Il Percorso Pedagogico – Raccontare la morte ai bambini – .

IL PERCORSO PEDAGOGICO – Come parli della morte? I bambini percepiscono, chiedono, vogliono sapere e lo fanno con maggiore insistenza quando percepiscono che un certo argomento ci mette in difficoltà e non sappiamo come affrontarlo.

Parlare di morte significa parlare del mistero della Vita, parlare di morte significa non saper spiegare con la mente, significa contemplare senza razionalizzare, significa arrendersi a qualcosa che ci trascende. Parlare di morte significa essere messi con le spalle al muro dai bambini perché inevitabilmente si chiederanno della nostra morte: “E quando morirai? Se cresco, allora muori e io non voglio crescere. Ma dove vai quando muori? “. Ciò significa fare i conti con la nostra paura, con la nostra visione della vita, con la nostra dimensione spirituale.

I bambini hanno bisogno della verità, hanno bisogno di poter parlare di questo aspetto e ci chiederanno nei momenti più inaspettati, quando non saremo pronti, sarà così, come una porta in faccia: “Sbam!”. Allora bisogna rifletterci sopra, tenere aperta la domanda dentro di noi, fermarsi.

Non possiamo più mettere la testa sotto la sabbia, addolcire la pillola dicendoci che i bambini avranno tempo per capire che la vita è anche sofferenza, filtrare le favole togliendo gli antagonisti perché i bambini restano impressionati, perché dobbiamo dirci: noi siamo noi che non sappiamo gestire il loro possibile sgomento, siamo noi che tremiamo dentro quando arriva la strega cattiva o appare il lupo, siamo noi che abbiamo paura della loro paura. I bambini si rivolgono a noi, a quegli adulti “abbastanza buoni” come diceva Winnicott, perché prima di tutto vogliono essere accolti, vogliono essere accompagnati, contenuti, vogliono depositare le loro emozioni, vogliono il contenimento emotivo come sfondo e premessa di qualsiasi risposta, su argomenti per i quali non esiste una risposta giusta.

Il mistero va contemplato, non spiegato, e da sempre l’uomo ricorre a miti, religioni e rituali per accompagnarsi nell’esperienza della morte. I bambini hanno bisogno di questo linguaggio analogico per sentirsi dire che ci sono fili invisibili che ci uniscono al di là della dimensione concreta e tangibile di questa vita. Hanno bisogno di essere accompagnati a sentire la dimensione della presenza attraverso la memoria, hanno bisogno che venga raccontata la storia dei loro antenati attraverso piccoli gesti quotidiani “Questa è la torta che faceva la nonna, il nonno diceva sempre così…”, per sentirsi eredi di riti e modi di essere che costruiscono la loro identità e li rendono orgogliosi di essere portatori di qualcosa di prezioso.

I bambini devono sapere che il contrario della morte non è la Vita ma la nascita, e che la Vita le contiene entrambe. Come il seme muore per dare vita ad una pianta, come l’albero perde ciclicamente tutte le foglie, ma continua ad esistere. Come noi, che ci siamo incontrati di nuovo qui ma che ci eravamo già incontrati prima ed eravamo tutti insieme nella terra del Futuro e quando il mago del Tempo ci ha chiamato abbiamo preso la nostra piccola borsa di qualità e siamo venuti a sperimentare in questo mondo per imparare ciò che erano destinati a imparare e poi a salutarsi di nuovo e ad andare nella terra della Memoria. Se ne vanno le persone che ci lasciano e la cui presenza resta viva in noi come un sentimento concreto di amore puro e limpido.

È solo un’ipotesi, potrebbero essercene molte altre, ciò che conta è che i bambini hanno bisogno di poter nutrire il loro essere attraverso il sentimento di unità della Vita, ecco la responsabilità di coltivarlo in noi. Altrimenti, giovani come sono, vivrebbero lo strappo, la lacerazione, il vuoto, l’angoscia senza essere dotati della capacità metacognitiva di elaborare autonomamente. Hanno bisogno di potersi esprimere e di sperimentare che è possibile raccontarsi ma soprattutto essere accolti, da adulti consapevoli.

I nostri piccoli hanno bisogno del nostro aiuto per elaborarli, anche facendoli partecipare a funerali, come rito di passaggio o come festa di addio, come momento di profondo ringraziamento verso una persona a cui diciamo addio. E se temiamo che sia per loro un trauma o pensiamo di fargli soffrire, proviamo a pensare come ci sentiremmo se qualcuno ci impedisse di prendere parte all’addio di una persona cara, negandoci con una bugia la possibilità di dire i nostri addii, negandoci la possibilità di elaborare il dolore. Questo sta accadendo adesso a tante famiglie colpite dal dramma del Covid-19 e questo è uno strappo, un trauma, un dolore che si aggiunge al dolore.

I bambini hanno bisogno di sapere che non verranno tenuti all’oscuro di cose importanti, e questa certezza li salverà da un’ansia incessante. Se saremo sinceri e onesti con loro, sapranno di poter contare su persone affidabili, e almeno il dolore della perdita sarà sostenuto e compensato dalla certezza di rapporti che possano dare loro sicurezza, lealtà e condivisione. Così, guardando un cielo stellato potranno sentire, nel loro cuore, che non sono soli, perché l’Amore sopravvive alla morte.


La dottoressa Laura Mazzarelli è consulente pedagogica e insegnante di scuola dell’infanzia. Formatore pedagogico. Seguitela su www.ilcamminopedagogico.it

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