Un Paese che osa? Il rapporto Gem sull’imprenditorialità in Italia – .

Un Paese che osa? Il rapporto Gem sull’imprenditorialità in Italia – .
Descriptive text here

Attraverso un attento esame dei fattori che influenzano la propensione imprenditoriale, il Global Entrepreneurship Monitor si propone di colmare il divario tra l’intenzione imprenditoriale e l’effettiva realizzazione di nuovi progetti, per una visione più chiara del tessuto imprenditoriale nazionale. Sono questi i temi al centro della presentazione del rapporto Gem Italia 2023-2024

16/04/2024

Uno scenario in chiaroscuro per quanto riguarda il sostegno alle nuove imprese nel nostro Paese. “In Italia siamo molto attenti a sostenere la nascita e lo sviluppo d’impresa sulle categorie considerate più bisognose di sostegno, ma anche sulle persone che sono uscite volontariamente o meno dal mondo del lavoro. Dobbiamo fornire non solo sostegno finanziario ma anche formativo agli imprenditori nella creazione di imprese” ha spiegato Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia, intervenendo all’evento “Un Paese che osa? L’imprenditorialità come risorsa per l’Italia” nel corso del quale è stato presentato presso la sede romana di Unioncamere il rapporto Global Entrepreneship Monitor Italia, Gem 2023-2024. Come ha ricordato l’amministratore delegato, “spesso non hanno le competenze necessarie per gestire il rapporto con il sistema bancario, anche se tecnicamente sono molto preparati. Inoltre – ha concluso – c’è un atteggiamento del mondo universitario troppo accademico. L’Italia è indietro rispetto al resto d’Europa, dobbiamo fare un passo avanti”.

Il rapporto sul monitoraggio dell’imprenditorialità globale, un’iniziativa importante nell’ambito dell’analisi dell’imprenditorialità a livello internazionale, avviata nel 1999 e coordinata dal 2023 con il supporto dell’Universitas Mercatorum – parte del gruppo Multiversity – e del Centro per l’innovazione e l’imprenditorialità dell’Università Politecnica delle Marche, si è progressivamente ha coinvolto oltre cento Paesi, diventando un pilastro nel monitoraggio e nella comprensione dell’attività imprenditoriale su scala globale.

Nel corso del 2023 la ricerca ha coperto 46 Paesi, raccogliendo dati preziosi attraverso interviste dirette a oltre 100mila individui e altri duemila testimoni chiave, offrendo così un quadro dettagliato e complesso del panorama imprenditoriale. Il suo valore non risiede solo nell’ampiezza dei dati raccolti, ma anche nell’analisi approfondita che offre. Attraverso un attento esame dei fattori che influenzano la propensione imprenditoriale, il rapporto cerca di far luce sulle motivazioni e sulle barriere che possono influenzare la decisione di avviare nuove imprese. Questo approccio mira a colmare il divario tra l’intenzione imprenditoriale e l’effettiva implementazione di nuovi progetti, fornendo così una visione più chiara delle dinamiche che modellano il tessuto imprenditoriale nazionale.

PROPENSIONE IMPRENDITORIALE

La relazione è stata presentata da Alessandra Micozziprofessore ordinario di Economia applicata e preside della Facoltà di Scienze sociali e della comunicazione presso l’Universitas Mercatorum, e Donato Iacobucci, professore ordinario di Economia applicata presso l’Università Politecnica delle Marche. “Il tema dell’imprenditorialità ci sta particolarmente a cuore”, ha commentato Iacobucci. “Non solo l’Italia ha un tasso di attivazione imprenditoriale tra i più bassi d’Europa, ma nell’ultimo decennio abbiamo avuto un calo del livello di attivazione di nuove imprese, passato da 400mila a 300mila. Questo dato non può essere interpretato come preoccupante. Le piccole e medie imprese si sono ridotte, ma l’occupazione nelle grandi imprese è aumentata. Ciò spiegherebbe anche i tassi di occupazione più bassi”.

UN PAESE CHE OSA

Il Global Entrepreneurship Monitor raccoglie in un’analisi comparativa con altri Paesi temi che dobbiamo conoscere per decidere, come la finanza, le politiche di governo, il trasferimento tecnologico, gli aspetti culturali e sociali, la formazione” ha dichiarato il magnifico rettore dell’Universitas Mercatorum Giovanni Cannatal. Il rettore ha individuato due aspetti centrali dell’analisi Gem, “la questione dei giovani e della formazione in un Paese che osa perché cambia e cambia osando, e l’attenzione a un dato come la cultura della produzione materiale, alle merci, alla beni rispetto ai quali siamo in presenza di processi di decentramento. Non ci sarebbe il Made in Italy se il Paese non avesse osato, se non avesse capito che dopo gli eventi bellici bisogna ripartire”.

LA DIFFICOLTA’ ITALIANA

“Fare impresa in Italia è difficile” – ha affermato Giorgio De Rita, segretario generale del Censis – “solo il 20% degli italiani pensa che sia facile. Questo perché abbiamo scaricato sul fare impresa le difficoltà strutturali incontrate negli ultimi anni. Se guardiamo ai salari, il nostro Paese è quello in cui sono cresciuti meno negli ultimi 20 anni. Fare impresa oggi è più difficile rispetto a 30 anni fa per fattori di contesto, ma il Paese ha scaricato sulle imprese e sul lavoro le sue difficoltà strutturali. Abbiamo resistito a tutte le crisi, ma non abbiamo sostenuto sufficientemente l’attività imprenditoriale”.

IL VALORE DEL CAPITALE UMANO

Uno dei pilastri fondamentali per promuovere l’imprenditorialità è il capitale umano. “L’Italia è indietro rispetto alla media europea, investiamo poco in capitale umano e siamo sotto la media dei Paesi Ocse”, ha dichiarato Stefano Scarpetta, Direttore per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. “Un altro punto centrale della questione è che manca il dialogo tra università e mondo del lavoro, per cui i giovani non vengono incoraggiati a fare impresa”, ha proseguito. «Tra i giovani è maggiore la paura di fallire: il 45% dei giovani italiani è avverso al rischio, contro il 39% in Europa. In un modello come quello americano, il fallimento è parte integrante del processo CV. In Italia è la fine di una possibile esperienza imprenditoriale. Tutte questioni fondamentali per creare un contesto favorevole al fare impresa. Occorre coinvolgersi nel mondo dell’istruzione e fare una seria riflessione su come agire per migliorare il capitale umano necessario a rilanciare la capacità dei giovani di fare impresa”.

TORNA AL 2019

«L’Italia, dove il piccolo imprenditore è stato artefice della crescita del Paese, si trova agli ultimi posti nel rapporto Gem», spiega Claudio Gagliardivice segretario generale dell’area Formazione e Politiche attive del lavoro di Unioncamere. “Nel 2023 abbiamo inserito 35mila nuove aziende nel sistema Excelsior. Negli ultimi 5 anni, eliminando dalle iscrizioni le imprese inattive e quelle agricole, abbiamo avuto 178mila iscrizioni, di cui 143mila vere e proprie nuove imprese. Questo dato è rimasto abbastanza stabile negli ultimi anni, nel 2023 siamo tornati ai livelli del 2019”.

FORMAZIONE AD HOC

“Definirei la relazione Gemma esplosiva”, ha detto Donatella Visconti, consigliere indipendente del Monte dei Paschi di Siena. «Questo perché sono venuti alla luce dati dormienti, presenti da tempo ma mai rilevati, che mostrano più imprese di adulti che di giovani. Anche perché gli adulti hanno un accesso più facile ai servizi di credito bancario. Il sistema creditizio è cambiato, è diventato più rigido a livello europeo, e quello italiano è formato da micro imprese che hanno subito il cambiamento normativo che ha costretto le banche a ridurre la loro presenza sul territorio. Il piccolo imprenditore italiano si è trovato di fronte al cambiamento, dovendo acquisire competenze formative nell’attività creditizia. I nuovi imprenditori hanno 50 anni e più e più del 50% sono laureati e, rappresentando il nostro futuro oggi, dovrebbero essere formati sulla stradaanche con attività di tutoraggio più moderno e dinamico. Tutto ciò richiede formazione ad hoc affinché l’imprenditore possa pianificare adeguatamente la propria attività”, ha concluso.

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV PIANO DI DIMENSIONAMENTO SCUOLA A PESCARA, SOSPIRI CHIEDE REVISIONE E SCRIVE A SANTANGELO
NEXT Dove si vive più a lungo (e in buona salute) in Italia? Nord. Basilicata, Molise e Calabria in fondo alla classifica – .