A livello macroregionale, in Toscana, Lazio, Umbria e Sardegna il dato è in linea con la media nazionale (51% su 54%), ma può essere ulteriormente migliorato, alla luce dei benefici clinici ottenibili: quasi il 60% dei pazienti che beneficiano di questa opportunità hanno una risposta patologica completa. Il medico ha sottolineato a questo proposito Agnese FabbriResponsabile del Centro di senologia, Ospedale Belcolle of Viterbo, Dipartimento di Onco-Ematologia, con riferimento ai risultati dello studio Neopearl: ‘Condotto in 17 unità di oncologia in tutta Italia, questo studio Real World Evidence ha dimostrato che, nelle pazienti affette da carcinoma mammario Her2 positivo in fase iniziale, l’aggiunta di pertuzumab al trastuzumab e alla chemioterapia è in grado di migliorare il tasso di risposta patologica completa (che passa dal 49 al 62%), nonché la sopravvivenza libera da eventi (EFS), che risulta significativamente prolungata (81% vs 93%). Lo studio ha inoltre dimostrato che il beneficio maggiore è stato ottenuto dai pazienti con una prognosi peggiore, senza un aumento degli eventi avversi. ‘L’introduzione del nuovo processo decisionale terapeutico – ha aggiunto il Direttore di Senologia dell’UOC, San Giovanni Addolorata Hospital Trust of Rome, Lucio Fortunato- ha il potenziale per migliorare in modo sostanziale il ruolo e il lavoro del chirurgo. Terapia neoadiuvante e chirurgia sono ormai un binomio vincente per i tumori con caratteristiche biologiche aggressive, per garantire una migliore qualità dei trattamenti, più conservativi e più efficaci. E immaginiamo già nuove prospettive, nel prossimo futuro, con una possibile omissione, in caso di risposta completa dimostrata confermata istologicamente con una microbiopsia, della chirurgia mammaria’. ‘Purtroppo – ha informato anche – alcuni studi dimostrano che c’è un ‘tallone d’Achille’ in questo percorso: una diminuzione della richiesta di Conservazione della Mammella dopo chemioterapia Neoadiuvante, anche nei casi in cui il doppio blocco ha funzionato. C’è bisogno di una migliore comprensione dei percorsi e di una maggiore capacità di rassicurazione, nel rispetto del diritto delle donne a decidere cosa fare’. Sull’opportunità della formulazione sottocutanea, i percorsi possono essere ancora ottimizzati, per cogliere appieno tutti i vantaggi che questa opzione offre, consentendo una reale e vantaggiosa evoluzione del Sistema, solo se auspicabile per tutti. ‘Con la somministrazione sottocutanea – ha evidenziato Andrea Botticelli, Breast Unit Coordinator, La Sapienza University of Rome-Policlinico Umberto I- le donne si sentono meno male perché trascorrono meno tempo in ospedale e la somministrazione avviene con un’iniezione rapida e minimamente invasiva nella zona della coscia. Inoltre, cambia completamente il flusso di accesso all’ospedale, i tempi si riducono e si ottengono molteplici benefici: meno infermieri impegnati, meno sacche per le flebo, meno attese. Ciò avviene sia nel contesto precoce, che dura al massimo un anno, ma soprattutto nella fase metastatica, che può protrarsi nel tempo: la qualità della vita diventa ancora più cruciale e poter assumere il farmaco senza infusioni endovenose libera i pazienti da carichi fisici ed elimina il rischio di trombosi e infezioni.’ Un fattore chiave per garantire l’accesso ai migliori percorsi diagnostici e terapeutici è rappresentato dalla presa in carico del paziente all’interno di un team multidisciplinare o di Breast Unit. “L’approccio multidisciplinare è ormai lo standard di buona pratica per tutti i tumori”, ha spiegato. Giulia d’Amati, Professore Ordinario di Anatomia Patologica, Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e Anatomo-Patologiche, Università La Sapienza di Roma-Policlinico Umberto I- ma soprattutto per la mammella, che è stata apripista di questo approccio. Aspetti radiologici, istologici e molecolari vengono condivisi e discussi alla luce delle caratteristiche uniche del tumore e della paziente. Ogni scelta terapeutica praticabile viene poi valutata, alla luce delle migliori evidenze, con almeno due colloqui multidisciplinari, prima e dopo l’intervento. ‘È un percorso virtuoso, che richiede tempo e risorse – ha concluso – ma che ha il vantaggio di evitare esami ridondanti, accelerare i tempi di gestione della paziente e fornire indicazioni più rapide, non solo su cosa fare, ma anche quando e come farlo’. Il cancro al seno è il più comune cancro tra le donne e, con quasi 56 mila nuovi casi ogni anno, si conferma il tumore più diagnosticato in Italia nel 2023. A livello mondiale, i dati sono altrettanto significativi: ogni 20 secondi si registra una nuova diagnosi (per un totale di 1,67 milioni di nuovi casi) e ogni 5 minuti muoiono più di 3 donne per tumore al seno (per oltre 500 mila decessi all’anno). Circa il 20% delle pazienti è affetto da tumore al seno HER2+, una forma particolarmente aggressiva perché ha maggiori probabilità di recidivare e diffondersi ad altri organi: nella maggior parte dei casi è diagnosticabile quando il tumore è in fase iniziale, per un totale di 8.200 donne con tumore al seno HER2+ in fase iniziale in Italia.
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