Il Museo di Storia della Fisica “Poleni” dell’Università di Padova è in corsa per il primo posto in Europa – .

Il Museo di Storia della Fisica “Poleni” dell’Università di Padova è in corsa per il primo posto in Europa – .
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“Ho avuto un’esperienza terribile, sono quasi morto, sono scappato per miracolo!”. La vita dei pionieri della fisica moderna potrebbe essere decisamente pericolosa. Lo scienziato olandese Pieter van Musschenbroeck, che nel 1746 scrisse al collega veneziano Giovanni Poleni – allora professore all’Università di Padova – illustrando i suoi esperimenti con un dispositivo elettrico al quale stava lavorando, quella che oggi conosciamo come la bottiglia di Leida.

La bottiglia di Leida, dal nome della città natale di van Musschenbroeck, è uno strumento scientifico in grado di accumulare una notevole quantità di carica elettrica. Se si tocca l’elettrodo carico, come fece il fisico olandese, la scossa è assicurata, e per di più forte. Per sua fortuna, non tanto da impedirgli di raccontare l’elettrizzante esperienza a Poleni, di cui conosceva bene l’interesse per la fisica sperimentale e le dimostrazioni di laboratorio come strumento didattico. Era trascorso poco più di un secolo dalla morte di Galileo e Poleni, chiamato a insegnare nella stessa università in cui il padre del metodo scientifico aveva trascorso i 18 anni migliori della sua vita, ebbe ben chiaro quanto lo studio e l’insegnamento di la fisica poteva basarsi solo sulla sperimentazione e sulla dimostrazione pratica delle leggi teoriche.

Per questo motivo Poleni avviò la creazione di un laboratorio di fisica, un laboratorio didattico e di ricerca che comprendeva circa 400 strumenti – in parte realizzati nell’Atelier dei fratelli Jan e Pieter van Musschenbroeck – che divenne presto un punto di riferimento in Europa. Così come lo è oggi il Museo di Storia della Fisica dell’Università di Padova, che prende il nome da Giovanni Poleni e che attualmente concorre a diventare il museo europeo dell’anno.

Il Museo Poleni è, infatti, tra i finalisti dell’edizione 2024 del Premio Museo Europeo dell’Anno (Emya 2024), che verrà assegnato a Portimão, in Portogallo, ai primi di maggio. Un riconoscimento di grande prestigio, tanto che nel suo albo d’oro figurano musei come il Rijkmuseum di Amsterdam, le British Galleries del Victoria and Albert Museum di Londra, il Museo Nazionale Danese di Copenaghen, il Museo Olimpico di Losanna e il Guggenheim di Bilbao. Solo due musei italiani sono stati selezionati per la fase finale del premio: il Poleni, appunto, e Villa Freischuetz a Merano e si contenderanno quindi la possibilità di essere il primo museo del nostro Paese a aggiudicarsi l’ambito premio.

Il Museo di Fisica dell’Università di Padova ha il suo nucleo originario in un centinaio di apparecchi del Gabinetto Poleni giunti fino ai giorni nostri. Dopo Poleni, la collezione venne progressivamente arricchita dai suoi successori nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. La strumentazione, destinata principalmente all’insegnamento della fisica ma anche ad attività di ricerca, fu continuamente adeguata agli sviluppi scientifici e nel corso degli anni furono acquisiti migliaia di nuovi apparecchi, oltre ad alcuni apparecchi più antichi risalenti ai secoli XVI e XVII.

Durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi la collezione fu trascurata e solo negli anni settanta il fisico padovano Gian Antonio Salandin la recuperò e la valorizzò a fini museali. Oggi circa 500 pezzi sono esposti nel Museo, ospitato nel Dipartimento di Fisica e Astronomia, aperto al pubblico e sede di numerosi eventi didattici. Con il Museo “vogliamo far emergere le connessioni che hanno legato la fisica ad altre discipline, come la medicina, l’arte, l’architettura, la musica o la psicologia, per riaffermare attraverso gli strumenti della fisica quella che potremmo chiamare la “multiculturalità” della scienza”, afferma Sofia Talas, curatrice del museo, che prosegue: “In un momento in cui la conoscenza appare estremamente frammentata, è importante mostrare come la conoscenza sia profondamente interdisciplinare. La separazione tra le conoscenze, che spesso ostacola il progresso della conoscenza, non esisteva fino a tempi relativamente recenti. Lo stesso Giovanni Poleni, i cui contributi hanno abbracciato innumerevoli settori del sapere, dall’architettura antica alla fisica e all’astronomia, ne è un esempio”.

Fu infatti chiamato nel 1729 dalla Serenissima Repubblica di Venezia a verificare le anomalie strutturali presenti nelle cupole della basilica di San Marco a Venezia, mentre solo pochi anni dopo realizzò la macchina divulsivante, oggi visibile nella museo, che utilizzò per studiare la resistenza dei materiali durante il restauro della cupola di San Pietro a Roma. Nel 1743, su richiesta di papa Benedetto XIV, Poleni aveva studiato dettagliatamente la struttura, concludendo che era necessario riempire le crepe e rinforzare la cupola con cerchi in ferro.

Il Museo Poleni vuole quindi essere testimonianza di un passato prezioso, ma anche strumento multidisciplinare per interpretare e costruire il futuro. “Con la nostra collezione stimoliamo domande e riflessioni sugli attuali rapporti tra scienza e società”, afferma la curatrice, che prosegue: “Cosa significa successo o fallimento in campo scientifico e tecnologico? Quanto è importante il contesto sociale, economico e politico per gli sviluppi scientifici e tecnologici? E cosa significa fare distinzioni tra ricerca fondamentale e ricerca applicata quando vediamo, nella storia, settori di ricerca – come lo studio delle scariche elettriche nei gas rarefatti – che non hanno prodotto risultati per quasi due secoli, per poi aprire la strada porte della fisica moderna e portare applicazioni importanti come la televisione o l’illuminazione al neon? Non vogliamo fornire risposte, ma solo stimolare la riflessione e il pensiero critico, soprattutto nei giovani, i futuri cittadini di domani. Con un occhio attento alla sostenibilità – per le installazioni abbiamo puntato il più possibile sul riutilizzo dei materiali – e andando anche un po’ controcorrente”.

Sì, perché a differenza di molti altri allestimenti museali moderni oggi, Sofia Talas sottolinea con orgoglio che “non abbiamo utilizzato strumenti multimediali o esperienze immersive nella mostra permanente. Abbiamo preferito lasciare tutto lo spazio ai bellissimi strumenti storico scientifici dell’Università di Padova, che hanno non una, ma mille storie da raccontare al pubblico”.

Informazioni e orari per la visita al museo:
https://www.musei.unipd.it/it/fisica

Tag: Poleni Museo Storia Fisica Università Padova corsa Europeo top

 
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