Nel linguaggio della politica si tollera la clava (le volgarità del generale Vannacci, gli elogi della X Mas, l’uso disinvolto della parola “stronza” da parte del premier) ma non il fioretto. Il ministro dell’Impresa e del Made in Italy Adolfo Urso ha denunciato «Il Foglio» e «Il Riformista» sentendosi diffamati per l’utilizzo di un «soprannome originale ma denigratorio»: Adolfo dell’URSSun felice parola d’animo per segnalare un’impronta governativa di piede statalista.
La politica non ha paura del linguaggio scorretto, anzi. L’uso della volgarità con intenti offensivi è un tratto storico del conflitto politico: il cosiddetto parlare spazzatura è una strategia che serve a fidelizzare il proprio elettorato (“è spontaneo come noi”). Ciò che preoccupa è la totale scomparsa dell’ironia dal discorso pubblicol’ultima arma civile per combattere il dogmatismo e la vanagloria.
Non c’è più spazio per lo stile perché il discorso politico ama il grado zero del linguaggio, tende a semplificare: la comunicazione, strutturalmente modesta e poco colta, è più controllabile. Come ha scritto Giulio Giorello sul «Corriere», «la politica rende pesante la parola mentre la parola dovrebbe essere libera di ballare».
Sì al vaffa, no allo spirito, all’umorismo, al nonsense che contrappone i tempi smodati della politica a quelli eleganti del sorriso.
16 giugno 2024
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