cosa significa, secondo noi – .

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L’Italia dovrebbe puntare a diventare l’haute couture del cibo: mantenendo la produzione e le quantità attuali, ma alzando i prezzi. Come fa Hermès, che infatti ha una lista d’attesa per le Birkins: aumenta i prezzi, non la tiratura». E’ l’idea di cucina d’alta modavenduto caro perché italiano – come accadeva ai tempi dei grandi marchi della moda – quello proposto da Max Mariola, social star e titolare del ristorante che porta il suo nome a MilanoDove una carbonara costa 28 euro. «È uno spettacolo», dice Mariola Corriere della Sera della sua carbonara. Non è solo un piatto, visto che si prepara al tavolo, senza contare che i costi di un affitto milanese in zona Brera concorrono al prezzo di vendita.

Ed è qui che notiamo un piccolo inciampo nella logica di Mariola – apparentemente molto corretta – che lei vorrebbe La cucina italiana torna nell’Olimpo delle eccellenze, ricercata e apprezzata come un abito da passerella. Perché nel giustificare il prezzo – tutto sommato giustificabile – della sua carbonara, Mariola non fa cenno alla qualità dei prodotti. Ed è questo ciò che dovrebbe fare la differenza nel racconto del Made in Italy: l’eccellenza, più che il prezzo.

Una Birkin, invece, non costa cara solo perché è uno status symbol: una Birkin è una borsa di enorme valore, realizzata a mano da un unico artigiano che impiega fino a 48 ore di lavoro, con un pellame raro derivante da una un’abbronzatura tutta vegetale che diventa più bella col tempo e che dura tutta la vita, e anche più di una vita.

La cucina come l’alta moda: la chiave è la qualità

La domanda, seguendo il ragionamento di Mariola, sorge spontanea: cosa ha reso l’alta moda italiana, ad un certo punto della storia, la più ambita al mondo? La competenza e l’esperienza dei nostri sarti e stilisti, la qualità dei nostri tessuti, l’artigianalità delle creazioni proposte. L’immenso lavoro che c’è dietro un abito, garanzia di assoluta eccellenza, di un prodotto che non avrebbe potuto eguagliare altrove. Tutti questi fattori messi insieme giustificavano il prezzo che persone da tutto il mondo erano disposte a pagare per un abito autenticamente italiano.

Se dobbiamo ispirarci all’alta moda per elevare la cucina italiana, questo è ciò che dobbiamo tenere a mente. Se vogliamo vendere la cucina e le materie prime italiane a un prezzo più alto, come suggerisce Mariola, dobbiamo lavorare sulla loro qualità, ancor prima della loro immagine. Tutelare le preparazioni artigianali e chi le custodisce, valorizzare le specificità regionali, aiutare le migliori produzioni a discapito di tutto ciò che non onora un concetto di “tailor made”, cibo sartoriale.

Perché una grande verità, che tutti dovremmo tenere a mente, è questa Made in Italy non vuol dire migliore a prescinderePurtroppo. Anche in Italia esistono coltivazioni intensive, coltivazioni che non tengono conto dell’ambiente e la biodiversità del territorio, la produzione industriale. Ma non è su questo che dobbiamo concentrarci se vogliamo davvero valorizzare i nostri prodotti e cercare di venderli a un prezzo più alto. Per giustificare un costo maggiore, per seguire le orme della più alta moda sartoriale italiana, è necessario aiutare chi ha a cuore la conservazione della materia prima, ma anche del territorio. Piccoli agricoltori che lavorano duro seguendo il ritmo delle stagioni, piuttosto che le richieste del mercato. I virtuosi allevatori e casari che custodiscono le antiche tradizioni di montagna e di valle, tutelando il benessere degli animali e la qualità del prodotto finale. Sono loro che possono fare la differenza, costruendo davvero un Made in Italy d’eccellenza, a misura del consumatore finale.

Ed è allora, insistendo sulla qualità, che il mondo sarà effettivamente disposto a pagare di più per un prodotto italiano.

 
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