“Per noi la vita è fonte di adorazione” – .

“Per noi la vita è fonte di adorazione” – .
“Per noi la vita è fonte di adorazione” – .

Faso, come arrivi a questo appuntamento estivo?

“Ci prepariamo scaldandoci come una locomotiva che sbuffa poco prima di arrivare in stazione. Siamo super fan delle esibizioni dal vivo, per noi sono un cult.” Stile e ironia sono quelli di sempre. ‘Faso’, al secolo Nicola Fasani, bassista eclettico e baffuto, incarna alla perfezione la verve e lo spirito del gruppo Elio e le storie tese: scherza, ride, fa battute, poi diventa improvvisamente serio quando cambia argomento e subito di nuovo, bang, ecco un’altra battuta. Il superlativo assoluto è il suo mantra. “Sempre tra sacro e profano”, come impone lo spettacolo Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo, in programma oggi al Sequoie Music Park alle Caserme Rosse di Bologna, (ore 21.30). “Quando qualcuno viene a vederci suonare, si chiede: ma suona davvero tutto dal vivo?”, continua Faso. D’altro canto, Elio e le storie tese, dopo il successo del tour nei teatri con oltre 40 date sold out, è uno spettacolo “senza basi, senza sampling, senza autotune. Insomma: senza af… è tutto fatto in casa”.

Questa dimensione “autentica” si è un po’ persa?

“Sì, si è perso, e in un modo strano. Lo spettacolo dal vivo ha il suo perché. Quando andavi a vedere Michael Jackson, nella sua età d’oro, lo spettacolo era tutto ballerini, raggi laser, colori, thriller. E c’era lui, Michael, che cantava come un pazzo…”.

La sostanza, dunque, al di là della forma?

“Il punto è questo: a volte lo spettacolo ti porta a costruire delle sovrastrutture per renderlo interessante. Usiamo anche schermi e altro, per carità, ma i nostri miti sono e restano quelli di giocare bene. Quelli rustici, quelli per cui la priorità è fare musica. Per noi, ad esempio, è ancora importante passare due giorni a provare maniacalmente i ritornelli dei ‘pezzi’. Perché poi, quando Elio canta, vogliamo farli nel miglior modo possibile. In un mondo dove tutto questo si sta perdendo, sì…”.

E tu? Sei cambiato nel corso degli anni, insieme alla tua musica?

“Questo spettacolo è una sorta di ritorno. Ci siamo lasciati e dopo il Concertozzo è emersa la voglia di tornare insieme. Ci siamo detti: forse la gente ha ancora voglia di venire a vederci suonare”.

Com’è questo spettacolo?

“La regia (di Giorgio Gallione, ndr) è fondamentale. È un percorso che porta lo spettatore a riflettere su aspetti curiosi della nostra vita, su costumi, vizi e virtù del mondo italiano che Giorgio ha capito di poter dipingere attraverso le nostre canzoni”.

La passione è rimasta…

“Siamo i primi a dire “ma John Holmes (una vita per il cinema) l’abbiamo fatto mille volte”. Tuttavia, l’occhio esterno di una regia attenta ci ha permesso di recuperare alcuni brani che abbiamo sempre suonato poco e di inserirne altri”.

Qualche esempio?

“Valzer transgenico: mai suonato dal vivo. Avevano la sensazione che non piacesse a nessuno. Invece, tra farine di grillo e cibi sintetici, è tutta roba attuale. Anche perché, come diceva mio padre, ristoratore da sempre, noi italiani possiamo prendere in giro tante cose, dalla politica alla burocrazia, ai cantieri… Ma sul cibo non scherziamo, perché siamo i padroni del pianeta terra . Sono aperto alle novità, ma non voglio mai sentire dire che un hamburger è meglio della piadina. Altrimenti comincio a tirarmi degli schiaffi… (ride, ndr)”.

Bologna è la Grassa. Qual è il tuo rapporto con la città?

“È eccezionale. Dall’inizio ai concertini, siamo venuti mille volte: il pubblico è sempre caldo e allegro. Sarà per questo spirito, non lo so, ma quando vedo il cartello che indica che sono arrivato in Emilia-Romagna… sono felice.”

 
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