«Dopo la malattia alle corde vocali ho pensato di non esibirmi mai più dal vivo» – .

«Dopo la malattia alle corde vocali ho pensato di non esibirmi mai più dal vivo» – .
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Forse è il pomeriggio di Pasquetta quando parliamo. Ma parlando con Jon Bon Jovi non si può fare a meno di pensare a un dio ormai divenuto uomo. E che mentre sudava sangue nel giardino roccioso del Getsemani, è stato ripreso da una telecamera con lo zoom senza contare i muscoli della gola contratti in uno spasmo, come quelli di un pesce asfissiato in un secchio. Alla ricerca di note altissime e antiche – Vivendo di preghiera verrebbe da dire, restando nella suggestione religiosa – che una malattia delle corde vocali non gli ha permesso per molto tempo (e forse non gli permetterà più) di raggiungere.

Certo, nel documentario in quattro puntate in uscita su Disney+ il 26 aprile c’è anche tutto quello che si spera dall’agiografia dedicata a una leggenda che aleggia nell’immaginario da 40 anni: gli esordi nel New Jersey nella leggenda. di Springsteen. La carica erotica dell’America ottimista che inoculava nei muscoli e nei riccioli l’idea che si potesse diventare quello che si voleva. Ci sono alcol e droghe, che hanno fatto deragliare interi pezzi della band mentre Jon, come un Paul McCartney negli USA, cercava di rimanere sobrio per salvaguardare la sua voce (il destino si beffa…) e non vedere i suoi amici bruciare davanti ai suoi occhi (con il bassista Alec John Such, purtroppo, non ci è riuscito). Ci sono i soldi che ti danno alla testa e l’esaurimento di tournée insensate volute da manager succhiasangue: «Quando ho visto il film di Baz Luhrmann su Elvis mi sono davvero identificato. Abbiamo vissuto quelle cose» dice, in una delle tante scene intime del film. «Quando abbiamo deciso di realizzare il documentario l’obiettivo era essere introspettivi e onesti» spiega Bon Jovi, camicia nera e capelli scalati, dalla sua casa di Miami dove ha sempre svernato. «Sapevo di non volere una storia banale sulle contraddizioni della fama ma qualcosa di autentico. E lavorare con il regista Gotham Chopra, che non aveva mai realizzato documentari musicali, mi ha permesso di essere onesto e di avere fiducia nell’intero processo durato due anni. Spero che lo spettatore capisca che il successo arriva solo con il duro lavoro. E con sacrificio”.

Ma nelle più di quattro ore di Grazie, buonanotte: la storia di Bon Jovi non è solo il sacrificio. C’è la disperazione, etimologicamente intesa, e pura. Quella di uno splendido uomo di 62 anni che contro gli dei ha appena pubblicato un nuovo album, Per sempre. Ma che non sa più se potrà salire sul palco, portare l’urlo del pubblico direttamente al petto, e urlare Uno, due, tre, quattror prima che il rullante ricominci lo spettacolo.

Lo so che sei cattolico e per favore non arrabbiarti, ma sento proprio l’analogia con il Vangelo.
«Ebbene no: mi dispiace ma non lo accetto. Semplicemente, il documentario è in parte incentrato sui miei problemi alle corde vocali e sul processo di riabilitazione. Fare musica è stato il lavoro della mia vita. E volevo che il pubblico guardasse oltre il sipario, verso la verità della nostra vita: un po’ di divertimento durante i concerti, ma per il resto, tanto lavoro. Non c’è niente di più.”

Mi permetto di dissentire: qui impegno e lavoro c’entrano poco. C’è dolore e paura. Lei crolla a terra esausta. Il laser di uno strumento medico puntato al collo per ritrovare la pasta della voce perduta. Se non Gesù certamente Ulisse, l’eroe che si butta via per ritrovare se stesso.
«Le sue considerazioni mi toccano molto e mi rendono umile. Ma la verità è più banale: amo quello che faccio e l’impegno che metto è sincero. Penso che ogni genitore insegnerebbe ai propri figli a fare le cose con lo stesso impegno. Immagino che ogni soldato entri in battaglia con lo stesso spirito. Che ogni insegnante porti in classe questo desiderio. Da parte mia, non credo di fare nulla di diverso da chi si dedica ad un lavoro o ad una passione. Ma davvero apprezzo le sue parole gentili.

Queste non sono parole gentili, ma è l’empatia che ispira questo film. Momenti drammatici come la sequenza in cui la moglie, dopo il concerto a Nashville, la raggiunge dietro il palco e le dice “Amore, ti ho visto nei giorni gloriosi, e purtroppo quei giorni non sono questi”. Un coraggio e un amore a cui saremo debitori per sempre.
«Provo infatti un’immensa gratitudine per avermi parlato così e, in definitiva, per avermi detto quello che già sapevo nel mio cuore. Anche quella notte avevo dato tutto: tutto. Avevo iniziato il concerto con Vivere di preghiera come facevo 30 anni fa, la nota più alta, la canzone più difficile, cantata a cappella. Poi alla fine sono sceso dal palco e mi sono detto, forza, è fatta. Non eccezionale, ok, ma neanche così male. L’ho ripetuto mentendo a me stesso, quando tutto ciò che volevo era sentire la verità. E con tutto il suo peso me lo ha portato”.

Tag: Jon Bon Jovi voce corda malattia pensiero esecuzione dal vivo

 
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