«Nessuno ci ha parlato dell’amianto, ho anche problemi respiratori» – .

«Nessuno ci ha parlato dell’amianto, ho anche problemi respiratori» – .
Descriptive text here

«Non sapevamo dell’amianto. Anch’io adesso ho problemi respiratori, ma non voglio controllarmi, non voglio sapere”, queste le parole di Everardo Bolletta, direttore dei servizi dell’ex giornalista Rai Franco Di Mare, che ha recentemente rivelato che ha un mesotelioma causato probabilmente dall’amianto al quale è stato esposto durante le missioni nei Balcani per la guerra di Jugoslavia, accusando la Rai di essere scomparsa nel ricostruire i suoi spostamenti con l’invio del verbale di servizio. In un’intervista con Corriere della Sera Bolletta, oggi 75enne, ripercorre i momenti trascorsi insieme al giornalista, tra pericoli mortali, pasti divertenti e rivedibili. Una cosa è certa: “Nessuno voleva andare a Sarajevo”, dice. «Capirai, l’indennità di guerra era di 100mila lire al giorno lorde. “Vieni con me”, mi ha detto Franco. “Ci divertiremo, conoscerai tante persone.”

Gli spaghetti al cento

Così Bolletta, Di Mare e il resto della troupe sono partiti insieme agli inviati di tutti i telegiornali Rai, “con due autoblindo e un pulmino con viveri”. «Il capocarovana Sergio Spina, il direttore, l’aveva riempito di parmigiano, pasta, pomodori. Una volta arrivati ​​all’Holiday Inn, dove alloggiavano tutti i giornalisti stranieri, ho cucinato un mega-spaghetti per cento. Hai esagerato con il peperoncino, i tuoi colleghi inglesi e tedeschi non erano abituati”. Dal punto di vista culinario le cose andarono bene finché finirono le scorte: «Dovevamo mangiare certa carne di chissà quale bestia. Ne ho dato un pezzo a un gatto, lui stesso lo ha rifiutato. Meglio non bere l’acqua, poteva essere contaminata, il vino locale era comunque una schifezza”.

«Io e Franco siamo diventati fratelli»

Ma ciò che più di tutto resta impresso nella memoria di Bolletta è il giorno in cui lui e Di Mare divennero “fratelli”. «Franco, io e Luciano Masi, l’operatore, ci dirigiamo verso l’ospedale per fotografare i cadaveri, anche se da Roma ci dicono: “Non possiamo mandare queste immagini all’ora di pranzo”. Quando usciamo da un tunnel, un passante ci taglia la strada. Da lontano un cecchino spara e gli taglia un piede. Il nostro autista lo inchioda. Io e Franco scendiamo a prendere questo disgraziato. Lo carichiamo in macchina, attenti a non fermarci”. «Finché ci si muove – continua il racconto Bolletta – il cecchino non riesce a mirare bene. Luciano lo porta al pronto soccorso. Noi due, con l’interprete, una ragazza bionda, restiamo lì, senza protezione. Altri colpi fischiano sopra le nostre teste. Ci ripariamo dietro un grande albero, accovacciandoci a terra. Ho le unghie dell’interprete piantate nel suo braccio.”

“Se non scappiamo ci uccideranno”

Bolletta ricorda di aver detto a Di Mare: “A Fra’, qui se non scappiamo ci ammazzano”. Non ha paura, non lo ha mai avuto. Calcoliamo il tempo di ricarica del Kalashnikov, la velocità del proiettile e il vento. Abbiamo circa sette minuti tra una ripresa e l’altra. Aspettiamo lo scatto. E allora corriamo zigzagando verso la macchina che è tornata a prenderci. Con la paura di finire nel mirino del cecchino”. Alla fine i due riescono a ritornare in albergo sani e salvi, ma il primo collega che incontrano non sembra troppo interessato al loro stato di salute: “Oh, chi era quella bionda che era con te?”. Bolletta ricorda anche la professionalità di Di Mare. Durante i bombardamenti notturni, «in pigiama, fumavo come un matto. No Franco, era tranquillo. Lui è il migliore di tutti. Non perdeva mai una funzione, era sempre preparato”. E fu sempre Di Mare a dare preziosi consigli al redattore: «Quando sali in macchina senza casco e giubbotto antiproiettile, mettilo quando sei già in viaggio, è ora di tornare a casa».

Leggi anche:

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV matrimonio a sorpresa alle Maldive, le foto sono mozzafiato – .
NEXT Rosy Chin, l’ex Gieffina furioso con lei: “Faremo azioni legali”