«Genovese, ma cremonese. E ci sentiamo peccatori” – .

CREMONA – Il futuro dell’Accademia Stauffer è rappresentato da quattro volti nuovi, quelli del Cremona Quartetfondata da quattro genovesi nel 2000 e che si avvicina oggi al venticinquesimo anniversario della sua nascita. Cristiano Gualco (primo violino), Paolo Andreoli (secondo violino), Simone Gramaglia (viola), Giovanni Scaglione (violoncello): un team affiatato che negli ultimi anni sta ottenendo successi internazionali nelle più prestigiose sale da concerto di tutto il mondo, rinnovando la tradizione del quartetto d’archi italiano. Parlare con loro, tra sorrisi e risate, ci mostra l’aspetto umano, oltre che professionale, che accomuna quattro musicisti intelligenti, sapienti nelle scelte e nel metodo didattico ed esecutivo, ma soprattutto energici, con la voglia di far vivere musica.

Da quale stagione ritorni e cosa ti aspetta nelle prossime settimane?
Gualco: «Siamo appena tornati da Londra, dove abbiamo suonato L’arte della fuga. Avremmo dovuto suonare a Roma nei giorni scorsi, ma il concerto è stato cancellato due volte a causa delle proteste studentesche. Scaglione: «Abbiamo in programma un concerto a Mendrisio, a Schwarzenberg, suoneremo la Schubertiade e il Quintetto di Dvorak con Till Fellner, a settembre saremo a Praga e ad ottobre ricominceremo il nostro tour de force».

Tra poco festeggerai i tuoi (primi) venticinque anni.
Gramaglia: «Festeggeremo con tante attività. Saremo testimonial per Brunello Cucinelli. Per la prima volta saremo vestiti da un importante stilista. 25 anni col botto! Suoneremo negli USA, Corea, Giappone, Spagna, Olanda”.

Ci ricordiamo come è nato il Quartetto?
Gualco: «Siamo nati nel 2000 all’interno dell’Orchestra da Camera Italiana. Paolo Andreoli non c’era ancora, mentre Giovanni Scaglione era allievo di Stauffer. Abbiamo avuto la fortuna di trovare Paolo e Giovanni, anche loro genovesi. Siamo diventati un Quartetto atipico: tutti genovesi, ma portiamo il nome della città di Cremona. Per noi è stato fondamentale allenarci con Hatto Beyerle e Piero Farulli, che ci hanno insegnato cosa significa suonare in quartetto”.

Come ti vedi tra dieci anni?
Gualco: «Spero che saremo ancora qui a giocare! Abbiamo grandi esempi come l’Emerson Quartet, che ha avuto una carriera di 47 anni, lasciando un’immensa eredità ai quartetti di tutto il mondo. Ci auguriamo di rinnovare la tradizione del quartetto in Italia, operazione iniziata dal Quartetto Italiano con Farulli e portata avanti da noi.” Scaglione scherza: «Sarei già felice di esserci!». Gramaglia: «Siamo tutti cinquantenni… Tra dieci anni saremo sessanta. Vorremmo finire in gloria. Da quello che ci è noto, stiamo vivendo il nostro picco: dopo la pandemia abbiamo debuttato al Lincoln Center, subito dopo alla Carnagie Hall e contemporaneamente il Lincoln Center chiedeva di riaverci ospiti ancor prima dei canonici sei mesi di distanza. ” Scaglione aggiunge ridendo: «Siamo stati oggetto di una disputa tra i due cinema più importanti degli States, e questo ci ha riempito di orgoglio!». Gualco: «Siamo stati il ​​primo quartetto italiano della storia a suonare alla Carnagie Hall». Gramaglia: «Nel 2000 le agenzie ci dicevano che ‘era un momento molto difficile’, oggi lavoriamo tanto e bene grazie alla nostra direzione generale diretta da Vittoria Fontana, che ci segue con serietà e amore, come solo le donne sanno fare: è innamorato di questo lavoro. Per noi è stata una svolta”.

Che legame avete sviluppato in questi anni con la Stauffer Academy?
Gramaglia: «Quando veniamo qui vediamo che si capisce il senso di quello che facciamo».
Gualco: «Per noi è un lavoro, ma prima di tutto è stata la possibilità di raccogliere l’eredità del Quartetto Italiano. Senza di noi questa tradizione sarebbe andata perduta”. Scaglione: «Siamo il Jannik Sinner del quartetto italiano: grazie a lui il livello dei tennisti è cresciuto molto negli ultimi anni. Lo stesso vale nel mondo del quartetto italiano. Mancava un grande quartetto italiano, e noi lo eravamo”.

Quali pensi siano le cause di questa carenza di quartetti italiani negli ultimi anni?
Scaglione: «Cultura. In Italia c’è l’opera, in Germania c’è una traduzione da camera molto più forte. Verdi e Puccini non sono di serie B, ma rappresentano un altro modo di fare musica, tanto che i grandi quartetti sono sempre stati austriaci, tedeschi, inglesi, americani e anche dell’Est europeo”.
Gramaglia: «Verdi definì il quartetto d’archi ‘una pianta fuori dal clima’. In realtà in Italia esisteva una sottocultura quartettistica molto ampia, già nel XIX secolo. Semplicemente non c’è mai stato sostegno per questo genere musicale in Italia”. Gualco: «Adesso però le cose cambiano: dopo il Covid spostare un’orchestra è diventato molto più costoso».

Il Maestro Andreoli, però, non ha ancora parlato: allora ti chiedo, essendo il membro più giovane del Quartetto sia come ingresso che come età, come definiresti il ​​tuo modo di suonare e di insegnare?
Andreoli: «Abbiamo caratteri molto diversi. Col tempo, lavorando insieme, abbiamo scoperto di avere la stessa idea di ‘come fare musica’, anche grazie alla guida di Hatto Beyerle. Quattro voci ben distinte, ognuna con un carattere ben definito, ma con un suono unico, italiano, ‘cucito come un abito di Armani’, ha detto un critico”. Scaglione: «Beyerle diceva che eravamo tutti diversi, ma in qualche modo lavoravamo molto bene. Farulli invece si è limitato a dirci che avremmo fatto una fortuna! Andreoli: «Sulla didattica Stauffer ci permette di mostrare ai bambini prospettive diverse che si completano a vicenda». Scaglione: «Non esistono accademie al mondo che facciano quello che fa Stauffer: quattro docenti che ogni mese insegnano lo stesso quartetto». Gramaglia: «Siamo stati segnati da pochi maestri e allo stesso modo: da Piero Farulli per quanto riguarda l’idea del ‘servizio’ della musica, come qualcosa da restituire, e il suo messaggio; da Hatto Beyerle abbiamo imparato l’approccio analitico tedesco. Abbiamo fatto le nostre scelte e questo ci porta a dire la stessa cosa ai ragazzi: dovete scegliere tra i diversi suggerimenti che diamo”.

E un bilancio di questi anni?
Scaglione: «Ci siamo comportati bene a vicenda. Venticinque anni fa Gualco ed io eravamo notte e giorno: lui mi ha cambiato in meglio e forse anch’io ho cambiato in meglio lui”. Gualco conferma e sorride: «Il quartetto non è un annullamento reciproco. Ognuno di noi ha mantenuto le proprie caratteristiche personali. Spingiamo i nostri studenti a fare lo stesso. Autonomia e individualità, queste le nostre cifre”.

 
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