SEI PIEDI SOTTO – Uccidere per vendetta – .

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SEI PIEDI SOTTO – Uccidere per vendetta – .

votazione
5.5

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Il mondo del death metal è senza dubbio un territorio fertile oggigiorno, tra band con la passione per la sperimentazione e l’evoluzione sonora e altre che invece sanno rifarsi alla tradizione, facendola rivivere con una veste più attuale o semplicemente con quel brio e quell’estro. che – pur con le dovute eccezioni – sono ormai una merce rara tra tanti veterani sempre più stremati. Nel mezzo di questo grande fermento, i Six Foot Under si rivelano puntualmente una sorta di corpo estraneo all’interno del movimento, con il leader Chris Barnes apertamente in conflitto con la cosiddetta scena e un sound che spesso sembra sul punto di implodere, schiacciato da un grigiore e da un’indeterminatezza sul piano stilistico ormai sempre più consolidati.
Con il loro ultimo lavoro, “Killing For Revenge”, il gruppo prova a riscattarsi dopo il precedente, imbarazzante, “Nightmares of the Decomposed”, ma il risultato è solo un modesto miglioramento che non riesce ad alzare l’asticella delle aspettative.
La tracklist vanta una maggiore dose di aggressività, con riff death-thrash, un tono vago slayeriano e ritmi più serrati posti al centro di un songwriting – gestito ancora una volta dal chitarrista Jack Owen – che cerca di affidarsi con meno insistenza a quel groove traballante e alle vecchie velleità hard rock espresse a oltranza nella fatica precedente.
Tuttavia, l’incremento del potere strumentale non è sufficiente a compensare alcune evidenti carenze. Chris Barnes, figura centrale della band, resta stanco e il suo ringhio continua a sembrare incapace di ritrovare la verve che un tempo lo caratterizzava. I parametri, seppur nel complesso meno crudi rispetto al disastro precedente, non risultano essere trattati con la precisione che ci si aspetterebbe da una band di questa esperienza. Infine, il riffing di Owen è irrimediabilmente privo di grandi sprazzi: come detto, si nota più esuberanza nell’impianto strumentale, ma permane ancora una certa carenza di spunti e slanci; passato l’impatto iniziale, spesso dovuto al drumming di Marco Pitruzzella, i brani finiscono in vari casi per dare l’idea di seguire una spirale degradante, come dovuta all’accumulo di incertezze e stanchezze, con pochi temi mai veramente brillanti che si ripetono fin troppo e un significato che finisce per disperdersi dopo pochi ‘giri’ (vedi i quattro minuti e mezzo di “Ascension” o i continui estenuanti colpi di scena di “When the Moon Goes Down in Blood”) . Si procede quindi attaccando a testa bassa, ma spesso senza riuscire a costruire nulla di rilevante, nonostante episodi come “Mass Casualty Murdercide” o “Spoils of War” facciano emergere punteggi efficaci.
Manca insomma quell’ingegno e quel brio che rendono un album davvero memorabile e degno di essere ascoltato più volte. Sensazioni invece trasmesse, volendo fare esempi recenti pur rimanendo su sonorità legate alla tradizione, dal ritorno di Skeletal Remains o quello di Necrot, entrambi ricchi di riff che restano in testa. Non si tratta però solo di fissarsi sul concetto di “fare posto ai giovani”, perché band veterane come Immolation e Cannibal Corpse evidentemente dimostrano ancora oggi la loro rilevanza nel panorama death metal. Semplicemente, gli attuali Six Foot Under sono una formazione stanca, che non riesce quasi mai a dare dignità al concetto di groove e semplicità, come invece accadeva su opere di tutto rispetto come “Haunted”, “Maximum Violence” o “Undead”.
“Killing For Revenge” non è quindi un disastro totale come “Nightmares…”, ma, a questo punto, è quasi superfluo sottolineare che l’album nel suo insieme non regge il confronto con la maggior parte dei lavori che questo genere musicale ci offre oggi, tanto da chiederci perché dovremmo continuare a prestare attenzione ad una vecchia guardia ormai estremamente debole e pallida come quella rappresentata da questi Six Foot Under, quando c’è così tanto di stimolante e avvincente che emerge dall’underground o anche dal repertorio di band più vecchie, ma che amano ancora ciò che suonano.

 
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