La lunga guerra del centrosinistra a Bari, cronaca di un disastro annunciato – .

C’è un nuovo modo di fare le primarie e se l’è inventato il centrosinistra barese: vanno direttamente alle urne dividendosi; poi – questa è la promessa – chi vincerà al ballottaggio avrà l’appoggio della perdente nel girone contro l’avversario di centrodestra.
Più o meno a cosa servono le primarie, se non fosse che nei sondaggi “veri” ci si aspetta che si combatta contro gli “avversari” e non contro gli “amici” che non sono riusciti a trovare un accordo. Insensato e assurdo? A Bari la pensano così in molti, ma è così.

Vito leccese
Michele Laforgia

Il duello tra Laforgia e il leccese

A questa conclusione sono giunti i due candidati alla carica di sindaco uscente Antonio Decaro, Michele Laforgia e Vito Leccese, dopo mesi di scaramucce, colpi bassi e, nelle ultime settimane, una vera e propria propria guerra aperta.
Senza attendere gli storici del futuro, si può affermare senza tema di smentita che in questo spettacolo poco edificante la parte dell’“aggressore” è stata interpretata dall’ex premier Giuseppe Conte, mentre il protagonista di quella della “vittima” è stato il Partito Democratico locale e nazionale.

In questa partita il cambio della guardia c’entra poco nel comune di Bari e ci sono stati tanti voti per cambiare gli equilibri al Parlamento europeo (3 deputati in Europa del M5S, contro 15 del Pd), il capo dei 5 Stelle ha solo lavorato per creare confusione: tra politica e magistratura, tra garantismo e giustizialismo, tra sinistra riformista e sinistra (più o meno) radicale.

Ricapitoliamo i vari episodi della saga che ha avuto come conclusione il riconoscimento dell’incomunicabilità tra le diverse anime del centrosinistra (Pd, M5S, Italia Viva e varie sinistre), dimostrata e praticata ben prima delle indagini della magistratura, quella su presunte infiltrazioni mafiose in il Comune (e che ha spinto il Ministro dell’Interno a inviare una commissione d’inchiesta con l’obiettivo di verificare se sia possibile sciogliere il Comune); e quello su una presunta compravendita di voti in un comune del Barese.

Inizia a metà autunno quando sulla scena del centrosinistra compaiono i primi protagonisti della futura rappresentanza, tutti autocandidati: 3 per il Pd (l’ex deputato Marco Lacarra, la consigliera comunale Paola Romano, l’unica donna rimasta all’orizzonte, e l’assessore Pietro Petruzzelli); e 1 proposto dall’associazione culturale alternativa di sinistra La Giusta Causa (avvocato Michele Laforgia).
Le polemiche sorgono subito, l’antipatia è reciproca da tempo: l’avvocato, noto penalista, figlio di Pietro Leonida Laforgia, unico sindaco nominato dal PDS (gennaio/settembre 1993), viene rimproverato da chi milita in il Pd, per un carisma eccessivo che lo porta ad essere “divisivo”; i democratici, invece, sono visti dai seguaci dell’avvocato come politici senza valori.

In ogni caso, le cose si mettono male subito. Il Pd non intende convergere sull’avvocato, ma non sa nemmeno scegliere tra i tre. La soluzione migliore potrebbe essere quella di utilizzare le primarie, inventate dal Pd alla sua nascita, per risolvere questioni di questo tipo. Ma non vengono nemmeno proposte perché, sia dentro che fuori dal recinto dem, comincia a diffondersi il veleno della possibilità che il voto venga inquinato: truppe di “cattivi” sarebbero pronte ai confini dell’area di saranno le persone “buone” a decidere al loro posto chi presentare alle elezioni. A ciò si aggiunge il “no” di principio del M5S alle primarie e quello dell’avvocato che si dichiara contrario proprio a causa di quei pericoli di inquinamento, delineando uno scenario in cui il voto potrebbe essere scambiato con diversi benefici. Cosa poi ipotizzeranno i magistrati nelle indagini sopra citate.

Da dove nasce l’indecisione del Pd?

Il tira e molla dura diverse settimane durante le quali però cominciamo a capire qualcosa: l’indecisione del Pd è dovuta anche al fatto che il sindaco uscente non piace a nessuno dei 3 autoproposti. Decaro ne ha un altro in mente, ma deve farlo convincerlo a partecipare alla sfida: è il suo capo di gabinetto, Vito Leccese. Ambientalista precoce, ex deputato verde, Vito Leccese della macchina comunale guidata dal centrosinistra conosce ogni dettaglio essendo stato consigliere dell’indimenticabile sindaco Enrico Delfino (quello che accolse gli albanesi di Valona nel 1991), poi con Michele Emiliano e poi con lo stesso Decaro: rappresenta la continuità dell’amministrazione con un tocco di verde importante.

Il leccese, però, non ha molta voglia di salire sul palco, dopo averlo lasciato restare dietro le quinte, e resiste. A fine novembre qualcosa si muove: i tre (auto)candidati del Pd fanno un passo indietro. Qualcuno nel Pd si aspetta che Laforgia faccia lo stesso per ripartire da zero, ma non ha intenzione di farlo l’avvocato, ormai sostenuto sia dai 5S che da Renzi, famigerato nemico di Conte e del suo Movimento, prova provata che la politica non fa è una scienza esatta.

Passa Natale e passa anche Gennaio. E nemmeno l’apertura a fine gennaio dell’inchiesta della magistratura sulle presunte infiltrazioni mafiose, con 130 arrestati, tra cui un ex consigliere regionale e la moglie consigliera comunale, cambia il quadro. Il 9 febbraio, però, il Pd ha annunciato di aver scelto il suo campione: Vito Leccese, non senza attriti interni, perché un gruppo (5 su 41 elettori) ha dichiarato di preferire Laforgia. A questo punto si tratta di trovare un accordo con il resto degli alleati.

Facile a dirsi, ma non a farsi perché inizia un altro periodo travagliato in cui nessuno vuole cedere a nessuno: né il Pd sul leccese, né la Convenzione (che riunisce i sostenitori dell’avvocato) su Laforgia. A questo punto l’unica opzione è utilizzare le benedette primarie. Miracolosamente adesso sembrano tutti d’accordo nel farli, anche Laforgia e i 5S. Siamo al 9 marzo e la data scelta è il 7 aprile. Tutto sembra tornato alla normalità, siamo tornati sulla strada maestra, ora vinca il migliore.

Giuseppe ConteDietro l’atto di rottura di Conte

Ma – ahimè – siamo solo a metà del dramma perché tutto questo arriva con la notizia dell’invio a Bari della commissione ministeriale per verificare l’eventuale scioglimento del Comune per mafia, viste le indagini della magistratura. I rappresentanti del centrodestra barese si sono spinti su questa strada pur senza assumersene la responsabilità. La decisione ha due conseguenze: la prima è quella del Bari finisce sotto i riflettori nazionali, cosa che nemmeno la notizia dei 130 arresti era riuscita a fare; la seconda è che un sentimento di indignazione enorme avvolge la città. Il 23 marzo almeno 10mila persone scendono in piazza per sostenere Decaro e la sua amministrazione perché – dicono – Bari in questi vent’anni è cambiata, arrivando fino alle grandi città europee, tanto che nessuno pensa di respingerla, quando veniva chiamata “terra di snatch”.

Sembrerebbe un punto fermo, ma non lo è. Mentre i riflettori nazionali si dilettano tra selfie (di Decaro) e chiacchiere (di Emiliano) sui rapporti con le donne dei clan, arriva un’altra inchiesta giudiziaria che coinvolge il sindaco di un piccolo paese e un ex consigliere regionale e suo fratello per presunti scambi di voti e soldi. Siamo nella settimana che precede le primarie: il 4 aprile Conte coglie l’occasione e, senza nemmeno una telefonata agli “alleati”, dichiara di considerare nulle le primarie: il “suo” candidato, cioè Laforgia, non sarà lì il 7.
È uno schiaffo in faccia al Pd in piena faccia e il segretario Schlein non usa più i guanti di velluto: in piazza Umberto, dove si riuniscono, affranti, i Dem per quello che doveva essere l’ultimo comizio pubblico prima del voto, tratta l’alleato di “slealtà”. Ormai è chiaro a tutti che non ci sarà riconciliazione, che il voto sarà diviso e che a questo punto il centrosinistra corre un rischio davvero grosso.

Gli ultimi giorni rischiano di passare per quelli della farsa dopo la tragedia. Vendola, che ufficialmente sostiene Laforgia, propone che entrambi i candidati facciano un passo indietro per rifugiarsi sotto l’ombrello di una persona integerrima come il magistrato Nicola Colaianni, all’epoca ex deputato del Pds, allora vicino all’ex governatore. Ma nessuno si aspetta nulla dal tentativo e infatti né il leccese né Laforgia accettano: andranno alle urne l’8 giugno e gli elettori sceglieranno tra i due.

Come andrà a finire? Come è stato detto, la politica non è una scienza esatta. Supponendo che il candidato del centrodestra (Fabio Romito, consigliere regionale approdato alla Lega dopo un passato da fittiano) passi al ballottaggio, uno dei due lo sfiderà al secondo turno. E questo è lo scenario più probabile. Ma non è condiviso da tutti.

Alcuni (i catastrofisti) immaginano che, grazie al disastroso comportamento del centrosinistra negli ultimi sei mesi, accompagnato dalle inchieste della magistratura, che come è avvenuto in passato, sono considerate sentenze e non inchieste, il centrodestra farà un comparsa, vincendo al primo turno. Altri (gli ottimisti) invece immaginano che il pandemonio provocato dalla magistratura e mal gestito dalla politica non basterà al centrodestra, debole e senza idee, e che il suo candidato non passerà al ballottaggio, lasciando le due sinistre con il compito di combattere una guerra civile che getterà la sua ombra sulla futura amministrazione.

Una cosa però è certa: a Bari, qualunque cosa accada, non sarà un successo.

Tag: lunga guerra centrosinistra Bari cronaca annunciata disastro

 
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