Chiappetta e Ciardullo, quegli intellettuali messi a tacere dal fascismo – .

Michele De Marco, alias Ciardullo, e Antonio Chiappetta, due amici, due intellettuali che volevano raccontare la Calabria sotto il fascismo


CHISA quale espressione si sono ritrovati i fondatori, e quasi sempre redattori, dei giornali locali quando hanno ricevuto da qualche gerarchia fascista l’ordine di chiudere il loro giornale perché non gradito al regime. Chissà con quale arguta ironia Michele De Marco, alias Ciardullo, e Antonio Chiappetta hanno saputo mascherare il loro disappunto per poi commentare l’abuso della libertà di stampa subito. I due, infatti, prima di tutto, erano amici uniti dal desiderio di raccontare la Calabria, o una provincia, come quella di Cosenza, dove le condizioni di vita erano spesso molto lontane da quelle di tante altre città del Nord o comunque inferiori. un livello accettabile di dignità decente.

Li ricordiamo spesso per altro, questi due giganti della cultura calabrese e cosentina e rischiamo di dimenticare il loro fiero antifascismo. Antonio Chiappetta, ad esempio, di qualche anno più grande di Ciardullo (è nato a Cosenza nel 1876, Ciardullo nel 1884) è passato alla storia per aver creato Jugale, personaggio per eccellenza della cultura popolare, in un poemetto in versi in cui il protagonista, Jugale appunto, combina una buffonata dopo l’altra.

La leggenda narra che la poesia fu composta quando Chiappetta aveva solo sedici anni, e frequentava il liceo (in cui fu allievo di un importante letterato come Nicola Misasi), e che poi, in qualche modo, si allontanò se ne allontana perché troppo preso dal giornalismo e soprattutto dal calore della denuncia, della rabbia, della protesta per una Calabria in cui tutto era promesso e nulla era concesso.

Lo stesso Jugale finì bruciato nel camino per uno scatto d’ira del suo autore, e se non fosse stato per il coraggio di uno dei suoi figli più piccoli, che estrasse le pagine non ancora divorate dalle fiamme, nulla sarebbe potuto accadere. sono arrivati ​​a questo punto. Noi. Ma nella maturità Chiappetta ha avuto tante altre battaglie da combattere, tante altre denunce da sostenere. Il 26 giugno 1902 veniva pubblicato il primo numero del suo “Giornale di Calabria”, straordinario strumento per amplificare e diffondere i suoi anatemi contro i politici corrotti, le differenze di classe, le ingiustizie e l’oppressione. E quando cominciò il Ventennio continuò la sua linea di non fare sconti a nessuno con un giornale, come scrisse lui stesso, “onesto dalla testa ai piedi fino alla punta dei piedi”.

Il Giornale di Calabria venne però chiuso nel 1925: nella ricca biografia scritta da Gianfranco Abate e pubblicata dalle Edizioni Orizzonti Meridionali nel 2002, leggiamo che Michele Bianchi consigliò ad Antonio Chiappetta di smettere di attaccare il Pnf ma che Chiappetta preferì seguire la voce di la sua coscienza, pur sapendo che il mancato allineamento gli sarebbe costato caro.
La sua tipografia, che ereditò dal padre e dove stampava il suo giornale, attraversò un periodo difficile e chiuse nella seconda metà degli anni ’30. Fu praticamente costretto a morire di fame e la sua bella e grande casa in corso Plebiscito, nel cuore del centro storico di Cosenza, venne venduta stanza per stanza finché Chiappetta e la sua famiglia si ridussero a vivere in una sola stanza.

Senza giornale e senza tipografia, continuò a professare il suo antifascismo con le parole, i famosi dibattiti culturali del circolo Renzelli, aspettando fiducioso la caduta della dittatura, opponendosi alle sue brutalità, soprusi e menzogne, incoraggiando soprattutto i giovani a non rinunciare mai agli ideali di democrazia e libertà.
Antonio Chiappetta muore il 7 agosto 1942. Ciardullo parla così del suo vecchio amico in una ristampa della Jugale: «Pensiamo all’ingiustizia di un destino perverso, che ha voluto che non vedesse quell’alba di luce che spuntò dopo vent’anni, venti per lui anni di fiduciosa attesa che gli fecero sopportare, in sublime povertà, oppressione e persecuzione”.

Ma Ciardullo ebbe anche i suoi problemi con il regime fascista: originario di Perito di Pedace (dove il nipote Francesco, ancora oggi, è memoria artistica del nonno) fu avvocato e poeta, come il padre Vittorio, attività alle quali aggiunse quelli di giornalista e insegnante.
Quando si rifiutò di aderire al Pnf, per tutta risposta chiusero il suo studio legale. Fondò due giornali, Ohè (settimanale umoristico) e Calabria Democratica, che chiusero entrambi. Collaborò al quotidiano satirico Fra’ Nicola, lamentando in versi il conformismo e l’arretratezza della società cosentina dell’epoca.

Dialetto e ironia furono strumenti formidabili per criticare i costumi della società cosentina, “spesso vuota e specchio fedele dell’Italia fascista”. Su questo giornale, nota Addante, «attraverso la satira esprimeva un’esigenza di libertà molto pragmatica, una libertà da promuovere con sguardo democratico, e quindi da rivolgersi a chiunque, senza distinzioni».
Lo stesso “Ciardullo”, il suo pseudonimo, fu scelto mutuando il cognome della guardia municipale del suo paese, quasi come se lui stesso volesse porsi a garanzia di una moralità e di una libertà sempre più dilapidate.

Ma come Chiappetta è ricordato per Jugale, Ciardullo è ricordato anche per la sua attività poetica e (soprattutto) per il teatro: i testi dei drammi e delle commedie sono oggi praticamente introvabili, come l’ultima raccolta curata da Antonio Piromalli e pubblicata da Mide edizioni del 1984 e sono tutti testi (che peccato…) scomparsi dalle sale. È davvero difficile che Ciardullo venga rappresentato oggi.
A differenza di Chiappetta, però, ebbe la fortuna di sopravvivere al regime e, caduto il fascismo, il prefetto di Cosenza Pietro Mancini lo nominò sindaco di Pedace, suo paese natale. Ohè e la Calabria Democratica rivivono negli anni Quaranta. Il fascismo non c’era più, e soprattutto la nascente Democrazia Cristiana finì nel mirino di Ciardullo. Ma questa è davvero un’altra storia.

 
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