La Recensione dei Bikeriders – .

Austin Butler, Tom Hardy e Jodie Comer sono eccellenti in questo film classico e crepuscolare che parla dell’America attraverso una delle sue tante sottoculture. La recensione di The Bikeriders di Federico Gironi.

The Bikeriders è un film che passa innanzitutto attraverso il senso dell’udito. Lo spettro acustico è quello che spazia dall’inconfondibile VLAM VLAM dei bicilindrici a V di 45° dei motori Harley-Davidson ai silenzi ostinati delle Benny di Austin Butler. Nel mezzo, il tintinnio di infinite bottiglie di birra e il timbro alto e prolungato di Kathy Jodie ComerIl mormorio aspro di Johnny di Tom Hardy e i clic della macchina fotografica di Danny Mike Faistlo sbattere delle palle da biliardo e il crepitio di qualcosa che brucia e prende fuoco, il caos delle feste e il schiaffo di alcuni pugni ben mirati.
Così, ascoltando, così come vedendo, si viene trascinati indietro nel tempo, all’epoca d’oro del Onepercenter, delle bande di motociclisti che hanno fatto della ribellione (contro l’autorità, la legge, la società, in ultima analisi anche se stessi) il loro marchio di fabbrica. Sei completamente immerso in atmosfere che odorano di grasso e sigarette.

Jeff Nichols è partito dal libro fotografico di Danny Lione che ha parlato del Fuorilegge MCuno dei quattro club più importanti di quel mondo, qui ribattezzato Vandali. Sulla base di quel materiale, ha costruito un mondo correttezza filologica impressionantee un racconto visivo che abbraccia senza incertezze la pulizia formale e le regole grammaticali di un cinema orgogliosamente classicolontano da ogni tentazione modaiola.
L’arco narrativo è quello dell’ascesa e della caduta di un club, raccontato dal punto di vista di un personaggio tangenziale ai Vandali: Kathy che finisce quasi per caso sposata con Benny, un motociclista dedito solo al culto di una società anarchica e libertà individualistica che può toccare solo mentre è in sella alla sua moto. Benny, uno che non si toglie i colori dei Vandali per nessuna ragione al mondo, ma che nei Vandali è sempre volutamente lontano dal potere, con grande sgomento di Johnny, il leader.
Johnny, un camionista che ha dato vita ai Vandals dopo averlo visto Marlon Brando In Il selvaggio in televisione (che ironia), e che sembra sempre un po’ schiacciato, sbilanciato (anche mentalmente) dal peso di ciò che sono diventati i Vandali. Soprattutto dopo la fine degli anni Sessanta, quando tra reduci del Vietnam, tossicodipendenti vari e crescente disprezzo per ogni regola morale, il suo club si trasformò in qualcosa di ingestibile, folle, pronto a divorare il proprio genitore.

I motociclisti non ha alcun tono shakespeariano nella sua storia, come invece accadeva nell’altro grande prodotto audiovisivo che raccontava il mondo dei motociclisti, la serie tv Sons of Anarchy. E nemmeno, con tutto il rispetto per chi ne ha parlato Quei bravi ragazzi, tutta la voglia che aveva Scorsese di raccontare un microcosmo in maniera antiepica e antropologica. Naturalmente, l’approccio a volte è quasi documentaristico, ma Il film di Nichols è immerso dalla testa ai piedi in una malinconia, un senso di rimpianto e un crepuscolarismo che, semmai, ricorda American Graffiti, o ancor più Big Wednesday.
Anche perché, in qualche modo, I motociclisti – come quasi sempre nel cinema Nichols – è la storia di due personaggi che hanno finito per cavalcare onde più grandi di loro, di un’amicizia che non ha resistito all’impatto della complessità della vita, di una sottocultura che pensava di poter intralciare la storia e che la vedeva impazzire La mutazione rovina i suoi piani e la porta all’autodistruzione.

Il film di Nichols è felicemente fuori moda pur nel suo essere così chiaramente maschile, e la mediazione della voce e dello sguardo di Kathy – la prima ad accorgersi in prima persona delle grandi trasformazioni e tragedie a venire – è chiaramente frutto del desiderio di avere un genere contrappunto. Ma anche e soprattutto frutto della chiara intenzione di Nichols: quella di non hanno mai, nell’affresco della vita e delle gesta dei Vandali, un approccio eccessivamente romantico e idealistico, né al contrario con uno sguardo di giudizio o, peggio, di condanna.
La voce di Kathy, un piede nel mondo dei Vandali e l’altro in quello delle persone “normali”, è quella di una coscienza più elevata, capace di osservare, descrivere e riferire, di avere una consapevolezza più profonda, un punto di vista più ampio. Ciò che Nichols poi adotta, con quella distanza un po’ disillusa e dolorosa che gli permette, tanto per cambiare, di raccontare non solo una controcultura, ma la storia del Paese che l’ha generata e poi soffocata.

 
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