il Passero Solitario si è ispirato alla Valle dell’Oro, a Civate? – .

Gentile Redazione,

Vi scrivo perché due anni fa, in occasione del 200° anniversario del celebre “Viaggio pittorico sui monti della Brianza” dei coniugi tedeschi Federico e Carolina Lose nell’estate del 1822, che portò alle famose 24 stampe di scorci del territorio, ho dato vita al Tour dei Lose: un itinerario di 150 km che collega i luoghi della Brianza che hanno ispirato quelle straordinarie immagini (visibili a colori sul sito www.tourdeilose.it).

Recentemente, in occasione di un incontro con la signora Annamaria Cipolla, titolare del ristorante Edo di Civate situato proprio nel luogo dove i Loses realizzarono una delle stampe (la Valle dell’Oro), ho avuto modo di approfondire un’intrigante suggestione leopardiana, che forse potrebbe far sorridere e collocarsi nella letteratura fantasy e che tuttavia ho il piacere di sottoporre ai lettori in quanto merita almeno un ragionamento condiviso se non anche un approfondimento più rigoroso, magari attraverso un tesi di laurea o addirittura di Laurea che qualche studente che legge ha avuto il desiderio e la voglia di mettere nero su bianco.

La suggestione di cui parlo riguarda l’ipotesi che il grande poeta recanatese Giacomo Leopardi si sia ispirato alla Valle dell’Oro di Civate per comporre la sua celebre canzone “Il Passero Solitario”. A mio avviso questa ispirazione avvenne nell’estate del 1825, due anni dopo la pubblicazione a Milano del “Viaggio pittorico nelle montagne della Brianza” dei coniugi Lose. Le prove a sostegno della tesi infatti non sono molte e tuttavia non trascurabili; Ho quindi il piacere di esporli a beneficio di chiunque volesse cimentarsi in una sorta di “caccia al tesoro”, che nobiliterebbe sicuramente il territorio brianzolo dal punto di vista letterario.

La domanda che mi sono posto e vi pongo è quindi la seguente: davvero il poeta Giacomo Leopardi si recò nella Valle dell’Oro a Civate nell’estate del 1825, traendo qui ispirazione per comporre il suo Passero solitario? Prima di esporre gli indizi che potrebbero dare corpo a questa suggestiva ipotesi, è opportuno fare tre doverose premesse:

1. Il Passero solitario è l’unica delle grandi canzoni di Leopardi a non avere una datazione certa e una documentata ispirazione del tema: si tratta di un testo poetico di cui non si dispone né del testo autografo né della data certa di scrittura: in questo senso costituisce l’unica eccezione nella cronologia dei Canti. I critici Giovanni Getto e Paulette Reffienna concordarono su un’elaborazione conclusa nel 1829, anche il celebre critico Walter Binni propose una collocazione della stesura definitiva nel giugno-luglio dell’anno 1829. Binni in particolare collega la datazione del 1829 alla presenza di Leopardi proprio in quel periodo a Recanati, dove il 15 giugno si celebra la festa del patrono San Vito, ben raffigurata nella seconda e ultima parte del Canto, che descrive una tipica festa patronale cittadina (Odi per lo sereno un sun di squilla / Spesso si sente un tuono di canne ferree, / Che echeggia lontano di villa in villa / Tutta vestita / La gioventù del luogo / Esce dalle case, e si sparge per le strade…)

2. quindi se la seconda parte del Canto trova oggettiva conferma nella festa recanatese, la prima parte viceversa rappresenta un luogo e un momento completamente diverso e anteriore al 1829: lo spiega molto bene il celeberrimo incipit del canto: “D ‘in cima all’antica torre / Passero solitario, per la campagna Cantando vai finché il giorno muore / E l’armonia vaga per questa valle…’. In questa immagine non ci sono giovani e feste affollate, Leopardi parla esplicitamente di un antico campanile, di un passerotto solitario e di una valle disabitata con vista di greggi e armenti;

3. non ultimo, Giacomo Leopardi soggiornò infatti tre mesi a Milano, dal 25 luglio al 29 settembre 1825 presso l’editore Stella nel quartiere Santa Margherita. I Loses abitavano e stampavano le loro opere in via San Damiano 299, a poche centinaia di metri da lui. Diffuse a partire dal 1823, le loro incisioni brianzole erano già molto note a Milano nel 1825, anno del soggiorno estivo milanese di Leopardi. Quelle stampe, già così virali nelle case dei milanesi, furono il caso editoriale del momento: è realisticamente improbabile pensare che Leopardi non le abbia almeno viste e apprezzate in quei tre mesi, visto in particolare l’ispirazione romantica che emerge da quelle immagini brianzole.

Con queste tre doverose premesse ritorno alla stampa del Lose (rappresentata sotto), la Valle dell’Oro di Civate, ma soprattutto al testo descrittivo che il Lose riportava sul retro di essa e che Leopardi, se ne avesse avuto occasione per ammirarlo a Milano non poteva proprio non leggerlo. Riporto alcuni brani di quelle note, molto esplicativi dal punto di vista dell’ipotesi ipotizzata da Leopardi: “Il monte dietro Civate, accanto all’antico tempio di S. Pietro, digrada ripido in un burrone profondo, con una sorgente viva e salutare che lo irriga , e che scorrendo incontra un casale chiamato dai paesani Cà dell’Oro, per cui avendo perso il primo acquista il nuovo nome di Valle dell’Oro… Dopo un breve cammino la valle si restringe, e l’acqua scorre tra due massi che, scendendo dall’alto quasi a piombo e nudi, è quello che chiamano l’orrido della Valle dell’Oro… In questa valle nidificano i passeri delle rocce; e quei paesani trovano il loro nido fra quelle rupi non senza talvolta rischiare la vita: ed i Briantini sono contenti di averli e di addestrarli al canto.

Questo uccello, chiamato anche usignolo delle rocce e usignolo delle rocce, nidifica anche sul Monte Barro che è di fronte alla Valle dell’Oro… Il canto naturale della passera delle rocce è molto dolce, molto simile al flauto, ma un po’ malinconico come il canto di un uccellino che vive solo: questo, tranne la stagione degli amori, è sempre solo. In questo periodo non solo il maschio e la femmina si cercano, ma spesso abbandonano insieme le deserte vette alpine, dove fino ad allora avevano trascorso del tempo separati gli uni dagli altri, per recarsi in luoghi abitati e avvicinarsi all’uomo. Sentono il bisogno di società in un tempo in cui la maggioranza degli animali, che hanno l’abitudine di vivere socievole, si accontenterebbero di privarsi di tutto: sembra che vogliano avere testimoni della loro felicità per goderne in tutti i modi. . modi possibili”.

Se Giacomo Leopardi avesse mai letto davvero quella canzone di Lose, avrebbe avuto una percezione emotiva molto chiara di quell’uccello triste così simile a lui, dal “canto dolce e malinconico, per nulla solitario”. Già questa suggestione può, a mio avviso, almeno far sorgere l’ipotesi di un’ispirazione civatese per quel celebre Canto, le cui origini non sono ancora – come ho già accennato, ma è bene ripeterlo – affatto chiarite.

Vi è però qualche ulteriore testimonianza: Giacomo Leopardi, durante il suo soggiorno a Milano per circa novanta giorni nell’estate del 1825, non ebbe un’impressione favorevole della città: scrive infatti in una delle sue lettere che a Milano non ebbe occasione di incontrare nessun letterato di peso (in particolare non incontrò Alessandro Manzoni, impegnato nella villa di Brusuglio a completare Fermo e Lucia; lo incontrerà solo a Firenze due anni dopo): come è noto, i nobili milanesi e gli intellettuali trascorrevano le estati nelle fresche campagne brianzole (ci racconta proprio questa abitudine il milanese Alessandro Greppi, nei diari monticellesi relativi alle sue vacanze brianzole).

Nella calda Milano dell’estate del 1825 Giacomo Leopardi non poté quindi incontrare nessun intellettuale e scrittore a lui caro, ad eccezione di un poeta di grande fama, da lui stimato: Vincenzo Monti, traduttore dell’Iliade di Omero. Vincenzo Monti era l’unico personaggio notevole rimasto a Milano, e solo all’inizio di settembre si recò nella nobile casa dell’amico mecenate Conte Aureggi, a Caraverio di Castello Brianza (nella stessa casa dove sarebbe morto, tre anni dopo). ): è proprio la villa di delizia in cui un giovane Ignazio Cantù descriverà un Monti vecchio e zoppicante, frastornato dal rumore dei fuochi d’artificio della vicina festa della Madonna di Imbevera, l’8 settembre 1825. E guarda caso, gli Aureggi villa è rappresentata anche in un’altra stampa di Lose, dove è ben visibile insieme al Campanone della Brianza (l’“antica torre”).

Potrebbe essere che Vincenzo Monti mostrò a Giacomo Leopardi, in occasione di quella visita milanese, una copia delle stampe di Lose che aveva a disposizione per spiegare al giovane poeta dove sarebbe andato nei giorni successivi? E che in questa visione delle stampe di Lose Leopardi abbia poi notato anche l’immagine e la descrizione della Valle dell’Oro a Civate, luogo, tra l’altro, geograficamente vicino a Castello Brianza? Potrebbe essere che questo fatto abbia innescato in Leopardi l’idea suggestiva di un viaggio esplorativo, anche solo virtuale e mentale, per unire l’“Antica Torre” di Castello Brianza con il “Passero Solitario” nella Valle dell’Oro di Civate? ?

L’ipotesi che Leopardi abbia saputo unire questo viaggio alle due località nell’incipit del Passero solitario potrebbe essere suffragata dalle stampe di Lose, dato che nel frontespizio della loro opera i due tedeschi avevano collocato la mappa della Brianza che ispirò le immagini, sulle quali veniva indicato anche il percorso stradale da seguire per raggiungere i due luoghi raffigurati nelle stampe: il Campanone della Brianza e la valle del Passero Solitario. Questo, in questo caso, sarebbe stato il percorso che Leopardi avrebbe poi utilizzato per visitare le due località in quell’estate del 1825:

È stato un vero viaggio quello di Leopardi Giacomo in Alta Brianza? È una domanda intrigante, per la quale al momento non esiste ancora una risposta certa: gli indizi che ho appena esposto sono sicuramente minimi, anche se personalmente mi piace pensare che sia realmente andata così; Sarebbero tuttavia necessarie ricerche storico-letterarie più obiettive e accurate per ottenere ulteriori testimonianze, in particolare approfondendo le lettere e gli appunti di Giacomo Leopardi e Vincenzo Monti.

Purtroppo non ho né il tempo né la possibilità di dedicarmi a questa affascinante ricerca storico-letteraria, proprio per questo motivo mi rivolgo tramite il vostro giornale ai lettori che potrebbero essere interessati alla questione, sperando come ho detto che qualche studente, entrambi innamorati con Leopardi e dell’area brianzola, impegnarsi in una ricerca diretta per verificare se questa suggestiva idea di un Giacomo Leopardi nella Valle d’Oro di Civate, per la scrittura del suo Passero solitario, abbia un’oggettiva pretesa di verità.

Vi ringrazio sentitamente per la vostra attenzione e vi saluto molto cordialmente.

 
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