cosa significa servire? – .

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Mi piace pensare che tutti abbiamo, dentro di noi, un Giovedì Santo: per il cristiano è un pensiero vertiginoso, il creatore che, innamorato della sua creatura, si fa piccolo e si prende cura di lei come fanno i genitori con i propri figli; per il non credente potrebbe somigliare alla “confederazione di uomini”, auspicata dal compianto eroico Giacomo Leopardi della Ginestra, pronti a sostenersi a vicenda nel tentativo di opporsi alla “natura malvagia” realizzando il “vero amore”. Il racconto evangelico, che raggiunge il suo punto culminante nell’Ultima Cena, possiede una forza senza pari, che può essere apprezzata da tutti. Siamo in presenza di una svolta nella civiltà occidentale, senza la quale, per citare solo un esempio, il grande romanzo russo del XIX secolo, perno essenziale del carattere moderno, non sarebbe quello che è. Sfoglio alcuni dei miei vecchi appunti. L’indimenticabile maestro, capace di tenere insieme adolescenza e maturità, timido e sfacciato allo stesso tempo, che aveva scelto la nuda roccia della Galilea come scena del mondo, sarebbe presto partito per un luogo irraggiungibile. Negli ultimi tempi ha parlato sempre del Padre. Anche fisicamente sentiva la sua chiamata imperiosa. Dov’era la casa ancestrale alla quale sarebbe tornato? Tutti se lo chiedevano. Nel momento in cui fosse scomparso, che vita avremmo avuto? E come avrebbero ricostruito il legame spezzato coloro che lo avevano incontrato? I discepoli rimuginavano tra sé senza poter formulare ad alta voce le loro domande interiori, ma Gesù li precedeva con uno sfogo lirico dicendo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri”.

Gli apostoli, pur affascinati, non capirono. Appena furono soli, ricaddero subito nei loro vecchi errori. Quando se ne sarà andato, cosa otterrai tu e cosa avrò io? Dove finirà la tua giurisdizione e inizierà la mia? Così nascono le religioni: allo stesso modo delle aziende e dei partiti. Datemi il timone, voglio governare la barca, stabilire la rotta. Stiamo parlando degli stessi uomini che fino a poco tempo fa guardavano stupiti agli occhi del profeta? Incredibilmente sì. Stesso conio. Da apostoli a negozianti. Gesù, che era assente da qualche minuto, ritornò nella stanza e guardò i suoi amici con infinita misericordia, poi disse: «Conoscete voi i governanti di questa terra? Non devi essere così. Quindi, hanno chiesto, cosa dovremmo fare? Questa è la grande domanda che tutti ci poniamo. E allora proviamo, ancora una volta, a sbrogliare le parole che il figlio del falegname continua a rivolgerci alzando il braccio in segno di saluto prima di partire: «Guardatemi. Non sono venuto qui a questo tavolo al tuo servizio? Non ti ho appena lavato i piedi? Per questo ora ti affido l’eredità del Regno di Dio, lo stesso che mio Padre ha dato a me. Lo stesso, capisci? Te lo regalo.” Sulla carta potrebbe sembrare un compito impossibile da realizzare. Ma forse non dovremmo pensare a chissà quali imprese compiere. Il segno del cambiamento interiore richiesto dal Nazareno dovrebbe emergere dalla particolare qualità delle relazioni umane che riusciamo ad attuare, certo, con tutti i nostri pesanti limiti.

Si diventa cristiani non per affiliazione diretta, come ad esempio entrando a far parte di una setta chiusa, di un club esclusivo, di un gruppo ristretto; no, non così: diventiamo uno assumendo il peso degli altri, innanzitutto di quelli lontani da noi: nessuno escluso. Percorso doloroso, inutile nascondersi dietro un dito, ma ricco di sorprese, non proibitive. Che cosa aveva di speciale la predicazione del giovane rabbino? Nient’altro che lui: la frontalità con cui si presentava. Vieni avanti e prenditi cura di me. Diventa il mio vicario. Se lo farai, rimarrò sempre nel tuo cuore. E mi rappresenterai davanti a tutti gli altri, che, stai attento, mi riconosceranno in te. Vivrò solo se mi accoglierai. Non forzerò la mano. Ci sono cristiani che non sanno di esserlo. Ne conosco alcuni: sono quelli che mi attirano di più. Se li prendessi uno per uno e chiedessi loro dove trovano la motivazione per fare quello che fanno – cose che non riuscirei mai a fare: non voglio elencare le buone azioni, penso all’autodeprivazione – Sono sicuro che mi risponderebbero: avete capito male, non vado a messa, non vado in parrocchia, forse ho avuto un’educazione cattolica da bambino ma l’ho abbandonata presto, non era per me comunque non ho questi problemi. Eppure sono loro, i cosiddetti lontani, come talvolta vengono definiti, non tutti, ovviamente, solo alcuni, che potrebbero insegnare a molti di noi, nella vita di tutti i giorni, con i fatti e non con le parole, cosa significa veramente servire altri.

 
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