La peste suina mette a rischio il prosciutto di Parma. Il virus che lancia l’allarme nel settore dal 7 gennaio 2022 non riguarda la salute umana. Ma quello del settore commerciale sì. In Emilia-Romagna sono 150 i casi di ritrovamento di carcasse di cinghiali infetti dalla malattia. E l’Unione Europea ha pubblicato un regolamento che amplia le zone di restrizione. Mentre i proprietari degli allevamenti finiscono sotto inchiesta per aver nascosto la malattia. «Cerchiamo di essere chiari. Ciò che sta accadendo deve essere trattato come un’emergenza, altrimenti non ne usciremo”, dice a Repubblica il direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma Stefano Fanti.
Esportazione bloccata
Attualmente 15 stabilimenti che producono prosciutto di Parma non potranno più esportare in Canada. Anche Cina, Giappone e Messico hanno bloccato le esportazioni. Reggono ancora Stati Uniti e Australia. «Ma se non si lavora subito per impedirne la diffusione si correranno seri rischi: se dovesse passare dai cinghiali ai maiali, in caso di diffusione negli allevamenti allora mancherà la materia prima proprio come è avvenuto nel caso passato a Pavia dove migliaia di dirigenti”, aggiunge Fanti. Anche se il contagio colpisce solo la fauna selvatica. La zona rossa riguarda zone come Felino e Sala Baganza. Nel settore dei salumi felini non risultano attualmente aziende in difficoltà. Ma le limitazioni valgono anche nel caso in cui venga ritrovata una carcassa a 15 chilometri dal salumificio.
L’uccisione dei cinghiali
La Regione chiede una cosa precisa: «Ridurre drasticamente il numero dei cinghiali debellando il virus per salvare l’allevamento e l’export di carni suine, perché il rischio che l’epidemia si ripercuota su imprese e occupazione è drammatico». La Coldiretti dice che la filiera vale “20 miliardi di euro”.
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