Napoli, Teatro San Carlo – Luisa Miller – Legato all’Opera – .

Fondamentalmente sembra un’occasione persa, ecco Luisa Miller Di GiuseppeVerdi scritto nel 1849 per Napoli e il suo paese Teatro San Carloritornato su quello stesso palco quattro volte nel Novecento e ora, dopo nove anni di assenza dalla terza tornata degli anni Duemila, in scena solo per due serate, ma senza contenitore scenico e quindi in forma di concerto, con un orchestra in borghese per protestare (le informazioni si apprendono di nascosto e in via ufficiosa) contro la mancanza di un numero adeguato di prove nell’agenda artistica. Lui sa sprecato e, seppur musicalmente carico di passione, attorno all’atteso lancio nel ruolo della protagonista del soprano americano Nadine Sierra, ormai di casa al Lirico napoletano, in gran parte sfumato secondo una regia solida ma intenta a rafforzare stabilità e dinamica piuttosto che a curare significato, dettagli e colori, sulla qualità delle voci per lo più spinte a sfogarsi e a competere di bravura concertistica invece di prestare attenzione al cesello delle parole e della musica con un coro imponente ma spesso troppo distaccato e prepotente (ci vuole anche rinforzo per chi parla) il suono dei protagonisti. E, centralmente, uno Lui sa pur molto diligente nella lettura delle note ma che vira continuamente verso il belcanto e una grazia di pasta lontana anni luce dalla necessaria sostanza verdiana. Cioè, uno Lui sa che in grande stile risponde “Ma mi chiamo Lucia”, da Lammermoor naturalmente e non certo dalla Mimì di Puccini.

Ma procediamo con ordine, partendo dall’Ouverture staccata dagli archi della quarta corda nel tempo tagliato di un Allegro che, oltre all’unico tema tratto dalla tristezza del protagonista nell’atto III e quel suono speciale del clarinetto legato ad uno strumentista sancarliano di vero rango quale fu Ferdinando Sebastiani. Pagina in partitura così serrata e facile, ma che il maestro ha chiamato sul podio nell’occasione, quello talentuoso Daniele Callegari, tende a portare in superficie e in velocità, con un effetto di banda più che drammatico. Che, però, accende l’entusiasmo e scatena gli applausi del pubblico. Un’apertura quasi come una cartina di tornasole di ciò che sentirete di fronte a un’opera che segna il passaggio fondamentale dell’autore da fragorosi temi patriottici a uno scavo più attento dei personaggi, con relativi esperimenti su forme melodrammatiche rituali. Certo, i Finali e gli ensemble sono di indubbia, brillante potenza e forse la tendenza a pressare un po’ tutto nasce dall’onesto intento di compensare l’assenza di un’azione scenica che, tra espressioni e gesti, in qualche modo alla fine sarebbe arrivato comunque. Che si ritrova anche nella direzione del Coro, curata da Fabrizio Cassi con buon rigore e vigore (la sezione maschile si consolida e i soprani migliorano) ma, non di rado, con eccessi sonori o staccati fissi (incipit di Finale I) a Madama Dorè.

Allo stesso modo, il canto dei protagonisti, uniti in un’assemblea che alla fine risulta sbilanciata nella diversa marcia portata avanti dalle singole voci, ciascuna salda e saldamente ancorata al proprio binario di tecnica e di stile.
Quello di Luisa Nadine Sierra, bellissima Belén del belcanto nel suo splendido abito da concerto fucsia di paillettes, soffre fin dall’inizio nel dover fare i conti con una fibra canora e in senso lato drammatica che non le appartiene, cercando continuamente di compensare con un colore più scuro o con posizioni abbassare qualcosa che è invece corpo, peso e materia. Quindi il suo sfogo “Lo vidi, e ‘l primo palpito” nella seconda scena del primo atto (intitolata “L’amore”), giocato com’è sull’agilità, si adatta ai suoi salti donizettiani ma sono tutte prese terzine staccate di sfuggita e quindi non solo inefficace, ma poco rifinito nel suono. Per lo stesso motivo, la sua accorata preghiera dell’Atto II (L’intrigo) “Tu puniscimi, o Signore” presenta una fissità espressiva disarmante mentre sa brillare nell’antologia cadenzale e nel lungo acuto proiettato nel finale. E così, nella cabaletta che segue (A songs, a songs o perfido) con i pertichini di Wurm, dà forma corretta alla scrittura impervia, con l’unico problema di non essere verdiana. Fino a gorgheggiare bene ma in forma eccessivamente ariosa nel duetto dell’atto III (Il veleno) “La tomba è un letto cosparso di fiori”.
L’anziano Miller non è un tiranno ma non è così grandioso come Verdi lo vorrebbe. Ha uno stile notevole e un’esperienza immensa, anzi, perché baritono Franco Vassallo chi in questa occasione interpreta il ruolo sa garantire, tra i suoi portamenti e legati, la giusta dose di umiltà popolare e di orgoglio del vecchio soldato in pensione (nel dramma di Schiller è un musicista in pensione). È dunque sincero nel suo amore paterno, credibile nella sua audacia cabaletistica, rassegnato nel suo dolore (Andrem raminghi e soli). Ma anche lui, non di rado, forza la dinamica e non di rado distorce l’intonazione tendendo a crescere, come nel suo Cantabile “Sacra è la scelta” e nel Mi bemolle acuto fuori gamma con sigillo con corona della cabaletta “Ah! il mio sospetto era giusto!” o ancora, soprattutto in attacco, nel duetto “Andrem raminghi e soli”.
Tutto fuoco e passione è il Rodolfo del tenore americano Michele Fabiano, interprete dotato di una dizione attenta e del giusto potenziale timbrico per il ruolo. In effetti arriva un po’ troppo guascone, cantando costantemente di forza e con uno stile non proprio nobile. Egli si distingue però sul gruppo con un’ardente proiezione tra volume e slancio, trasmettendo soprattutto al personaggio un delirio amoroso che, infiammato dall’inferno in mezzo al cuore, diventa una crescente perdita di controllo, in gesti come così come nella mente. Colpisce la sua plasticità d’attacco nell’Andantino affettuoso del duetto con la duchessa Federica (Dall’aule radianti di vano splendor), mentre nella cabaletta tra gli acuti lotta con le articolazioni delle terzine a sbalzo. Il suo applauditissimo emblema cantabile di un amore tristemente ricordato alla luce del presunto tradimento ( Quando le sere al plaacido ) presenta certamente le necessarie intenzioni espressive e disperate tra pause e rinforzi, ma risulta poco convincente per l’intonazione leggermente tremula e per la distorsione di un suono forzato in gola forse nel tentativo di interiorizzare i risultati. Più autentici e precisi negli accordi sono invece gli aneliti eroici a pieno respiro nella relativa cabaletta “L’ara o l’avello, preparemi” e vivacissimi sono tutti i suoi interventi in duetti e ensemble.
Il basso, invece, non si presentava in una forma particolare Gianluca Buratto come Conte Walter. Nella sua famosa aria del primo atto (Il mio sangue, la vita darei) spinge le note alte e irrigidisce la maggior parte dei passaggi nel tentativo di dare al personaggio la statura più severa possibile. Il basso quindi sembrava fuori posto e mal lavorato Krzysztof Bączyk (recente Leporello sullo stesso palco) per il sinistro Wurm, eccessivamente vibrato e ridondante nell’emissione con scarsi effetti espressivi, soprattutto nel dettato apicale della lettera. Il risultato è un duetto di basso con Walter (L’alto retaggio non ho bramato) decisamente mal strutturato.
Nel complesso la performance del mezzosoprano è stata discreta Valentina Pluzhnikova in Federica con contributi centrati sia nel duetto con Rodolfo che nel bellissimo Quartetto a cappella in cui Luisa nega il suo amore per l’amato. Completano il cast i due artisti del Coro San Carlo, Sabrina Vitolo E Salvatore De Crescenzorispettivamente nelle parti di Laura e di una contadina. 5218904e34.jpg1718123226_398_Napoli-Teatro-San-Carlo-%

Teatro San Carlo – Stagione 2023/24
LUISA MILLER
Melodramma tragico in tre atti
Libretto di Salvatore Cammarano
basato sulla tragedia Kabale und Liebe
(Intrigo e amore) di Friedrich Schiller
Musica di GiuseppeVerdi

Il conte di Walter Gianluca Buratto
Rodolfo, suo figlio Michele Fabiano
Federica, duchessa di Ostheim Valentina Pluzhnikova
Wurm, il castellano di Walter Krzysztof Bączyk
Miller, vecchio soldato in pensione Franco Vassallo
Luisa, sua figlia Nadine Sierra
Laura, contadina Sabrina Vitolo
un contadino Salvatore De Crescenzo

Orchestra e Coro del Teatro San Carlo di Napoli
Direttore Daniele Callegari
Direttore del coro Fabrizio Cassi

Esecuzione in forma di concerto
Napoli, 6 giugno 2024

Foto: Luciano Romano

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Foto: Luciano Romano

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