Il canto della terra. La recensione – .

Un’esperienza immersiva che, attraverso i suoni e le maestose immagini della natura, ci guida in un cammino intimo e universale tra passato e presente. Da oggi nei cinema.

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L’uomo delle società moderne ha sempre manifestato in certi momenti della sua vita o in alcuni periodi storici l’esigenza di ritornare ad un contatto reale con la natura, che ripristinerebbe il senso più profondo dell’esistenza proprio in virtù di un atavico rapporto di osmosi: dare e ricevere. o viceversa prendere e perdere, dove non è mai uno scambio paritario ma un equilibrio che pende irrimediabilmente a nostro favore. Seguendo il ciclo delle stagioni, con un prologo e un epilogo destinati a ripetersi, nel passato e nel futuro, Olin racconta la storia della sua famiglia; in realtà quella di tanti altri come il suo che hanno avuto diverse generazioni alle spalle e che cercano di trasmettere modelli e valori da cui attingere per non sentirsi abbandonati quando si perdono le persone a loro più vicine. Ritorna così nella valle dell’Oldedalen, nella parte occidentale della Norvegia, dove vivono i suoi genitori; trascorre un anno con loro e sceglie il padre, 84 anni, come guida principale di questo cammino intimo e universale che attraversa montagne, sentieri, boschi, corsi d’acqua, panorami e orizzonti che rivelano tutto il loro tempo, quasi infinito rispetto alla brevità. della nostra permanenza sulla terra.

Il documentario, con inquadrature spesso molto lunghe, riversa nello spettatore tutta la maestosità della natura; l’uomo ne è una piccolissima parte e i dialoghi, misurati, lasciano completo spazio a suoni e silenzi: un fuoco che scoppietta, l’acqua che ribolle, la terra che si assesta con i suoi sordi movimenti, un ghiacciaio che frana mutando lentamente la propria forma, per ricordarci gli effetti dell’azione dell’uomo. È un’esperienza sensoriale coinvolgente che invita all’ascolto. I ricordi familiari si alternano a momenti di assoluta contemplazione. Il ritmo della narrazione è dettato dall’ambiente stesso con la sua fauna che si fonde con l’uomo fino a sovrapporsi: una spiga diventa un bacino d’acqua, la pelle rugosa evoca le striature del terreno, segnando l’origine comune di tutto. Madre e figlia entrano di tanto in tanto in scena, ciascuna accanto al marito, come anelli di congiunzione tra passato e presente; l’altra solo con la voce, cantando filastrocche infantili. Il documentario trasuda spiritualità, una filosofia di riscoperta di sé e di cose semplici che forse non a caso sembra essere il riflesso di uno dei tanti film di Wenders (che qui è produttore esecutivo insieme a Liv Ullmann), con quella ritualità della vita quotidiana che perpetua un gesto – il padre che piantò un albero come fece suo nonno 130 anni prima – che sconfina nel sacro, a futura memoria delle generazioni a venire.

Titolo internazionale: Fedrelandet/Canzoni della Terra
Regia: Margreth Olin
Cast: Margreth Olin, Jørgen Mykløen, Magnhild Mykløen
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 90′
Origine: Norvegia, 2023

La classifica cinematografica di Sentieri Selvaggi

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Tag: canzone terra recensione

 
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