Autonomia differenziata: via al referendum!

Autonomia differenziata: via al referendum!
Autonomia differenziata: via al referendum!

Approvata finalmente la legge Calderoli (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”), la domanda ora è: cosa fare? Tra le proposte in campo c’è quella di ricorrere a un referendum abrogativo ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione.

La norma costituzionale prevede la possibilità di sottoporre agli elettori la richiesta di abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge – ad eccezione delle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali – su richiesta di 500 mila elettori e/o di cinque Consigli regionali e prevede, come requisito per la validità della consultazione elettorale, che al voto partecipi la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto (quorum). La legge n. 352 del 1970 dettava le norme di attuazione, prevedendo, in sintesi, che:

– le richieste degli elettori o delle regioni possono essere presentate ogni anno entro il 30 settembre;

– spetta alla Corte di Cassazione verificare entro il 15 dicembre la legittimità della richiesta, ovvero se questa sia effettivamente supportata da 500.000 firme valide e/o da cinque delibere di Giunta regionale;

– spetta, invece, alla Corte Costituzionale esaminare la legittimità della richiesta – cioè che non riguardi leggi per le quali la Costituzione esclude l’ammissibilità del referendum – entro il 10 febbraio dell’anno successivo a quello in cui è stata presentata la sentenza. richieste;

– infine, se tutte le verifiche avranno esito positivo, il presidente della Repubblica convocherà il referendum in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Sulla base delle tempistiche ora richiamate, se si intende ottenere un voto referendario nella primavera del 2025 è quindi imperativo presentare la domanda, accompagnata da cinquecentomila firme e/o cinque delibere regionali, entro la fine del prossimo settembre.: una scadenza imminente, con il mese di agosto in mezzo, ma forse non impossibile da rispettare, considerando che la Cgil è riuscita a superare il mezzo milione di firme sulle proposte referendarie sul lavoro in appena un mese e mezzo. La situazione è stata agevolata anche – chissà quanto involontariamente – dalla rapida promulgazione della legge Calderoli da parte del Presidente della Repubblica: un tempo di esame più lungo da parte del Quirinale avrebbe, di fatto, ulteriormente limitato il già limitato periodo rimanente per la campagna di raccolta firme. In caso di difficoltà, l’intervento delle cinque regioni guidate dall’opposizione – Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sardegna – potrebbe essere risolutivo, sempre che PD e M5S decidano di accantonare le tentazioni autonomiste manifestate nel recente passato: sarà un’interessante cartina tornasole (di cui avremo rapida conferma nel caso dell’Emilia-Romagna, visto che le dimissioni del Presidente Bonaccini, neoeletto al Parlamento europeo, con la conseguente indizione di nuove elezioni, lasciano pochissimi giorni alla Giunta regionale uscente per intervenire).

Un’altra questione riguarda l’ammissibilità del referendum, una volta che la richiesta è stata regolarmente presentata. A questo proposito emergono due ostacoli. Prima di tutto, si dice che la legge Calderoli non può essere “attaccata” con un referendum perché legata alla manovra di bilancio. In realtà, poiché la stessa legge Calderoli prevede che la sua applicazione «non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», il collegamento alla manovra di bilancio è privo di contenuto sostanziale, essendo meramente formale. Rilevante, al riguardo, è la precedente giurisprudenza della Corte Costituzionale, come, ad esempio, la sentenza n. 2 del 1994, il quale precisa che la qualificazione formale di una legge come provvedimento connesso alla manovra di bilancio «non è di per sé idonea a determinare effetti preclusivi rispetto alla possibilità di essere sottoposta a referendum», poiché è – appunto – i dati sostanziali che prevalgono. Pertanto, sebbene la volatilità della Corte Costituzionale in materia referendaria renda azzardata ogni previsione, da questo punto di vista, l’ammissibilità non dovrebbe essere preclusa. In secondo luogo, ciò che fa temere che la legge Calderoli possa essere stralciata dal referendum è l’ipotesi che essa sia qualificata, dalla stessa Corte Costituzionale, come “legge costituzionalmente necessaria”con la conseguenza che la legge in questione potrebbe essere modificata, ma non semplicemente eliminata dall’ordinamento giuridico (come accadrebbe in caso di abrogazione referendaria). La tesi sembra, però, forzatapoiché la differenziazione tra le regioni è sì prevista dalla Costituzione, ma come facoltà, non come necessità: quindi, la presenza di una legge attuativa non può, da uno più forteessere qualificata come necessaria (senza considerare che la questione del regionalismo differenziato, avviata nel 2018, sei anni prima dell’approvazione della legge Calderoli, dimostra che l’articolo 116, comma 3, della Costituzione può eventualmente operare come fonte regolatrice diretta della procedura di differenziazione). In ogni caso, per tutelarsi dal rischio di una dichiarazione di inammissibilità sul punto da parte della Corte costituzionale, è è ipotizzabile che possano essere presentati due diversi quesiti referendari: uno totalmente abrogativo ed uno parzialmente abrogativomirato a colpire almeno gli aspetti più problematici della legge Calderoli.

Da un punto di vista strettamente giuridico, la strada referendaria appare quindi insidiosa, ma non impraticabile.: con uno sforzo adeguato la raccolta delle firme potrebbe essere realizzata; se si muovessero tempestivamente, cinque consigli regionali potrebbero decidere sulla richiesta di referendum; evitando atteggiamenti strumentalmente formalistici, la Corte Costituzionale potrebbe considerare la legge Calderoli non sostanzialmente riconducibile alla manovra di bilancio e non rientrante nel novero delle leggi costituzionalmente necessarie, ammettendo il referendum. Non è detto che vada tutto bene; ma non è nemmeno certo che le difficoltà siano insormontabili. Il problema – come già accennato – è che, anche in caso di abrogazione della legge Calderoli, il Governo potrebbe decidere di procedere comunque, dando diretta attuazione all’articolo 116, comma 3, della Costituzione. L’abrogazione del referendum, insomma, non avrebbe effetti giuridicamente preclusivi sui piani di regionalismo differenziato.

Diverso sarebbe sul piano politico: è chiaro, infatti, che se la raccolta delle firme fosse molto popolare, al punto da trascinare l’affluenza alle urne sopra la soglia della metà degli aventi diritto al voto (la quorum), la conseguente abrogazione della legge Calderoli sancirebbe una sconfessione così clamorosa della Lega da mettere a repentaglio non solo il disegno del regionalismo differenziato, ma, forse, la tenuta stessa della maggioranza di Governo.

Alla fine, vale la pena tentare: se le cose vanno male, tutto resterà uguale; se le cose vanno bene…

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV ora e dove guardare in tv – .
NEXT ricco sì, ma addio mortadella – .