“Devo essere autorevole senza urlare. La prima partita contro il Verona è stata indimenticabile” – Forzaroma.info – Ultime notizie calcio As Roma – Interviste, foto e video – .

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Redazione

9 giugno 2024 (modificato il 9 giugno 2024 | 12:04)

“Adesso cerco sempre di far capire ai ragazzi che è sempre il momento giusto per dire complimenti al proprio compagno anche se sbaglia, perché è quello che ho fatto io da calciatore e voglio trasmetterlo”, ha dichiarato i giallorossi. allenatore

Ieri la quinta edizione di L’esperienza dell’allenatore”, organizzato dall’AIAC. A margine dell’evento Daniele De Rossi ha parlato in modo approfondito dei suoi ultimi mesi a Roma. L’allenatore ha spiegato cosa contraddistingue il suo modo di fare e quali idee lo guidano. Ecco le sue parole riportate da Il romanista: “Se mi invitate pensando che voglio dare una lezione, torno subito sul treno e torno a casa. Semmai sono qui per imparare, per confrontarmi con tanti allenatori. L’ho fatto spesso quando ero dall’altra parte della scrivania, ogni esperienza avuta con alcuni allenatori già affermati mi ha arricchito, magari anche con quelli che non mi piacevano, perché ho capito cosa non avrei mai dovuto fare con i miei giocatori .”

Com’è andata con la Roma? “È stata un’emozione fortissima, nata in 24 ore. Sì, alcune indiscrezioni erano già uscite, ma le leggevo sui giornali e ogni tanto si leggevano cose inventate, e invece è stato tutto molto veloce e tutto molto segreto. Il primo giorno avevo programmato di fare trenta allenamenti al giorno, anche se sono una persona che gestisce bene le emozioni. Ma ricorderò sempre la mia prima partita contro il Verona, avevo tanti dubbi, ne ho ancora tanti, ma poi piano piano siamo migliorati. Adesso mi guardo indietro ed è tutto normale, ma è passato tutto così in fretta, volevo dimostrare che potevo restare lì per allontanare anche lo spettro del fallimento della prima esperienza. Magari prima sarebbe cambiato tutto”.

Sistemi fluidi o confusione? “Una frase che Luis Enrique ripeteva sempre è “Se avessi avuto più tempo, ti avrei scritto una lettera più breve”. Lo trovo bellissimo. A volte devo trattenermi per non dare tutte le informazioni. Da allenatore penso sempre a cosa non mi è piaciuto da giocatore. Ho avuto allenatori che facevano riunioni tecniche il sabato mattina, il sabato sera, la domenica mattina, poi prima di salire sul pullman, poi prima del riscaldamento e poi anche alla fine: “Secondo me questo ha trasmesso la loro opinione”. insicurezza, non quello che volevano. Poi tatticamente l’importante è non chiedere cose opposte, ne comprometterebbe la riconoscibilità. Anche quello che abbiamo fatto è stato spesso frainteso: magari dici che giochiamo a tre se il terzo è Angelino, che poi ti trova sulla difensiva. bandiera, è limitante. Per me la vera organizzazione deve riguardare la fase difensiva, bisogna saper difendere, saper andare contro gli avversari. Ad esempio, abbiamo iniziato con una grande pressione offensiva e dopo un paio di partite ho cambiato e ho detto loro: “Ragazzi, possiamo difendere anche più in basso, torniamo velocemente alla palla e vediamo, senza provare troppa pressione alta o vittorie estreme. ” E ho visto che si sentivano più a loro agio quando erano più bassi. Poi poco a poco abbiamo cercato di uscire da questa schiavitù. Il cambio è bello, ma 4-5 giocatori devono essere bravi a leggere, soprattutto a riconoscere il pericolo, cosa che a noi e a me è mancata, dopo un po’ ci hanno capito e quando perdi palla sei vulnerabile. Tutte cose che impareremo/impareremo nel tempo. Certo, se un giorno chiedo loro il 4-4-2 basso e il giorno dopo il 3-3-4 lassù li confondo. Preferisco dare certezze su posizioni, funzioni, modi di esprimere il gioco”.

Il potere al servizio degli altri. “Sono stato un buon compagno di squadra, mi dico, e non ho mai abusato della posizione di un calciatore importante, soprattutto in una città come la nostra che vive di calcio. Ho messo a disposizione dei miei compagni di squadra la potenza che avevo. Ora cerco sempre di far capire ai ragazzi che è sempre il momento giusto per dire complimenti al proprio compagno anche se sbaglia o almeno per non dare importanza all’errore, perché è quello che ho fatto io da calciatore e voglio farlo trasmetterla.”

Costruzione dal basso verso l’alto. “Non può esserci un solo modo di giocare, sarebbe assurdo. Ci credo profondamente perché penso che porti a una risposta da parte dell’avversario. Se l’avversario resta basso, addio costruzione, per esempio. Se invece vengono a prenderti devi essere bravo a riconoscere e soppesare i rischi, lo dico sempre ai ragazzi. Ho avuto un allenatore che ha cambiato un po’ il mio modo di vedere il calcio e l’ho avuto quando avevo quasi trent’anni e ci ha portato qualcosa in più anche se io ero già stato con Spalletti per esempio. Abbiamo visto il Barcellona in televisione e ce lo ha portato. Per me è stato bellissimo, ero felice con lui e anche per questi motivi in ​​Nazionale ero un giocatore già allenato. Eppure quando se ne andò ero un giocatore migliore. Per me il più grande di tutti nell’edilizia di base, anche se forse non piace a molti, è Roberto De Zerbi: se vai a prenderlo ti tira un sasso col portiere a 70 metri e le sue squadre lo sanno esattamente come e quando farlo.”

Prima squadra o squadra giovanile? “Non volevo partire dal settore giovanile. Ammiro moltissimo mio padre per quello che ha fatto. Un allenatore mi ha consigliato di partire da lì, sperimentare tutto quello che volevo, potevo sbagliare e nessuno se ne sarebbe accorto, ma sarebbe servito ai miei interessi o a quelli dei ragazzi? Avrei fatto quello che mio padre ha combattuto per trent’anni. Mi sono reso conto che la mia ambizione era più importante di quella dello sviluppo del ragazzo. Se ti rendi conto di questo non puoi allenare i ragazzi. Per me dovrebbero essere due categorie distinte. Poi, per carità, se vinci sei felice, ti fai una bella foto con la coppa a casa e sei felice, ma il tuo obiettivo non deve essere quello, bensì prendere un ragazzo e restituirlo. meglio di quando l’hai ottenuto.

La credibilità di un allenatore. “Aldo Serena di Mourinho disse una volta che nell’era dei droni chi riesce a entrare nella testa dei giocatori è trent’anni avanti a tutti. Ezio Capuano invece diceva che l’allenatore deve avere innanzitutto la capacità di suscitare nei suoi giocatori un interesse immenso e di altissimo livello. Sono completamente d’accordo. Potrei dire a un giocatore: fai questo perché sei pagato per farlo e taci. Ma ogni giocatore ha una chiave diversa e devi sapere come aprirla. E poi ti regala anche il lavoro sul campo. Quest’anno c’era un giocatore che saltava poco, osservandolo abbiamo notato che saltava con le braccia distese lungo il corpo. Ci abbiamo lavorato un po’ e i risultati si sono visti rapidamente”.

La reaggressione della palla. “Alla Roma abbiamo dati che ci fanno capire come dopo aver perso palla subiamo un tiro in porta molto velocemente. La cosa più negativa di avere questa buona fluidità in campo è il disordine che crea nelle transizioni. Quando segni magari ti fanno tanti complimenti, penso al gol di Mancini contro il Milan. E poi, se non si hanno tre o quattro “animali” fatti apposta, diventa pericoloso recuperare palla, magari anche semplicemente andando sotto palla invece di attaccare subito di nuovo. Questo è qualcosa su cui vogliamo lavorare in futuro”.

Differenze tra Ferrara e Roma? “Lavoro allo stesso modo. Andavo sempre al campo alle sette e mezza. Lì in bicicletta ci ho messo 7 minuti, adesso 40 minuti, quindi dormo meno perché mi sveglio alle sei. Ma io preparo gli allenamenti allo stesso modo, i rapporti con i giocatori, i dirigenti, lo staff, è tutto uguale. Magari in panchina alla Spal mi mettevo le mani in tasca e mi dicevano che facevo un cretino alla Roma, e nei primi giorni vincevamo tutti le partite e mi dicevano: “Guarda la sua sicurezza, mantiene anche il suo” le mani in tasca”. La percezione che lasciamo negli altri dipende dai risultati. A Roma dopo quattro partite sembrava che dovessimo recuperare il ritardo con l’Inter. Poi se vinci sei migliore e puoi apparire più umile. Ma è anche un po’ di attitudine. Ebbene, la differenza è che a Ferrara ho avuto problemi di natura umana, niente di grave, per carità, ma insomma non ero a mio agio, e un paio di volte non lo ero. sono rimasto tranquillo perché anch’io ho un carattere spigoloso. A Roma invece per fortuna mi trovo molto bene con tutti”.

L’importanza dell’autenticità. «Nella tesi sostenuta con Ulivieri (il presidente dell’Aiac che è stato sempre al suo fianco durante l’incontro, ndr) ho scritto che non mi piace alzare la voce. Ma tutto parte da ciò che penso di essere. Cerco di essere autentico, di essere me stesso. Ad esempio: i discorsi che fanno gli allenatori all’inizio di un rapporto sono sempre gli stessi, vero? ecc. “Ma a volte impazzivo perché in realtà non si comportavano così. Molti erano forti con i giocatori primaverili e deboli con gli adulti. E i giocatori se ne accorgono dopo un minuto, come quando ero calciatore. Non ho mai aggredito nessuno, pochissime volte ho litigato con qualcuno. Ti faccio l’esempio di Conte: quando si arrabbiava, era vero, si vedeva dentro che era lui, ti sputava dolore addosso e te ne riempivi dopo una brutta partita o un brutto primo tempo . Se lo copiassi sarei ridicolo. Non potevo farlo, anche se lo apprezzavo in lui. Preferisco parlare senza urlare e magari sono andato dal giocatore forte e gli ho detto “Hai fatto un pasticcio, dovresti vergognarti, devi correre di più”. Non ha bisogno di gridare, gli altri venti lo capiscono. E con lo stesso tono lo dici alla primavera. Poi mi è capitato di perdere le staffe e forse l’ho fatto anche per presentarmi un po’ meglio ai miei ex compagni… Vi racconto l’ultimo episodio, relativo al derby. Ho rispetto per la Lazio. Ma in preparazione alla partita volevo spiegargli quanto fosse importante per noi battere la Lazio, oltretutto non avevamo vinto tanti derby… Ma ho visto che il messaggio non arrivava. Allora ho cambiato strategia: ho chiesto al portoghese “quale squadra odiavi da ragazzino? Sporting Lisbona”. Al turco: “E tu?” “Fenerbahçe”. Ho fatto la stessa domanda al tedesco, al francese e agli altri e li ho accusati: “Adesso pensate che dovete giocare contro la squadra che odiavate da ragazzini e rompetela…””.

 
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