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in edicola con il «Corriere della Sera» il libro sulla partigianeria – - – .

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«La nostra è sempre stata una famiglia antifascista e io sono nato con l’animo “di traverso”, cioè all’opposizione, non sono una persona accomodante. Sono piuttosto un ribelle. Un partigiano, insomma. IO”. Laura Fabbri Wronowski (Milano, 1924-2023) sapeva che non le bastava essere una dissidente convinta per essere portata lassù in montagna, unica donna tra tanti quei maschi. Servivano muscoli per correre, un fisico atletico per percorrere chilometri in bicicletta; poca paura nel suo cuore, e sa come tenere la bocca chiusa. Divenne partigiano a 19 anni nella Brigata Giustizia e Libertà «Giacomo Matteotti» (nome di battaglia: «Kiky»), la storia di Laura si intreccia non solo con quella della Resistenza combattuta sulle montagne liguri, ma anche con quella della storia politica d’Italia.

Lo racconta la giornalista Zita Dazzi (Milano, 1965). Con l’anima di traverso, un volume in edicola da giovedì 25 aprile per un mese con il «Corriere», che ricostruisce la storia di Wronowski attraverso una narrazione rivolta innanzitutto ai lettori più giovani. Dazzi immagina infatti l’incontro tra Tecla, impegnata con l’esame di quinta elementare, e la sua vicina di casa. E da quella conoscenza fortuita nascerà la tesi finale della studentessa, scritta sulla testimonianza del suo nuovo, anziano amico. Tecla è una giovane donna ancora in formazione, che ha molte cose da imparare dai racconti di Laura: per esempio, che il futuro di una ragazza della sua età può essere oggi “scontato”; Quello nessuno può ucciderla per le sue ideechi può sognare un amore appena sbocciato, senza che una raffica di proiettili alla schiena glielo porti via.

Nata a Milano nel 1924, Laura era figlia di Casimiro Wronowski di Lakodovicz, nato in Dalmazia, e poi divenne giornalista al «Corriere» (che lasciò dopo l’espulsione dell’allora direttore Luigi Albertini da parte dei fascisti). E era la nipote di Giacomo Matteotti: sua madre Anita Titta era la sorella di Velia, che sposò il deputato antifascista rapito e assassinato dai sicari del Duce nel 1924. Laura nacque sei mesi prima dell’uccisione di Matteotti, ma quell’assassinio cambiò la storia della sua famiglia che, isolata da tutti , è costretto a lasciare Milano ed emigrare in Liguria: «Nessuno voleva avere a che fare con i Wronowski che vivevano con i figli di Matteotti. Era un rischio che gli italiani non volevano correre”. E nella vita di Laura c’è anche Ferruccio Parri, futuro capo del governo subito dopo la Liberazione, che lei ricorda come «uno dei padri fondatori della Patria, era il mio padrino, la mia guida quando ero giovane. Lavorava con mio padre al “Corriere”. E dovette andarsene perché non si piegava alla censura fascista”.

«Quell’Italia ordinata e severa piace a tutti. Ma non Laura. Lei è diversa. È arrabbiata, preoccupata. I suoi occhi erano chiusi su quelle braccia tese, le sue orecchie sorde alle marce. Le hanno insegnato che tutto quello che sta succedendo è sbagliato”. E così, in Liguria, entra nel tessuto della Resistenza: era il 1943 quando salì nel paese di Moconesi, in val Fontanabuona (Genova), dove iniziò a lavorare come staffetta informatrice e come infermiere tuttofare, armato di Sten. E il coraggio non manca alla partigiana “Kiky”, fin dai suoi primi passi (“Sono andata dal mio comandante, nome di battaglia “Furia”, e gli ho detto che ero pronta a fare tutto quello che hanno fatto gli uomini”). Ma anche lei conosce il dolore della perdita: la morte del ragazzo di cui si era innamorata prima di partire per la montagna. Si chiamava Sergio Kasman, «Marco», capo della brigata Giustizia e Libertà di Milano. Venduto da una spia, venne colpito alle spalle in un’imboscata in piazzale Lavater, in una gelida giornata del 1944. Sergio (medaglia d’oro alla memoria) aveva 24 anni e aveva tutta la vita davanti. Ma in guerra il futuro non esiste, la sensazione della fine imminente è il sentimento che morde tutti.

Come Laura, ci sono state molte donne nella Resistenza. Ciò che colpisce oggi dei pochi sopravvissuti è che ognuno di loro ha scelto di lottare senza fare appello al “coraggio”, al “sacrificio” (hanno rischiato la tortura, lo stupro, la morte), ma tutti parlano di una risposta “naturale”, quasi un dovere: erano mossi da un ideale così grande che oggi è quasi difficile tradurre in azione, tutelati dai nostri diritti “naturalmente” inalienabili. Bisognava farlo, ci dicono, era necessario per il bene di tutti. «“Ma te la senti? Se ti prendono ti ammazzano, ammazzano tua madre, la tua famiglia…”. Pazienza, ho risposto – dice in una videointervista al «Corriere» pubblicata sul canale Donne partigiane Vega Gori, staffettista della Spezia, oggi 98 anni -, bisogna fare qualcosa. E così ho cominciato”. Anche Flora Monti, partigiana a 13 anni della montagna bolognese, oggi 93enne, ha detto: «Ti dirò, non avevo proprio paura, si vede che avevo capito la storia di mio nonno (perseguitato dai fascisti, ed) e sentivo che avevo il dovere di fare qualcosa per quello che aveva sofferto, l’ho fatto volentieri.” E Iole Mancini, 104 anni, partigiana torturata nelle carceri di via Tasso a Roma da Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, ha ricordato il ruolo della presenza femminile in guerra: «Che cosa ciò che fecero le donne in tutta Italia fu eroico. Portavano la notizia, portavano cibo, vestiti, curavano i feriti. Guai se non ci fossero state le donne. La Resistenza non avrebbe avuto il risultato che ha avuto”.

La storia di Laura e di tutte le altre partigiane d’Italia ci ricorda il ruolo delle donne in questa guerra per tutti. Laura, Vega, Flora e Iole sono tornati da quei monti e da quelle prigioni. Ma la nostra Costituzione, come disse Piero Calamandrei nel suo discorso agli studenti (1955), è nata dove caddero i partigiani. Ragazzi, alcuni poco più che bambini, che hanno sacrificato il proprio futuro per i posteri: «Pochi considerano quanta fatica sia costato ottenere quella Carta che Parri scrisse con gli altri padri della democrazia. Pochi lo sanno quante vite e quanto dolore ci sono voluti per conquistare ciò che oggi diamo per scontato. È il rimpianto che abbiamo noi anziani in questi giorni”.

Il volume a 8,90 euro in edicola per un mese con il «Corriere»

Il romanzo di Zita Dazzi esce in edicola con il Corriere della Sera giovedì 25 aprile Con l’anima di traverso. La storia di resistenza e libertà di Laura Wronowski, in vendita al prezzo di € 8,90 più il costo del quotidiano. Si tratta di un’iniziativa volta a celebrare il settantanovesimo anniversario della liberazione dell’Italia dall’oppressione nazifascista. Il libro, che resta in edicola per un mese, racconta l’esperienza partigiana di Laura Wronowski (1924-2023): cresciuta in una famiglia antifascista (la madre e la moglie di Giacomo Matteotti erano sorelle), amica e allieva dell’azionista Ferruccio Parri, a soli diciannove anni, era entrato nelle file della Resistenza e aveva partecipato a diverse azioni nella lotta contro gli occupanti tedeschi e i loro alleati fascisti della Repubblica di Salò. La sua storia umana e politica riflette quella di un’intera generazione di giovani – a volte già ribelli come Wronowski, a volte privi di politica e cresciuti sotto l’influenza del regime littorio – che, di fronte al disastro dell’8 settembre 1943 e durante il calvario dell’Italia sotto sotto il giogo tedesco scelsero di non farsi da parte, ma di impegnarsi a rischio della propria vita per garantire al Paese un futuro migliore. Se oggi viviamo in una democrazia, per quanto imperfetta e instabile, se godiamo dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti i cittadini dalla Costituzione repubblicana, lo dobbiamo innanzitutto a coloro che impugnarono le armi per la libertà nel terribile periodo in cui l’Italia si trovò stessa divisa in due, un campo di battaglia tra eserciti stranieri. Senza il loro apporto di sangue, la rinascita del Paese dopo la disastrosa guerra voluta dal fascismo sarebbe stata molto più difficile.

Tag: edicola Corriere della Sera libro partigianeria Corriere .it

 
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