gli ultimi giorni al fianco della figlia liberata – .

gli ultimi giorni al fianco della figlia liberata – .
gli ultimi giorni al fianco della figlia liberata – .

Liora Argamani, la madre dell’ex ostaggio Noa Argamani, è morta. È stata salvata il mese scorso in un raid condotto dalle Forze di difesa israeliane a Nuseirat dopo otto mesi di prigionia nella Striscia di Gaza. La donna aveva un tumore cerebrale terminale e aveva ripetutamente espresso il desiderio di vedere la figlia un’ultima volta prima di morire. Noa è stata al suo fianco in ospedale da quando è stata rilasciata, ricorda il sito web Ynet. “La mia più grande preoccupazione durante la mia prigionia erano i miei genitori”, ha detto Noa in un messaggio video, riferendosi alla malattia di sua madre, un cancro terminale. “È un grande privilegio poter stare con lei”, ha aggiunto, chiedendo che venga fatto tutto il possibile affinché anche gli altri ostaggi possano riconquistare la loro libertà.

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Noah Argamani, rapito lo scorso ottobre

Il caso di Noa ha fatto notizia in tutto il mondo dopo che la 26enne è stata rapita dal festival Nova il 7 ottobre, con inquietanti filmati che mostrano i terroristi che la portano a Gaza in moto. Sua madre, che soffriva di cancro al quarto stadio, temeva che non sarebbe vissuta abbastanza per rivedere sua figlia e ha implorato Hamas di liberarla e i governi israeliano e statunitense di riportarla a casa. Dopo essere stata finalmente riunita a lei a giugno, Liora “ha trascorso i suoi ultimi giorni con sua figlia Noa, che era tornata dalla prigionia, e la sua famiglia più stretta”, ha affermato l’ospedale in cui era ricoverata in una dichiarazione che annunciava la sua morte oggi.

Liberazione l’8 giugno

Noa Argamani – è stata liberata l’8 giugno durante un’operazione delle IDF nel campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale. Nel suo primo videomessaggio pubblico – durante le consuete manifestazioni del sabato sera a Tel Aviv – l’appello per gli altri rapiti è stato il più forte. “Anche se ora sono a casa – ha detto con voce ferma e accorata dopo 246 giorni di prigionia – non possiamo dimenticare gli ostaggi che sono ancora prigionieri di Hamas, e dobbiamo fare tutto il possibile per riportarli a casa. Anche loro aspettano un lieto fine”. E non possiamo dimenticare le immagini di questa ragazzina – la cui madre è malata terminale di cancro – stretta su una moto tra due terroristi, piangente e terrorizzata, mentre veniva portata a forza a Gaza. Argamani non ha chiesto al governo di Benyamin Netanyahu un accordo a tutti i costi con Hamas per la liberazione degli ostaggi. La famiglia del suo compagno fa infatti parte del ‘Tikvah Forum’, un gruppo di parenti dei rapiti che non hanno aderito alle richieste di un accordo di cessate il fuoco sostenuto invece dal ‘Family Forum’, promotore della manifestazione. Questa differenza la dice lunga sul dramma – non solo umano ma anche politico – che Israele sta vivendo con i suoi ostaggi. Chi cerca un accordo a qualsiasi prezzo con la fazione islamica in cambio della libertà dei rapiti e chi, al contrario, non è disposto a pagarlo perché vuole liberarsi di Hamas e anche per rispetto dei soldati caduti in guerra. Una linea, quest’ultima, che il premier Netanyahu non intende abbandonare. “Non c’è alcun cambiamento nella posizione di Israele rispetto al progetto accolto dal presidente Biden. E oggi – ha detto nella riunione di governo a Gerusalemme – tutti sanno una semplice verità: Hamas è l’unico ostacolo alla liberazione dei nostri rapiti”. “Con una combinazione di pressione politica e pressione militare, e soprattutto pressione militare – ha aggiunto – li restituiremo tutti, tutti i 120 nostri rapiti, vivi e morti”. Il premier ha poi ribadito che Israele non “cesserà la guerra finché non avrà raggiunto tutti i suoi obiettivi”, compresa la sconfitta di Hamas. E che la situazione dei negoziati – portati avanti da Usa, Egitto e Qatar – non sia buona ma congelata lo ha ribadito una fonte israeliana. “L’obiettivo – ha spiegato – è quello di incoraggiare Hamas e Israele a tornare a parlare. Lo scopo non è chiudere l’accordo, ma riportare le due parti al tavolo”. “Il piano presentato da Biden – ha aggiunto – è una bozza di accordo, ma deve essere riempita di contenuti. La distanza tra i due al momento non consente di risolvere i problemi”. In questo contesto, continua la guerra nella Striscia dove, secondo Hamas, il bilancio delle vittime sfiora i 38mila. E continuano le tensioni internazionali tra Israele e Turchia, come dimostra l’ultimo episodio che ha coinvolto un volo della El Al costretto a un atterraggio di emergenza all’aeroporto di Antalya per evacuare un passeggero per motivi medici. La compagnia di bandiera israeliana ha denunciato che “i lavoratori locali si sono rifiutati di fare rifornimento” all’aereo decollato da Varsavia e diretto a Tel Aviv. Fonti diplomatiche turche hanno smentito all’AFP la ricostruzione israeliana, affermando che “il capitano ha deciso di partire di sua iniziativa” per Rodi, in Grecia, per fare rifornimento prima di tornare in Israele. Dal 7 ottobre, tutti i voli diretti tra la Turchia e lo Stato ebraico sono stati sospesi.

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Il Messaggero

 
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