Italia sì, Italia no. Il doppio gioco di Meloni e del PPE – .

Italia sì, Italia no. Il doppio gioco di Meloni e del PPE – .
Italia sì, Italia no. Il doppio gioco di Meloni e del PPE – .

Alle 20.30, dopo aver parlato di Ucraina e Gaza, i leader europei si siedono per discutere del vero tema al centro del Consiglio europeo in corso a Bruxelles: il lancio ufficiale dei quattro candidati alle massime cariche istituzionali. I capi di governo e i principali partiti vogliono a tutti i costi chiudere la riunione e mirano a evitare il voto. Una volta accertato che esiste la maggioranza qualificata, che bisogno c’è di verificare se tutti gli altri sono d’accordo? Lo stratagemma rivela quanto siano preoccupati gli stessi leader. L’impasto c’è ma è fragile, la crema potrebbe impazzire come niente.

PROBLEMA NUMERO UNO È l’Italia, finora tenuta ai margini. Il Ppe passa l’intera giornata a cercare di rimediare con un corteggiamento al limite dello stalking verso la furibonda Meloni. Il presidente Manfred Weber non si tira indietro: «L’Italia è il terzo Paese più grande: è necessario includere la posizione italiana nel processo decisionale. Sono d’accordo con il presidente Sergio Mattarella: nell’Ue non possiamo ignorare l’Italia». Sì, perché non c’è solo la necessità di assicurare la candidatura di Ursula von der Leyen con il voto FdI a rischio di essere aggrediti in Parlamento. C’è anche la dichiarazione del capo dello Stato italiano: una presa di posizione che nemmeno il governo si augurava e che ha un impatto sulle capitali europee e sui leader del Ppe più delle furibonde tirate del premier in Parlamento mercoledì.

Così al tedesco Weber si unisce il primo ministro polacco Donald Tusk, che invece è sull’ala del Ppe che vuole chiudere la porta alla destra. Rispetto a 10 giorni fa, quando sosteneva Macron e Scholz nella costruzione del cordone sanitario anti-Meloni, sembra colpito dalla via di Damasco: «È un malinteso. La posizione comune dei tre gruppi serve a facilitare il processo ma poi deciderà il Consiglio. Non c’è Europa senza Italia e non c’è decisione senza Meloni”. Un attimo dopo accorre anche il premier greco Mitsotakis, il leader popolare più vicino alla destra, poi Cipro e ovviamente l’italiano Antonio Tajani, l’unico a parlare apertamente di apertura all’Ecr. Tra il vertice e la cena, tutti sono impegnati a lodare il “ruolo costruttivo” del primo ministro italiano durante il vertice stesso.

SULL’ECR, CHE NE PENSIAMO? Potrebbe scivolare oggi dal terzo al quinto gruppo se il Pis polacco dovesse uscire, e socialisti e liberali mantenessero la loro posizione. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo dice a porte chiuse nell’assemblea del partito ma lo chiarisce anche in dichiarazioni ufficiali: “Non si tratta solo di un accordo tra i 27 capi di governo ma anche di quale tipo di maggioranza politica avrà il presidente della Commissione .” Il premier olandese Mark Rutte, per i liberali, è ancora più esplicito: “L’Ecr non è coinvolta nelle discussioni perché non è accettabile per gli altri partiti. Ma l’Italia non è esclusa e deve sentirsi ben rappresentata in commissione e non solo”. Il leader della Lega Matteo Salvini fa quello che può per complicare le cose sparando alla cieca: “Tutto questo mi sembra un colpo di stato”. Veramente.

LA FORMULA INDIVIDUALE la quadratura del cerchio è ovvia. Nessuna trattativa con Meloni come leader dell’Ecr, perché la destra europea va tenuta ai margini: tutta e senza distinzione. Porte spalancate a Meloni, che punta a un commissario economico di maggioranza con vicepresidente esecutivo, come primo ministro italiano. A quella carica punta anche il presidente francese Emmanuel Macron: ripropone l’uscente Thierry Breton, ma Marine Le Pen lo ferma, ricordando che la nomina spetterà al prossimo governo. L’ipocrisia della formula bizantina sta nel fatto che, in termini di impostazione politica, la linea della candidata Ursula è molto più vicina a quella dell’emarginata italiana che a quella del PSE. Il vero problema, per il PSE o almeno per il Partito Democratico, dovrebbe essere votare un programma sull’immigrazione come quello esposto da Ursula von der Leyen ma che sembra dettato da Giorgia Meloni. Ma il primo ministro italiano non sarà quasi certamente soddisfatto. von der Leyen si asterrà su di lei ma poi la sosterrà, forse, a Strasburgo. Sul socialista portoghese António Costa come presidente del Consiglio europeo potrebbe chiedere un voto separato e poi cercare di affossarlo. Inoltre, con il Partito Popolare molto poco convinto della candidatura di Costa, ci sono molti incidenti in agguato prima dell’alba.

 
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