Ottanta anni fa Torino scioperava contro la fame e il terrore – .

Alle 9 di mercoledì 18 aprile 1944, ottant’anni fa, ebbe inizio lo sciopero generale “contro la fame e il terrore” indetto dal CLN di Torino, prova generale dell’insurrezione dell’anno successivo. Nonostante il regime bellico e la censura fascista, le strade sono piene di scritte e manifesti clandestini. I primi a fermarsi sono stati i lavoratori di Borgo San Paolo, Regio Parco e Fiat. Alle 10 la città è paralizzata, industrie bloccate, tram fermi, negozi chiusi, uffici e scuole sprangate, ferrovie interurbane bloccate. Camion di fascisti percorrono le strade a tutta velocità per intimidire con la loro presenza; miliziani in camicia nera guidano i tram per dimostrare che il trasporto pubblico funziona. Ma presto fascisti e miliziani si ritirano. Torino risponde con entusiasmo all’appello del Comitato di Liberazione Nazionale. Manca un anno alla liberazione dalla dittatura nazifascista.

Il fermento si diffonde in Piemonte e in tutto il Nord. Il 4 aprile 1944, Martedì Santo, i vescovi del Piemonte, riuniti con Maria Ausiliatrice, scrivevano una lettera preoccupata al clero e al popolo per la Pasqua del 1944: «Sono ormai passati quattro anni di guerra, e invece della tanto attesa pace ecco l’invasione della nostra Italia; ecco le incursioni selvagge che mettono allo scempio popolazioni indifese; Roma violata; L’Italia divisa; anime disorientate”. Lo scrivente è Giuseppe Angrisani di Torino, vescovo di Casale Monferrato.

In un convegno del 1986 sulla Resistenza in Piemonte, mons. Lo rivela Franco Peradotto

che «della famosa lettera dei vescovi piemontesi per la Pasqua del 1944 lo scrittore principale fu mons. Giuseppe Angrisani, vescovo di Casale Monferrato”, anche perché il torinese Angrisani è autore di “Comunismo e giustizia sociale cristiana” edito da Marietti nel 1949. Sottotitolo “Conferenze particolarmente utili per parroci e docenti di AC con lettera di presentazione del Sua Eminenza il Signor Cardinale Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino”.

I 18 vescovi subalpini si rivolgono «a quelli dei nostri figli che hanno in mano la forza delle armi, diciamo con il Battista: “Astenetevi da ogni vessazione e da ogni calunnia e accontentatevi della vostra paga”. Le armi sono per la tutela dell’ordine, per la difesa della Patria, cioè dei cittadini. Non devono mai essere strumento di vendetta feroce, soprattutto contro popolazioni e famiglie”. Parole chiarissime rivolte – senza nominarle – agli occupanti tedeschi, ai fascisti e repubblicani, ai partigiani, soprattutto comunisti: “Tutti devono seguire la legge naturale e divina e rispettare le leggi dell’umanità”. I vescovi “condannano ogni forma di odio, vendetta, ritorsione e violenza”.

La seconda categoria sono “i cari bambini lavoratori che abbiamo cominciato ad avvicinare nelle fabbriche”. «Pasqua in fabbrica» è una pratica che si sta diffondendo. I vescovi sentirono crescere enormemente la presa del Partito comunista sulle masse operaie che, nella sola Torino, passarono da 700 iscritti nel marzo 1943 a 16.000 nel marzo 1945, a 66.265 nel settembre 1945. Nonostante le “sirene comuniste”, gli operai continuarono” a la stragrande maggioranza, un fondo di bontà e sincerità. Ricordiamo che la radice di ogni affermazione sta nella dottrina proclamata dall’Operaio di Nazaret, Gesù; che l’uguaglianza, la fratellanza, la giustizia venivano solo da Lui. Non fatevi ingannare: c’è un solo Messia, Gesù”. Leone XIII nel 1891 auspicava “la ripresa operaia di fronte alla sorda opposizione di governanti indifferenti e di proprietari avidi”; Nel messaggio di Natale del 1942, Pio XII afferma che l’operaio «ha diritto ad avere qualche piccola proprietà privata per non vedersi condannato alla dipendenza economica e alla servitù». La Chiesa difende gli operai «dai falsi profeti che pretendono di ridurre l’uomo a materia, relegando Dio in soffitta tra le favole, combattendo la religione come oppio dei popoli, rovesciando la morale come sostegno del ricco sfruttatore, negando l’anima con valori eterni, chiudendo il cielo alle irrefrenabili aspirazioni dell’aldilà, disgregando la famiglia e gettando le masse nella violenta lotta di classe”.

Un attacco in piena regola contro i comunisti, rafforzato dalla condanna di Pio XII davanti a 25mila lavoratori il 13 giugno 1943: «La salvezza e la giustizia non stanno nella rivoluzione ma nell’evoluzione armonica. La violenza non ha mai fatto altro che demolire, non elevare; accendere le passioni, non calmarle; accumulate odio e rovina, non unite i contendenti”. È l’anticipazione della dura condanna che il decreto del Sant’Uffizio del 1° luglio 1949 scaglierà contro l’ideologia e la pratica comunista. Non si tratta, formalmente, di scomunica ma della dichiarazione ufficiale che i cristiani che professano, difendono e propagano la dottrina comunista si ritrovano ipso facto scomunicati perché, aderendo ad una filosofia materialistica, sono apostati.

I lavoratori vengono esortati a rifuggire la lotta di classe; pensare «ai tanti leader di ieri che nel momento della lotta cambiarono casacca, abbandonando il popolo nella mischia»; considerare “le rovine ancora fumanti della Spagna dove il comunismo ha portato avanti i suoi crudeli esperimenti”. Poi l’appello strappalacrime: «Guardate negli occhi le vostre mamme, le vostre mogli, i vostri figli e poi allevateli a contemplare il Divino Crocifisso e la dolce Madre Maria; e dite se potete applaudire, accettare, instaurare un sistema di vita che ridurrebbe tutto a un mostruoso dispositivo statale, che annulla la dignità umana e la gioia del focolare domestico”.

I vescovi esortano tutti alla penitenza, alla conversione di vita, alla modifica dei costumi. La descrizione è apocalittica: «La blasfemia e lo sfogo delle passioni più brutali diventano ogni giorno più diffuse: e il comportamento di questa povera umanità, giovane e adulta, che ogni giorno riempie treni e autobus è un sintomo spaventoso». In sostanza «una vita frivola, leggera, mondana, pagana. L’avidità del guadagno ha sostituito il culto del vero Dio con il culto del vitello d’oro; fece rinunciare a Giuda ogni sentimento di umanità per i trenta denari. Gli intrattenimenti lascivi o addirittura osceni dissacrano le feste, dissacrano le famiglie e le coscienze. I sentimenti di onestà, fedeltà e timore di Dio lasciano il posto alle torbide passioni della lussuria, dell’adulterio, della sfrenata indipendenza nei costumi. La vanità, il lusso, il trionfo ostinato, metodico, ostentato delle mode volgari e immodeste crescono ogni giorno come una marea di fango, provocando castighi e accendendo fuochi di concupiscenza.

I vescovi si rivolgono ai sacerdoti: «Come siete stati esemplari nel restare saldi al vostro posto in mezzo alle incursioni e alle guerriglie, presso le vostre chiese e case canoniche distrutte o danneggiate, così siete stati magnifici operatori del bene nel campo della carità . I rifugiati e gli sfollati, gli indigenti e i senzatetto hanno trovato in te il loro protettore e padre”. Un elogio al clero piemontese che ha ampiamente meritato: «Da mille luoghi si sono levate voci in vostra lode. Il Signore ti benedica e ti ricompensi”. Poiché anche i preti possono lasciarsi ammaliare dalle “sirene comuniste”, allora “ricordiamo il disposto dell’art. 43 del Concordato che vieta agli ecclesiastici e ai religiosi di aderire e aderire a qualsiasi partito politico”.

Un pensiero accorato ai sacerdoti caduti “vittime della loro carità. Dio li ha scritti nel registro della sua gloria. Nella loro memoria e seguendo il loro esempio, ciascuno di voi resta fermo nel proprio posto di lavoro e di responsabilità; ciascuno preceda con la luce dell’esempio”. Particolare impegno deve essere profuso dai sacerdoti con «tante anime generose che si raccolgono attorno a noi per aiutarci a riportare Gesù alle menti ottenebrate, ai cuori amareggiati e delusi, alle famiglie sconsolate, a una società lacerata. Tra queste anime generose” si ricordano i membri dell’Azione Cattolica “che, malgrado le difficoltà e la durezza del momento e le dolorose avversità e incomprensioni, continuano con generosa fedeltà la loro attività”, attività “necessaria e preziosa, soprattutto nel campo della religiosità cultura, carità, formazione e preparazione alla ricostruzione sociale su basi cristiane”.

Concludono i vescovi: «Il Signore benedica l’umanità povera e martoriata; benedici e riconcilia l’amata Patria nell’armonia delle anime; benedici coloro che operano con pura intenzione per il bene comune e per ricostruire i beni perduti; benedici chi nel silenzio e nell’operosità accetta le restrizioni, il lavoro, il dovere. Benedici chi mette al di sopra di ogni cosa la pratica dell’amore fraterno, dell’aiuto al bisognoso, della misericordia per il viandante indigente, vedendolo e aiutandolo in ogni creatura, come ci hanno insegnato a fare Giovanni Bosco e Giuseppe Benedetto Cottolengo, i cari Santi del nostro Piemonte “

La lettera è firmata dal cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino; Giacomo Montanelli arcivescovo di Vercelli; Umberto Rossi vescovo di Asti; Nicolao Milone (Alessandria); Giovanni Bargiggia (Vigevano); Gaudenzio Binaschi (Pinerolo); Umberto Ugliengo (Susa); Francesco Imberti (Aosta); Sebastiano Briacca (Mondovì);

Luigi Maria Grassi (Alba); Giacomo Rosso (Cuneo); Paolo Rostagno (Ivrea); Carlo Rossi (Biella); Leone Ossola amministratore apostolico di Novara; Giuseppe Angrisani vescovo di Casale Monferrato; Egidio Luigi Lanzo (Saluzzo); Dionisio Borra (Fossano); Giuseppe dell’Omo (Acqui Terme).

Pier Giuseppe Accornero

 
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