Palestina-Italia, il sottosuolo che unisce il Mediterraneo – .

Palestina-Italia, il sottosuolo che unisce il Mediterraneo – .
Palestina-Italia, il sottosuolo che unisce il Mediterraneo – .

“La cosa più difficile è stata rompere quel silenzio, perché da ottobre i musicisti erano bloccati. Nessuno aveva la forza e l’energia per pensare a cose che sembravano futili rispetto alla tragedia che li circondava”. È quanto ci racconta al telefono Toni Cutrone, figura chiave dell’underground musicale romano. Tanti i progetti passati e presenti, dall’ex locale Dal Verme all’etichetta NO=FI Recordings, che ha pubblicato alcuni dei dischi fondamentali per la scena della psichedelia occulta italiana. Ma a interessarci in particolare in questa occasione è la recente esperienza vissuta in Cisgiordania con il suo progetto solista Mai Mai Mai, in cui i canti popolari mediterranei si fondono con l’elettronica, dando vita a una dimensione di “futuro arcaico”.

Julmud, Jihad Shouibi, Karam Fares, Toni Cutrone foto di Ilaria Doimo

“MI PIACE spaziano nel bacino comune che il nostro mare rappresenta, gli elementi condivisi sono molteplici e per questo ho sempre trovato facile relazionarmi con i suoni del Medio Oriente, del Nord Africa e del Sud Europa. La Palestina ovviamente fa parte di tutto questo. Ci tenevo molto ad andarci, da tempo volevo vedere con i miei occhi cosa fosse l’occupazione” racconta Cutrone. La ricerca per metà etnografica per metà sperimentale di Mai Mai Mai trova il suo background nelle origini del musicista, nato in Calabria, e come testimonia ad esempio il doppio album Al Sud (La Tempesta, 2019), il processo di registrazione dei canti rituali non si discosta dalla tradizione dell’etnomusicologia nel filone di Diego Carpitella, salvo poi incontrare il ritmo e l’immaginazione delle “macchine” dei Mai Mai Mai. Questo processo, tuttavia, non ha potuto aver luogo quando Cutrone è stato accolto in residenza artistica al Wonder Cabinet di Betlemme lo scorso gennaio.

“Avrei dovuto andare a registrare nei villaggi, con gli anziani, i loro canti legati alla raccolta delle olive, al cambio delle stagioni, ai matrimoni e ai funerali, ma andare in giro non era consigliato a quel tempo. Allora mi sono concentrato sulla costruzione di relazioni, avevo a disposizione uno studio dove ho invitato diversi musicisti locali: Maya al Khaldi, Julmud, Ussama Abu Ali”. Con quest’ultimo Mai Mai Mai ha realizzato un brano, Jinn del Souk di Betlemmeche in seguito divenne parte della compilazione Resteremo qui – Musica per la Palestinaun progetto dell’etichetta torinese Love Boat a sostegno di MAP (Medical Aid For Palestinians). «La compilation è come un piccolo manifesto di una scena. Noi musicisti ci conosciamo, abbiamo suonato insieme, anche con nomi più grandi come Cosmo che è ancora molto legato all’underground. Tutti hanno partecipato per la causa ma non era scontato che sarebbe venuto fuori un disco così bello».

Oltre al già citato Cosmo, nella formazione figurano, tra gli altri, Sara Persico, Bono/Burattini, Holy Tongue, Not Waving. «Il nostro brano è forse l’ultimo arrivato, Ussama Abu Ali è un suonatore di mijwiz, un flauto tradizionale, è molto conosciuto in Palestina soprattutto in contesti popolari, viene chiamato alle feste o ai grandi matrimoni. Costruisce lui stesso il flauto, raccogliendo bambù nella zona in cui vive, al confine con il Libano. In Jinn del Souk di Betlemme quindi ci sono le registrazioni che abbiamo fatto insieme che si mixano con quelle che ho fatto con un microfono ambientale nel Souk, il vecchio mercato di Betlemme. L’idea era di portare l’ascoltatore in un viaggio quasi onirico in quelle terre. Il titolo deriva dal fantasma che si dice abiti nel mercato, secondo la leggenda lo si può incontrare di notte. Non credo di averlo incontrato, ma di sicuro l’ho sentito in qualche modo! ” racconta Cutrone.

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«Wonder Cabinet», resistere rafforzando le forme artisticheLA COMPILAZIONE Resteremo qui è solo un’altra testimonianza di come la scena elettronica si sia mobilitata negli ultimi mesi a favore della causa palestinese. Se gli artisti mainstream mancano di voce, nel “sottobosco” sperimentale si contano concerti di beneficenza, mixtape a tema, trasmissioni radiofoniche. Cutrone lo spiega così: “Noi facciamo parte di un mondo artistico underground, fatto di relazioni vere, senza alcun vincolo con multinazionali ed etichette. Non essendo vincolati, possiamo esprimerci liberamente mentre chi ha un contratto spesso non può. Rischiamo comunque qualcosa, a molti sono stati annullati concerti in Germania o Francia, per esempio.”

Tornando all’esperienza in Cisgiordania, Cutrone racconta l’impatto con la durezza della situazione. «È stato il mio primo approccio “fisico”, “reale” a quello che succede lì: vedere l’occupazione in atto, le difficoltà della vita quotidiana, degli spostamenti, cose che è difficile immaginare perché le cronache si concentrano sempre sulla guerra e sui morti a Gaza ma in Cisgiordania il problema è l’apartheid quotidiano. La cosa che mi ha colpito di più, però, è la voglia di reagire dei palestinesi, in mezzo a una tragedia hanno sempre la voglia di capire come creare una possibilità di andare avanti, di convivere, di trovare una soluzione».

Toni Cutrone

“We Will Stay Here” è come un piccolo manifesto. Nel brano di me e Ussama Abu Ali ci sono registrazioni fatte nel Souk, dove si dice che viva un fantasmaIL MUSICISTA poi è tornato in quelle terre qualche mese dopo, a maggio, nell’ambito di una preziosa e unica iniziativa, sempre di Wonder cabinet/Radio Alhara. «Sounds of Places era una specie di festival che si svolgeva nella valle di Cremisan, una bellissima valle tra Gerusalemme e Betlemme con uliveti e vigneti. Da qualche anno Israele cerca di annetterla illegalmente costruendo un muro. Il muro è quasi arrivato, forse un centinaio di metri, ma è complicato farlo perché passerebbe in mezzo a un monastero cristiano, con suore e monaci che producono vino dagli anni ’60. La situazione è ferma da tempo ma il rischio è che da un giorno all’altro – visto che queste costruzioni si fanno per lo più di notte – il muro venga chiuso. L’idea era quindi quella di accendere i riflettori sulla valle, tenerla viva per rendere più difficile l’occupazione. Con diversi artisti internazionali abbiamo creato qualcosa lì, dalla danza alle installazioni che sono rimaste. Ho suonato nel giardino del monastero e improvvisato con Alabaster de Plume, un inglese, al sax, e Sami El-Enany al piano, anche lui inglese ma di origine palestinese. Abbiamo registrato molto nella valle per fare delle mappature 3D, così se andrà perso, sarà possibile riviverlo per chi verrà dopo. Un ruolo triste e pragmatico dell’arte.

 
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