Dresda, blitz per portare il queer antifa a Budapest – .

Dresda, blitz per portare il queer antifa a Budapest – .
Dresda, blitz per portare il queer antifa a Budapest – .

È stata un’operazione di polizia degna dei tempi più bui quella di estradare Maja T., 23 anni, dalla Germania all’Ungheria, dove rischia 24 anni di carcere per accuse legate alla stessa inchiesta che ha preso di mira l’eurodeputata Ilaria Salis. La Corte d’appello ha dichiarato ammissibile la richiesta di mandato d’arresto europeo giovedì alle 17:26, troppo tardi perché l’avvocato dell’antifascista, Sven Richwin, potesse presentare ricorso contro la decisione alla Corte costituzionale federale lo stesso giorno. Ma mentre preparava il ricorso, le cose sono rapidamente degenerate.

NEL MEZZO DELLA NOTTE La polizia tedesca ha prelevato Maja dal carcere di Dresda, dove era agli arresti dallo scorso dicembre. L’ha caricata in macchina e si è diretta rapidamente verso il confine austriaco. Qui la persona è stata consegnata agli ufficiali di Vienna alle 6.50 di ieri mattina. Quarantotto minuti dopo il suo avvocato ha consegnato la richiesta di sospensione dell’estradizione alla corte suprema con sede a Karlsruhe. La prima sezione ha impiegato solo tre ore per decidere: la consegna alle autorità di Budapest deve essere vietata fino alla decisione sul ricorso costituzionale da presentare entro sei settimane. “La procura di Berlino è incaricata di adottare misure appropriate per impedire che il richiedente venga consegnato alle autorità ungheresi e per ottenere il suo rientro nella Repubblica federale di Germania”, aveva ordinato l’organo di giustizia costituzionale. A quel punto, però, Maja si trovava già da cinquanta minuti in territorio ungherese. L’ordine di riportarla indietro spetta alla procura della capitale tedesca ma non è chiaro come ciò avverrà e quale sarà la posizione di Budapest, dove al momento non si registrano reazioni.

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LE ACCUSE CONTRO Si dice che Maja T. abbia preso parte a due attacchi nel 2023, poco prima del Giorno dell’Onore, che l’11 febbraio di ogni anno richiama centinaia di neonazisti nella capitale ungherese, desiderosi di celebrare il fallito tentativo di un battaglione delle SS di rompere l’assedio dell’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. Il primo attacco si dice sia avvenuto nelle ore mattutine del 9 febbraio contro un ungherese e due polacchi, presumibilmente estremisti di destra. Il secondo attacco è avvenuto nella notte del giorno seguente contro due uomini fuori da un concerto neonazista. C’è un elemento che sta causando grande preoccupazione tra i familiari e gli attivisti riguardo all’estradizione di Maja: è una persona non binaria (in questo articolo usiamo il femminile solo dove non è possibile fare altrimenti, ndr). I suoi documenti sono maschili, anche se lei non si identifica con questo genere. È quindi probabile che venga rinchiusa in una prigione per uomini. È facile immaginare i rischi che un antifascista queer tedesco corre in una prigione per uomini ungheresi.

BUDAPEST HA ASSICURATO che garantirà condizioni di detenzione adeguate e l’ambasciata di Berlino potrà verificarlo, ma è chiaro che gli standard del Paese ungherese sono incompatibili con quelli degli altri Stati Ue. Il caso Salis lo testimonia: ceppi, catene, collari, incapacità di comunicare per mesi, mancanza di traduzioni, cibo non commestibile, topi in celle, assistenza sanitaria ridotta. «Questa estradizione è uno scandalo. È un regalo della coalizione a semaforo (socialdemocratici-verdi-liberali, ndr) al regime di Orbán in cambio dell’assunzione della presidenza del Consiglio europeo?”, si chiede Martin Schirdewan, eurodeputato della Linke e copresidente della Sinistra europea. “In Ungheria non ci si può aspettare un giusto processo”, gli fa eco Carola Rackete, eletta anche lei a Strasburgo con il partito rosso. “L’estradizione è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, afferma la deputata verde Madeleine Henfling. Infatti, nel caso analogo di Gabriele Marchesi, la Corte d’appello di Milano ha respinto il mandato d’arresto europeo inviato da Budapest, sulla base delle condizioni carcerarie a cui sarebbe andato incontro il ragazzo e della sproporzione tra i fatti contestati e le pene richieste.

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VERSO L’ALTO storia c’è la madre di tutte le inchieste tedesche contro gli antifascisti. Riguarda quella che i giornali hanno nominato Martellantela presunta “banda dei martelli” accusata di attacchi contro i neonazisti. Il testimone chiave del caso è Johannes Domhöver, ex militante di sinistra allontanato dai collettivi per alcuni episodi di molestie e poi divenuto informatore della polizia. Secondo la sua ricostruzione, il primo atto dell’Antifa risale al 12 gennaio 2015: scontri di piazza a Lipsia durante una manifestazione di Pegida, i “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, organizzazione di estrema destra considerata vicina ad Alternativa. für Deutschland (Afd) e Die Heimat (la Patria), il Partito Nazionale Democratico della Germania. Le testimonianze di Dohmhöver sono state decisive nel processo contro Johann Guntermann, considerato il leader dell’Antifa e condannato nel 2017 a due anni e mezzo per diversi fatti accaduti dal 2015 in poi. Rilasciato nel settembre 2019, Guntermann è stato successivamente accusato di altri fatti ed è attualmente latitante.

IL PROCESSO Tuttavia, ciò che è più importante per gli antifascisti tedeschi è quello in cui Lina Engel fu la principale accusata. La donna è finita in carcere il 5 novembre 2020 e, nel giugno dello scorso anno, è stata condannata a 5 anni e 3 mesi, con liberazione in attesa della sentenza d’appello. Il giudice di Dresda Hans Schlüter-Staats ha tenuto a sottolineare che, sebbene non sia possibile evitare di punire gli attacchi contro i neonazisti, è chiaro che in Germania le indagini contro i movimenti di estrema destra presentano “deplorevoli lacune”.

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SULLA BASE dell’ipotesi associativa del “martello”, e probabilmente della documentazione fornita dai procuratori tedeschi, sono state costruite le accuse in Ungheria per i fatti del febbraio 2023. Oltre a Marchesi e Salis, coinvolgono un uomo e una donna a processo con l’eurodeputata, Maja e Hannah S., 29enne arrestata il 6 maggio a Norimberga e condotta a Karlsruhe. L’accusa è di associazione a delinquere anche se non ci sono prove che abbia partecipato agli scontri di Budapest. Il timore è che prima o poi anche l’Ungheria ne chieda l’estradizione.

ALTRI DIECI ANTIFASCISTI sono ancora latitanti. Negli ultimi mesi hanno dichiarato di essere disposti a comparire davanti alle autorità tedesche a condizione che non vengano consegnati all’Ungheria. Ma le autorità giudiziarie tedesche hanno rifiutato. “Chiedono solo che le loro accuse siano valutate in un processo con garanzie costituzionali”, ha detto il padre di uno degli antifa, intervistato dalla televisione pubblica della Sassonia e della Turingia Mdr.

PER TUTTA LA STORIACompreso il sistema giudiziario di Budapest, saranno decisive le dichiarazioni che Domhöver rilascerà alla corte federale di Dresda a settembre, quando è prevista la ripresa del suo interrogatorio.

 
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