resistere con libri e nuove idee – .

resistere con libri e nuove idee – .
resistere con libri e nuove idee – .

Le strade delle città italiane negli ultimi anni si sono riempite di cibo e cellulari. E questo per soddisfare le esigenze di un pubblico composto da due categorie principali, in primis gli stessi italiani e, in secondo luogo, i nuovi turisti globali che mangiano di tutto a qualsiasi ora del giorno. Sono due fenomeni potenti che hanno avuto e hanno tuttora la forza di plasmare il paesaggio delle nostre città, impossessandosi di spazi pubblici e privati ​​e modificandone prepotentemente funzioni e destinazioni d’uso.

Solo nel 2022, secondo i dati dnel Global Digital Report l’Italia ha perso, rispetto all’anno precedente, centomila cittadini, ma ha acquistato seicentoquarantatremila cellulari in più. Ogni italiano ha in media 1,3 cellulari ciascuno. Cosa ci stiano facendo non è difficile dirlo, se teniamo conto che più di quaranta milioni di nostri concittadini sono iscritti a un social network: quasi tre quarti della popolazione che attualmente vive nella Penisola. L’altro fenomeno sono, appunto, i turisti. La mobilità globale delle persone per il tempo libero ha ormai trasformato le città italiane in un vero e proprio fattore produttivo. Strade, vicoli, palazzi storici, scorci paesaggistici valgono in quanto consentono di godere dei frutti di qualche rendita legata alla proprietà.

Case e appartamenti, locali commerciali, persino marciapiedi sono messi al servizio di estrarre valore da alluvioni di gente senza niente da fare.
Una società di indolenza di massa che consuma le suole delle scarpe, acquistare beni per lo più di scarso valore e, appunto, divorare cibo in grandi quantità. Succede ovunque e gli effetti si vedono sull’organizzazione della vita quotidiana, dall’intasamento delle strade alla requisizione di locali residenziali, sottratti al canone di locazione dei cittadini e rimessi sul mercato esclusivamente per affitti brevi con molto alta redditività.

Sembra essere una buona cosa e tutti vogliono conquistare sempre più turisti. In questo contesto, tendono a scomparire tutti quei luoghi con cui la vita di quartiere associata soddisfa i bisogni fondamentali della sua riproduzione quotidiana. E tra questi, ovviamente, anche le librerie, ma più in generale tutto il cosiddetto commercio di prossimità.

In una città sempre più concepita come spazio di flusso, i negozi sono essenzialmente esposizioni di oggetti pronti per il consumo, che possono essere prelevati e pagati senza interrompere il movimento lineare, o al massimo sono concepiti come alvei di fiumi in cui parte di dalla folla lo sciame defluisce per essere presto riportato sulla traiettoria principale. Lo schema di riferimento è l’organizzazione degli spazi commerciali in un aeroporto. Superato il gate, il percorso che dai gate porta all’imbarco è un susseguirsi di proposte d’acquisto.
Stando così le cose, si apre uno spazio al rimpianto e alla nostalgia, anche un po’ commerciabile, e così la notizia della riapertura di una libreria diventa un segnale di speranza. Non tutto è perduto, poi, dicono, se tra una friggitoria e un buco dove compri calamite da frigo e cover per cellulari, vendi anche libri.

I libri sono per lo più un mito di chi li possiede e le persone non hanno quasi mai imparato a leggere per leggere libri. Né, a ben vedere, non ci sono libri nel vero senso della parola nelle librerie di cui stiamo parlando. C’è, sì, molta carta stampata, ma i libri in senso proprio sono pochi. C’è contenuto culturale in forma di libro, ma sempre meno libri. Libri di cucina, foto, fumetti e caricatori per cellulari, tanta elettronica, strumenti musicali, film, dischi e compact. Ma nonostante questo, il mito del libro resiste. E quindi vendere libri sembra essere più morale che vendere bubble tea.

Nessuno dei dueIl remake di un famoso film di James Stewart, C’è posta per te, Meg Ryan ha venduto libri per bambini e, nel frattempo, ha resistito al nuovo capitalismo che ha invaso il suo mondo protetto e infantile. Invano. Alla fine trionfa il capitale e si basa su un principio molto semplice: la grande libreria offre efficienza e comodità. C’è il caffè e le poltrone sono comode e accoglienti. I clienti si muovono tra gli scaffali, curiosano tra i loro autori preferiti, si lasciano incuriosire dall’esposizione delle novità.
Questo modello è in crisi? Forse. Intanto a Napoli si annunciano un megastore Mondadori e uno Starbucks. Uno accanto all’altro nella Galleria Umberto, che forse acquisterà un aspetto meno cupo di quello che presenta attualmente al passeggino smarrito. Contemporaneamente viene annunciata la riapertura della Saletta rossa, la prova generale di ieri, brillante iniziativa di Mario Guida degli anni passati. Presentava libri, per la precisione. Ma quei libri erano stati scritti da Jack Kerouac e Allen Ginsberg, Fernanda Pivano, che accompagnava tutti i poeti della Beat Generation, Alberto Moravia, Umberto Eco. Guida è stato anche editore e il suo catalogo comprende Tzvetan Todorov, Hyden White, Troeltsch e Leopold von Ranke, solo per citarne alcuni che contano a caso. La nuova Red Room per il momento si limita a citare se stessa. Viene annunciata anche una Art Factory, se ho capito bene, annessa alla Saletta, che però non mi sembra una gran cosa.

Insomma, insomma, vogliamo davvero resistere? Ma a cosa, esattamente?

Leggi l’articolo completo
su Il Mattino

-

PREV Belluno, presentazione del libro «Zampe all’aria» di Sandro Neri – .
NEXT “E’ l’inizio del rilancio” – .