe la città al voto non prima della primavera del 2026, anche se il mandato scade prima per le dimissioni del sindaco. Circostanza respinta al mittente con resistenze stile Linea del Piave e il sostegno che Elly Schlein avrebbe garantito a Falcomatà. Anche il destino di Bari si saprà a breve – anche lì la commissione è al lavoro – il doppio scioglimento sarebbe un uno-due micidiale per la sinistra, che si nasconde dietro l’inchiesta sul governatore della Liguria Giovanni Toti, una vicenda in cui le infiltrazioni mafiose sembrano tutt’altro che provate.

La Procura guidata da Giovanni Bombardieri, con gli assistenti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e il sostituto procuratore Salvatore Rossello, aveva chiesto misure più restrittive per l’assessore Sera (e pare anche per Falcomatà) che il gip ha deciso di non concedere. Ma la posizione di Falcomatà, secondo le carte visionate dal Giornale, sarebbe in bilico per una serie di ragioni. Al di là del mero aspetto investigativo, avendo concesso al sindaco di Reggio tutte le garanzie del caso e la presunzione di innocenza, il quadro allarmante emerso dalle indagini ruota attorno alla figura di Daniele Barillà, dirigente del PD che aveva fatto incetta di tessere nel distretto feudale del suocero, il boss della ‘ndrangheta Domenico Araniti che a Sambatello dettava legge anche nelle vicende dietro l’impianto di smaltimento rifiuti “con dinamiche mafiose chiare e precise” secondo il Ros.

Attraverso un complesso meccanismo di frodi – schede pre-votate inserite nelle urne da due scrutatori compiacenti e regolarmente trascritte nei verbali – Barillà avrebbe alterato l’esito delle elezioni regionali del 2020 e del 2021 (facendo sì che l’ex Pd Giuseppe Neri eletto con Fratelli d’Italia) e dei Comuni di Reggio con Sera. Un altro consigliere del Pd, Antonino Castorina, è sotto processo per aver orchestrato un meccanismo simile (scoperto dopo l’apertura delle urne grazie all’intuizione di due poliziotti) nei seggi elettorali di Archi, quartiere simbolo delle cosche. Pilotando l’istituzione di alcuni seggi avrebbe fatto votare persone decedute o molto malate tramite complici registrati senza documento di identità, “per conoscenza”. Ma non è abbastanza. Nel mirino sarebbe la nomina di Barillà all’Oiv, l’organismo di valutazione indipendente che deve “vigilare sul funzionamento complessivo del sistema di valutazione, sulla trasparenza e sull’integrità dei controlli interni”, decisa da Falcomatà il 16 aprile 2024.

Dalle indagini è emerso che uno dei suoceri di Barillà, dipendente del Comune, è stato licenziato per motivi disciplinari.

“Non veniva a lavorare, lo sapevano tutti”, ci dice un’altra fonte. Barillà ha chiesto a Sera di trasferire il suo parente, Castorina ha accettato e aveva firmato il trasferimento prima di essere arrestato. Nient’altro che trasparenza. Ecco perché la Prefettura non può più alzare le spalle.

 
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