Lutto a L’Eco di Bergamo, addio all’ex direttore Carrara – .

Luigi «Gino» Carrara è morto giovedì sera, 27 giugno, all’ospedale Piario, dove era ricoverato da alcuni giorni. Il 21 giugno ha compiuto 88 anni. Originario di Nembro, è sempre stato profondamente legato al suo Paese d’origine. Ma L’Eco di Bergamo, dove ha lavorato per oltre 40 anni, è sempre stata la sua vocazione. Dopo decenni al fianco di monsignor Andrea Spada, di cui è stato interprete intelligente e fedele, ha preso da lui le redini della gestione, che ha guidato dal 1989 al 1995. I funerali si svolgeranno sabato 29 giugno, alle ore 11, in parrocchia chiesa di Nembro.

Gino Carrara, successore di monsignor Andrea Spada alla direzione dell’ «L’Eco di Bergamo», appartiene a quel nucleo storico che progettò e realizzò l’ammodernamento del giornale, facendone il primo giornale provinciale a livello nazionale: foto a colori tra le prime in Italia, nuove tecnologie nella tipografia sotto la ferrea direzione di Paolo Tarchini, impaginazione incrementata con voci nei territori ancora inesplorati dell’economia e nei nuovi flussi di costumi della vita civile. Gli anni ’70 e ’80, l’epoca d’oro del quotidiano dopo le difficoltà patite durante la stagione del primo centrosinistra che avevano permesso all’agguerrito concorrente «Giornale di Bergamo» di conquistare copie là dove era già tradizionalmente forte, cioè in la cintura urbana.

Una squadra di prim’ordine di cui Carrara faceva parte: Giancarlo Zilio, i fratelli Renato e Amanzio Possenti, Pino Capellini, Sandro Vavassori, solo per citare i nomi più illustri. Gli anni d’oro de «L’Eco», quelli in cui il quotidiano di provincia usciva dal perimetro della minoranza provinciale, abbattendone i confini e rivendicando un proprio ruolo, per presentarsi – come si dirà più avanti – come un giornale glocal. Capace di interpretare il territorio e di dialogare con l’esterno, di porsi su una traiettoria che scrutava il mondo con i propri occhi. Pensateci: Spada non si è mai orientato verso il modello del «Corriere della Sera», semmai ha ascoltato la prosa lineare della «Stampa» di allora e la sintesi acrobatica tra il «Giornale» di Indro Montanelli e la «Repubblica» di Eugenio Scalfari. Eppure, come i grandi quotidiani d’opinione, fattorini e autisti de «L’Eco» erano in divisa ufficiale e i cronisti avevano la loro auto aziendale.

Ecco, Gino – come tutti lo chiamavano – ha sempre fatto a meno di questa estetica della forza persuasiva e raffinata del giornale. Ogni giorno in bicicletta, umile servitore di una causa di cui si sentiva parte integrante, senza invadere i ruoli altrui: servire il giornale, con la dedizione di un militante, senza tornaconto personale. Ecco la sua originalità, la sua alterità rispetto alla comunità giornalistica, e in ultima analisi il suo essere: l’assoluta identificazione con i desideri, e con i capricci se vogliamo, del giornale. Un caso unico, irripetibile: spesso commovente, a volte incomprensibile persino agli amici. Allora, la redazione era all’ingresso del giornale e le macchine da scrivere plumbee scandivano il suono duro e aggressivo dei ritmi di una cronaca vissuta: andava vista con gli occhi, bisognava arrancare sul marciapiede. Non c’era la mediazione dei social, si vedeva da un cellulare. Carrara è figlio di quel tempo, in cui il giornalismo da incursione pirata e guascone diventa professionale.

Il futuro direttore arriva da Nembro dove si è fatto le ossa come inviato dopo «Sarpi» e poi approda in quel piccolo perimetro di quei solidi banconi, proveniente da una storia combattiva, che ha raccontato il divenire di Bergamo. Come tutti, sale in punta di piedi sulla soglia del giornalismo ai margini della gerarchia e poi sale: più per cooptazione che per desiderio. Colleghi e amici, come Marco Nozza che poi sarebbe diventato la prima firma nazionale del «Giorno». L’uomo, con quegli occhiali con le lenti scure, mantiene un tratto di sé unico, non perfettamente riconoscibile all’occhio esterno, seminando qualcosa di intrigante nei suoi interlocutori. Non ama i riflettori, è un antiprotagonista per temperamento, gli sta bene così. Soffre di dover raccontare la sua storia: vive nella più assoluta discrezione. Lo scrittore ha sempre pensato alla sua sofferente solitudine, protetto dalla sua indisponibilità alla competizione e dalla sua complicità con un’esistenza naturalmente non conflittuale.

Il lavoro costituisce la sua dimensione esistenziale, alla quale dedica tutte le energie di cui dispone. Se Montanelli diceva che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, Carrara dimostrava il contrario: accidenti, che lavoratore. Come giornalista è un tuttofare, che svolge qualsiasi compito: dalla cronaca allo spettacolo, dalla cultura agli affari interni alla segreteria di redazione. Un uomo-macchina, come dicevano i vecchi manuali di giornalismo, attento alle notizie minute, sentimentali e di prossimità, per poi confluire nella sintesi generale, un’intelligenza solitaria incompatibile con la notorietà. Quella tribù di giornalisti sconosciuti ai più, che costruiscono il giornale, ma che non ne ricevono gloria: per loro, più degli altri, il pranzo non è gratis. Sono i dimenticati e i non citati, quelli che non si vedono, ma sanno che i successi degli altri sono frutto del loro lavoro, tanto operoso quanto oscuro. La “cucina” del giornale, che significa avere cultura e padronanza del mestiere, per poter poi allestire pagine, progetti editoriali, fiammate intellettuali. Ci vuole competenza e familiarità con i fondamentali, un’equazione che era nelle coordinate di Carrara. L’allora direttore non le mostrò, ma noi ne eravamo a conoscenza.

La direzione de «L’Eco» gli è toccata dopo l’era Spada: non poteva che esserne felice. Tuttavia ne sente la responsabilità. Una macina, perché sulla scia di un Grande, il metro di paragone per chi è venuto dopo è stato inevitabilmente quello. Carrara governa una fase di transizione complicata in termini di equilibri interni, mentre deve gestire, per un giornale come «L’Eco», la fine della Dc, della Prima Repubblica e la fase iniziale di Mani pulite e della Seconda. Repubblica: non proprio una passeggiata. L’uomo si muove con equilibrio, sa fin dove può arrivare e dove deve ritirarsi, ma in questo è aiutato anche dal fatto che, non avendo particolari frequentazioni politiche, ha un suo autonomo margine di manovra.

Un problema fisico lo costringe a dirigere il giornale da casa per qualche mese. Per anni, anticipando a modo suo lo smart working, arrivava in redazione con un paio di pagine già preparate a casa. Carrara (celibe, viveva con la madre) non conosceva i soliti ritmi esistenziali, se non quelli dettati dai ritmi del giornale. Le ferie e il riposo gli venivano solitamente imposti. Un autentico e irraggiungibile stacanovista. E pensare che, per buone ragioni, per la sua salute e la sua sicurezza, il vescovo Amadei lo aveva costretto ad abbandonare la bicicletta per venire a Nembro, invitandolo a usare l’auto aziendale a cui evidentemente aveva pieno diritto. Niente da fare: docile, ma irremovibile sulle sue cose. Ci piace ricordarlo così: un amico e un giornalista fuori dagli schemi, che ha anteposto il successo de «L’Eco» al proprio primato personale.

 
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