Asti, a 30 anni dalla morte del figlio, Bruno non si arrende e fa riesaminare gli atti dalla Procura – .

Asti, a 30 anni dalla morte del figlio, Bruno non si arrende e fa riesaminare gli atti dalla Procura – .
Asti, a 30 anni dalla morte del figlio, Bruno non si arrende e fa riesaminare gli atti dalla Procura – .

Parola d’ordine: “Non mollare mai”. È ciò che ha guidato la vita di Bruno Gianoglio negli ultimi 30 anni. Giusto giusto. Perché il 16 giugno 1994 Bruno ricevette la peggiore telefonata che un padre potesse aspettarsi. Quella in cui gli raccontarono che il figlio maggiore, Roberto, all’epoca 22enne, era stato trovato morto in una cabina dello stabilimento balneare Ariston di Andora. La causa della morte denunciata è perentoria: suicidio per impiccagione.
È da quel preciso momento che il padre Bruno inizia a lottare per ottenere la verità sulla morte del figlio.
Non crede davvero al suicidio. Prima di farlo chiede che venga eseguita l’autopsia sul corpo del figlio, ma la Procura non gli verrà mai concessa. Poi chiede di avere tutti i pochi documenti e le fotografie del ritrovamento del cadavere e anche per questo dovrà insistere a lungo.

Dopo aver visto le foto e, soprattutto, mostrate a un esperto patologo forense, torna in ufficio per chiedere l’apertura di un’indagine, convinto come è sempre stato che suo figlio sia stato ucciso. Ma anche in questo caso non si accontentava mai.
Fino a pochi giorni fa, quando, dopo innumerevoli lettere e richieste alla Procura, al Presidente della Repubblica, al Ministro della Giustizia, dopo gli appelli sui giornali locali e nazionali e, anni fa, la partecipazione al Maurizio Costanzo Show, arrivò la telefonata che aspettava 30 anni fa. «Mi hanno chiamato dal tribunale di Savona e mi hanno chiesto di portare giù tutto il fascicolo riguardante la morte di mio figlio. Non sono più riusciti a trovarlo, probabilmente era distrutto – spiega Bruno Gianoglio – ma io avevo conservato tutto e ne hanno fatto una copia. Mi auguro che il pm Ferro riapra finalmente il caso e trovi chi ha tolto la vita a Roberto”.
Bruno ora ha 76 anni, è malato e ha responsabilità familiari impegnative. Ma non ha mai rinunciato a rendere giustizia a Roberto.
«Mio figlio lavorava già da un anno e mezzo in quella fabbrica che aveva anche albergo, campeggio e bungalow – ricorda – era tornato a casa per qualche mese d’inverno e poi lo chiamavano di nuovo. Condivideva una roulotte messa a disposizione del proprietario con un collega di cui non si seppe mai avere notizie. Avevo parlato con Roberto qualche ora prima che morisse ed era contento del lavoro, solo un po’ preoccupato perché non lo pagavano. Non soffriva di depressione o ansia”.
Ma non solo. «Vicino all’abitacolo dove è stato trovato morto, sotto il tergicristallo della sua macchina hanno trovato un biglietto di suicidio, ma quella non era la sua grafia e conteneva troppi errori grammaticali rispetto a come scriveva, eppure anche quello non è mai stato confermato. fatto un’indagine.”
È la mancanza dell’autopsia a sollevare i maggiori dubbi del padre.
«Dall’esame esterno del medico intervenuto a dichiarare la morte, l’unico che ha analizzato brevemente il cadavere, risulta che mio figlio aveva l’osso del collo intatto nonostante l’impiccagione e il segno del nodo scorsoio non era compatibile con una morte per strangolamento. E, per finire, anche la sedia che avrebbe usato per raggiungere la corda era in una posizione innaturale per una scena di suicidio”.
Bruno Gianoglio non lancia accuse dirette e sa che non sarà possibile effettuare l’autopsia 30 anni dopo ma conta su un’analisi più accurata delle foto scattate all’epoca. Roberto continuerà a riposare in pace nel cimitero di Casabianca, ma il padre suggerisce, ad esempio, di ascoltare la testimonianza del collega che condivideva con lui la roulotte, ora in carcere per aver ucciso il titolare dello stabilimento, un ex questore di polizia, titolare di Roberto al momento della sua morte.
“Sono esausto, 30 anni per chiedere giustizia sono tanti ed è stata una battaglia che ho portato avanti da sola”.

 
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