A Bari la gente “copia” male e si mette in mostra peggio, partiamo dalla realtà – .

A Bari la gente “copia” male e si mette in mostra peggio, partiamo dalla realtà – .
A Bari la gente “copia” male e si mette in mostra peggio, partiamo dalla realtà – .

Partiamo da ciò che funziona, dalle cose fatte bene: il Park and Ride, ad esempio, è ormai da anni un elemento essenziale della viabilità barese. Perché funziona? Perché risolve un problema praticando un esercizio di realtà: se da un lato ti spinge a preferire i mezzi pubblici all’auto, dall’altro ti indica dove “rinunciare” a quest’ultima. Non si aspetta che le macchine si smaterializzino, scompaiano all’improvviso, scompaiano dall’orizzonte solo perché il mondo è in preda a rivoluzioni ecologiche.

Le piste ciclabili, invece, funzionano in modo opposto. Ti offrono un’alternativa, certo, ma senza esercizi di realtà. E così centinaia di parcheggi vengono allegramente rimossi per liberare il ciclista che è in noi. A patto che non piova, ovviamente, o non ci siano bambini da portare a scuola o anziani da accompagnare. O troppe borse della spesa al seguito. Il risultato è che un piccolo segmento di persone, o meglio l’élite, va in bicicletta, solitamente atteso da incroci killer alla fine del viaggio. vieni in rosa. Un grottesco incrocio tra Strade perdute di David Lynch e della Cobram Cup di Fantozzi mentre, in tutto questo, centinaia di auto (sono le stesse di prima) cercano parcheggio (sono la metà di prima), attaccando gli innocui dintorni. Si scoprirono tutti amanti di Dostoevskij quando disse che “due più due fa quattro ma quanto sarebbe più bello se fosse uguale a cinque”. I baresi in macchina, tra piste ciclabili e strade pedonali, provano a farne cinque ogni giorno. Curiosamente senza successo.

Ma è un’impresa plebea, quella del parcheggio, che si oppone alle grandi trasformazioni del nostro tempo. Trasformazioni a cui il Bari sta cercando di adattarsi da tempo. Alcuni la chiamano modernità, altri la chiamerebbero conformismo. Quello doversi evolvere, noi mediterranei, in tulipani olandesi: biciclette, pedonalizzazione, arte contemporanea. Il nuovo mondo. Peccato che anche copiare, che non è reato, sia un’arte difficile. E torniamo all’inizio: il P&R, inventato dagli inglesi cinquant’anni fa, si è rivelato un’ottima soluzione per il Bari. Tutto il resto era furia ideologica più o meno sconsiderata. Dunque, «nel Bari che vorrei», la precondizione dovrebbero essere gli esercizi di realtà, anche nel conformismo a cui siamo condannati. Ad esempio, una raccolta differenziata che non richieda lauree in chimica per separare i materiali o un master nella Silicon Valley per far funzionare qualche app incomprensibile che costringa gli anziani a rivolgersi a figli e nipoti: perché il risultato, poi, è inevitabilmente il ” trasferimento rifiuti” dove sopravvivono gli antichi cassonetti. La soluzione deve essere verdema deve essere facile, facile quanto scendere e lanciare un sacco, altrimenti il ​​gioco non funzionerà.

Naturalmente, oltre alla realtà, devi anche praticare l’onestà. Non tutto è conformismo come potrebbe suggerire il murattiano dei negozi chiusi e dei marchi urlati – stile Dubai. Anche Bari ha una sua identità molto forte che però sa esibire solo in forme grottesche: panzerotti ovunque, pellegrinaggi per le orecchiette, la focaccia, il dialetto. Il luogo comune dei propri luoghi comuni. L’eterna festa del paese da cui solo San Nicola sfugge pazientemente, rialzandosi un po’, con la sua ampiezza di sguardo e le sue appartenenze trasversali. Nella speranza che la NATO non ci bombardi, restiamo aggrappati a lui.

Per il resto, lo scenario è questo: Bari è una città che copia male chi (spesso a torto) ritiene migliore di sé e si mostra peggiore quando vuole mettere in mostra le sue tradizioni e le sue radici. Forse dovremmo fare il contrario. Ripartire dai fondamentali, ad esempio: igiene, sicurezza, servizi minimi da cui sono escluse centinaia di famiglie, centri sociali per bambini e anziani. Poi potremmo continuare piantando quelle strane piante con tronco, rami e foglie – a quanto pare si chiamano alberi – in qualche parco, evitando il continuo ripetersi di terre bruciate dalle ondate di caldo. E, infine, provare a far rivivere l’identità della città in forme nuove, meno caricaturali e più riflessive. Non facile. Ma è la dura arte del management, bellezze, e il tuo medico non ti ha detto di farlo.

 
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