LA VARESE NASCOSTA. La Tana del Lupo ai piedi della Rocca di Angera – Varesenoi.it – .

LA VARESE NASCOSTA. La Tana del Lupo ai piedi della Rocca di Angera – Varesenoi.it – .
LA VARESE NASCOSTA. La Tana del Lupo ai piedi della Rocca di Angera – Varesenoi.it – .

La Tana del Lupo, o Antro di Angera, è una grotta di origine naturale che si apre nella parete est della rupe su cui sorge la Rocca Borromeo. La natura della grotta ha reso questo luogo un sito privilegiato di insediamento umano fin dalla Preistoria.

La piccola grotta (che misura 7,50 metri di lunghezza e 4,70 metri di larghezza, con la volta a circa 4,80 metri di altezza) si trova circa 30 metri più in alto (230 m s.l.m.) rispetto all’abitato (200 m s.l.m.), ed è ora immersa nella vegetazione che ricopre il ripido pendio attorno all’imponente parete rocciosa. Al suo interno si apre uno stretto cunicolo che collega la grotta ad alcune camere laterali; un altro cunicolo si dirama in direzione ovest, dando infine luce alla grotta attraverso una fessura nella volta.

La parete rocciosa in cui si apre l’ingresso presenta una vasta serie di tracce di attività umana. La parete è incisa con tagli di forma quadrangolare, fori quadrati (buchi di pontoie) e tracce di monumentalizzazione dell’ingresso, che sembra essere stato modificato artificialmente per regolarizzarne la forma (ciò vale anche per altre parti interne). Va inoltre notato che l’interno della grotta è ricoperto da estesi depositi calcarei derivati ​​dall’azione continua e attiva dell’acqua.

Le prime indagini sulla Tana del Lupo risalgono al 1868 ad opera di Biondelli e all’ispezione di Cumont del 1899. Un importante scavo archeologico fu intrapreso nel 1916 sotto la direzione di Giovanni Patroni. Le operazioni di scavo rimossero quasi completamente i depositi umani che si erano accumulati nella grotta, abbassando il livello interno di circa 2 metri e creando un cumulo di terra di scarto all’esterno. Lo scavo rivelò due livelli di utilizzo, 1 resti del crollo di una struttura (tegole romane, mattoni, pietre, blocchi di cemento) e prove della frequentazione del sito fino al tardo Medioevo. Patroni aprì anche una trincea all’esterno della grotta a contatto con la parete rocciosa, da cui emersero due sepolture di adulti in nuda terra senza corredo, oltre a due piccoli frammenti di lastre di marmo iscritte.

Altro reperto di particolare interesse è un cucchiaio in bronzo con manico terminante in un busto femminile di forma particolare ed insolita nel vasellame. Furono rinvenute anche numerose monete romane di epoca imperiale (IV secolo dC), successivamente studiate dal Laffranchi: purtroppo le circostanze del ritrovamento non sono chiare e quindi appare difficile valutare il contesto specifico del deposito.

Un’ulteriore campagna di scavo fu diretta nel 1973 dal paletnologo Vincenzo Fusco dell’Università degli Studi di Milano: lo scavo interessò l’interno della grotta e i materiali rinvenuti risultarono pertinenti all’era preistorica; è stata ritrovata anche l’impronta circolare di un contenitore posto a terra.

La nuova ricerca condotta nel 2009, coordinata dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia e realizzata dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna con la collaborazione del Museo Civico di Angera, ha interessato l’intera area interna ed esterna della grotta. Preceduta da una campagna di rilievo laser scanner a cura del Dipartimento di Ingegneria Strutturale, dei Trasporti e delle Acque dell’Università di Bologna, lo scavo ha potuto documentare la presenza al suo interno di livelli residui di frequentazione di epoca mesolitica.

L’analisi sistematica delle tracce leggibili sulla superficie esterna della grotta ha offerto nuovi elementi di valutazione. Va notato che non è emerso alcun elemento a supporto della teoria ottocentesca che aveva visto la grotta come un mitreo, cioè un ambiente frequentato in epoca tardo romana dai seguaci di una religione segreta e misteriosa (come abbiamo visto, invece, il culto era apertamente praticato e ben visibile).

Dallo studio delle tracce visibili sul muro esterno è possibile ipotizzare l’esistenza in epoca antica di un edificio posto all’esterno. L’edificio assunse probabilmente l’aspetto di un pronao colonnato e frontonato e la grotta divenne una sorta di cella naturale.

Sulla base della traccia lasciata dal timpano, è possibile ricostruire una struttura larga circa 4,5 metri, con colonne alte tra 2,5 e 3 metri. Questa struttura dominava il ripido pendio, ma non si sa nulla su come la grotta fosse accessibile in epoca romana.

La traccia del frontone copre le tracce di alcune lastre votive originariamente incastonate nelle murature: ciò sembra testimoniare che la struttura architettonica corrisponde ad una fase di monumentalizzazione del sito avvenuta in epoca successiva.

Rimangono ancora numerosi punti interrogativi circa l’utilizzo della grotta in epoca romana, ai quali solo una campagna di ulteriori indagini archeologiche mirate potrebbe tentare di rispondere.

È tuttavia possibile immaginare un nuovo assetto della grotta di Angera per il periodo romano. Innanzitutto bisogna guardare con più attenzione alla vicinanza condizionante delle cave di dolomia già coltivate in epoca romana. Per inquadrare il sito occorre poi dare uno sguardo alle manifestazioni della cultura rupestre di epoca romana, che negli ultimi anni hanno stimolato sempre più la curiosità di archeologi e anche di epigrafisti. In questo caso è ipotizzabile la presenza di un culto legato alle qualità (terapeutiche?) di una particolare fonte d’acqua (ormai esaurita). A queste caratteristiche sembra corrispondere la devozione alle Ninfe, tra le divinità rurali più venerate nell’Italia settentrionale.

Infine, non è ancora chiaro attraverso quali vie sia avvenuta la cristianizzazione del sito, anche se ciò può essere dimostrato sulla base delle tombe tardoantiche identificate.

 
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