Conti torna a Sanremo, è la Rai dell’usato sicuro

Non moriremo da democristiani (forse) a Palazzo Chigi; all’Ariston certamente sì. Perché la Rai è congenitamente democristiana e Sanremo è congenitamente Rai. Prevedibili, dunque, inclusivi, emollienti, con provocazioni così dosate da non provocare nessuno. Dal festival dei festival ci aspettiamo certezze, non novità, come si conviene all’eterno ritorno del sempre uguale. Coraggio con i begli applausi, forza con il televoto, avanti con i fiori della Riviera. Anche il politicamente corretto viene masticato e digerito senza fare una supplica. Il cameriere, un’odiosa usanza sessista e patriarcale? Chiamiamola co-conduttrice, palla avanti e pedala. Le infinite sale da pranzo italiane vanno rassicurate, non destabilizzate.

E chi meglio del Buon Presentatore, dell’Eccellente Presentatore, del Saggio Direttore Artistico (le due figure sono unificate da anni, un concentrato di poteri rispetto al quale la premiership è una beffa)? Qui trionfa il Mediomano, capace di officiare la messa cantata con la dovuta banalità. E in effetti, quale notevole stabilità governativa. I record dei tre conduttori più presenti al Festival, Pippo Baudo 13 edizioni, Mike Bongiorno 11, Amadeus 5 (a pari merito anche Nunzio Filogamo, ma quattro sono solo radiofonici) battono di gran lunga quelli dei presidenti dei ministri: per De Gasperi appena otto governi, sette per Andreotti, sei per Fanfani. Istituzioni vere, insomma. Prendi Mike, l’uomo che, di fatto, ha inventato la tv in Italia: appare per la prima volta nel 1963 e per l’ultima volta addirittura nel ’97, un’era geologica successiva, quando era già un volto Mediaset. Eppure sempre uguale, dai capelli cotonati in giù, comprese le gaffe che lo hanno reso “uno di noi” in tempi non ancora infestati dal “uno vale uno”. In quella sua festa terminale, continuava incessantemente ad annunciare come A casa di Lucia la canzone di Silvia Salemi, che in effetti era A casa di Luca (propaganda di genere, griderebbero oggi alcuni fratelli in Italia). Nonostante quanto sostenesse Umberto Eco nel celebre saggio, che Mike fosse tutt’altro che stupido è dimostrato dal fatto che sapeva di essere stupido, o almeno sapeva comportarsi da stupido, evviva! E Baudo? Un uomo senza qualità che quindi le aveva tutte, il tipo di sconosciuto che nello scompartimento del treno ti informa che non esistono più stagioni intermedie, bere un caffè a Napoli è tutta un’altra cosa e sì, questi calciatori guadagnano troppo. Sapeva che era il punto zero del cliché, ma anche che era ciò che il pubblico voleva sentire: l’ovvio della gente. Anzi, l’ego di Baudo si espanse sempre di più fino a raggiungere un superumanesimo spettacolare in tutti i sensi. Come se Arnaldo Forlani avesse letto Nietzsche: ecco allora i cavalli pazzi riportati alla ragione, i suicidi salvati in articulo mortis, i voti miracolosi, e questo l’ho inventato io!

Il canone è questo: il resto, variazioni sul tema. Fabio Fazio declina il nazional popolare in chiave politicamente corretta da sinistra illuminata con alcuni espedienti sorprendenti come Pavarotti Vallettone, e Luciana Littizzetto per l’irriverenza attesa. Idem Amadeus, solo che con lui il compito di inventare qualcosa che esca dalla liturgia più consolidata spetta a Fiorello. Antonella Clerici vestita da Fata Confetto propone un modello femminile materno-tranquillante, una festa fatta in casa come le infinite fettuccine dei suoi programmi, ma niente chef stellati, per carità, solo sana cucina casalinga. Per l’attuale Conte IV, l’Abbronzato, ne siamo certi, farà valere la sua impeccabile professionalità ma senza invenzioni sconsiderate: l’umore politico nazionale, del resto, non si presta a ciò. Insomma, quello che meno si è conformato agli schemi più tradizionali e conosciuti è Paolo Bonolis (due edizioni come Claudio Baglioni, ovvero il canzoniere pop nazionale), se non altro per un’incontinenza verbale quasi surrealista che lo ha portato a uscire di scena pista battuta. Uno dei pochi a farlo, in effetti. Per avere una prova “contro” basta guardare chi il festival lo ha “fatto” una sola volta. Troppo facile ricordare il disastroso quartetto di figli d’arte ma purtroppo con la parte dell’89, Celentano-Dominguin-Quinn-Tognazzi (il governo Tambroni di Sanremo), o lo sfortunato Giorgio Panariello del 2006. Prendete la donna più famosa TV italiana, l’Amato: Raffaella Carrà. All’Ariston una sola volta, nel 2001. Perché Carrà era trasgressivo, per niente rassicurante, icona della televisione post-sessantottina e rivoluzionaria, seppure nei modi elegantissimi, in bianco e nero di Antonello Falqui, di quella Rai sì bella e perduta . Insomma, moriremo Sanremo: e va bene.

 
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