Ottavio Bottecchia, la prima vittoria italiana al Tour di cento anni fa – .

Piacenza si prepara al Tour de France riscoprendo le pagine e i personaggi più significativi della grande storia della corsa gialla. La nuova puntata della rubrica è dedicata al primo italiano vincitore della corsa francese, il veneziano Ottavio Bottecchia, nel 1924, esattamente cento anni fa. Erano in onda gli episodi pubblicati in precedenza Marco Pantani, Vincenzo Nibali, Gino Bartali, Giancarlo Perini, Fausto Coppi, Lance Armstrong, Bernard Hinault, Gianni Mura, Miguel Indurain, il contenitore delle perdite, Bradley Wiggins, Henri Desgrange, Tadej Pogacar, Fabio Casartelli e Raymond Poulidor.

L’abbiamo già scritto e riscritto. La partenza italiana del Tour de France 2024 rende omaggio ad alcuni dei nostri campioni del ciclismo che hanno vinto in terra francese: Gino Bartali, Fausto Coppi, Marco Pantani. Tre leggende che anche i giovanissimi conoscono di fama, magari superficialmente. Gli organizzatori hanno menzionato anche l’ultimo vincitore: Vincenzo Nibali, dieci anni. Prima di Nibali e Pantani, nel ’65 trionfò Felice Gimondi. Ma i loro nomi “dicono qualcosa” a tutti. Ma c’è un altro grande protagonista delle due ruote azzurre – caduto nel dimenticatoio – che la Grande Boucle vuole ricordare in questa particolare estate: Ottavio Bottecchiail primo italiano a vincere la corsa a tappe francese, cento anni fa: correva l’anno 1924.

Ottavio (in quanto ottavo figlio era di un’altra Italia) nacque in provincia di Treviso e fu un eroe della Grande Guerra, insignito di medaglia di bronzo al valor militare per il suo impegno sul Piave. Fu fatto prigioniero tre volte dagli austriaci, ma riuscì sempre a fuggire. Ritornato alla vita di tutti i giorni, divenne carrettiere nel suo territorio, San Martino di Colle Umberto. Un lavoro che hanno svolto alcuni dei suoi tanti fratelli.

Il ciclismo gli diede rapidamente popolarità e gli cambiò la vita. Il team francese “Automoto” aveva bisogno di un pilota italiano per aiutare il proprio beniamino Henri Pelissier per vincere finalmente il Tour. Hanno scelto quello promettente ma già noto Giovanni Brunero, che ha rifiutato ma a quanto pare ha suggerito lui stesso il nome del possibile sostituto. Semplicemente Bottecchia.

Nell’edizione del 1923 si distinse subito, conquistò tappe e indossò la maglia gialla. La corrispondenza dei giornali italiani glorifica le imprese di questo sconosciuto italiano che mette in fila i francesi per le strade di casa loro. La “Gazzetta dello Sport” decide di sostenerlo economicamente, lanciando tra i lettori un abbonamento che vede anche il contributo del Duce Benito Mussolini.

Tuttavia, nella tappa tra Nizza e Briançon, sulle Alpi, Bottecchia si ammalò e dovette dire addio ai suoi sogni di gloria. Scende anche dalla sella, sta troppo male, non riesce a continuare la corsa che incredibilmente avrebbe potuto vincere. Quel Tour doveva essere di Pellissier: probabilmente il veneziano era stato avvelenato. Lo ha spiegato il belga Leon Scieur, vittima della stessa vigliaccheria: prese un caffè da uno spettatore sul Tourmalet e rimase privo di sensi e ospite in una clinica per una settimana. Pellissier, va da sé, ha vinto lei.

La squadra, però, lo ha coperto di soldi. Così Bottecchia continuò a correre per loro anche nelle stagioni successive. E trionfò nel 1924, esattamente cento anni fa, al Tour, all’età di trent’anni. Il primo italiano. Avremmo potuto vincere prima, ma i più grandi campioni del nostro Paese, Costante Girardengo e Alfredo Binda soprattutto hanno sempre snobbato la maglia gialla, preferendo riposarsi in Italia o trovare altri lavori. E i francesi soffrirono enormemente di snobismo blu.

Bottecchia divenne un mito per i francesi ma soprattutto per gli italiani. Eravamo all’inizio del ventennio fascista, la sua figura si prestava facilmente alla strumentalizzazione: l’italiano che vinse non uno, ma due Tour de France. Già, perché il veneziano, ormai ricco e popolarissimo, vinse anche nel ’25. Una storica doppietta consecutiva per Boteshacome veniva chiamata dai transalpini, mai più riuscita da nessun ciclista italiano.

Fin qui una storia di grande successo, in un’Italia ancora molto contadina e povera. Ma il 3 giugno 1927 tutto cambia improvvisamente. Pochi giorni prima, il 23 maggio, un’auto aveva investito e ucciso il fratello Giovanni, mentre stava facendo un giro in bicicletta. Quel 3 giugno il campione partì da casa – viveva in Friuli – per allenarsi da solo, perché non aveva trovato compagni disponibili ad accompagnarlo.

Fa caldo e l’allenamento non sta andando come dovrebbe, ma decide di continuare. Quel giorno ha dovuto “prendere le distanze”. Finché non si sente male. Si ferma, si getta in un prato e sanguina dalla bocca e dalla testa. Un contadino lo aiuta, ma non c’è più niente da fare. In ospedale si è scoperto che aveva riportato fratture alla base del cranio, alla clavicola e abrasioni multiple. Tutte queste cose, solo da una parte. Sarà quindi caduto dalla bici durante la giornata? Ma questo è integro, non ha un graffio. Potrebbe essere caduto da fermo, riportando così tante ferite? Il mistero si infittisce, mentre il campione muore il 15 giugno, dodici giorni dopo il delitto.

Ci sono molte ipotesi. Il dolore per la morte del fratello unito alle condizioni di salute che già da tempo versano nel caos. Un pestaggio da parte delle Camicie Nere (tesi espressa da un prete in punto di morte). Un contadino che lo colpì con una pietra in testa per avergli rubato il raccolto (altra testimonianza offerta da un contadino poco prima della sua morte, molti anni dopo).

La stampa francese ci ricamava sopra e suggeriva altre piste: strane vicende sentimentali, un giro di scommesse, un omicidio su commissione. La famiglia non credeva a nulla di tutto ciò e sosteneva l’ipotesi di un malore e di una caduta mortale a bassa velocità. Anche perché nei pochissimi istanti di lucidità avuti durante le operazioni di soccorso, Ottavio Bottecchia, il due volte campione del Tour, ha menzionato la parola “malattia”. “Bottecchia” nell’immaginario collettivo divenne, quasi cento anni fa, un mistero e anche un marchio di biciclette, in attività ancora oggi.

 
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