«Nella Maledetto Poeta finalmente mi sono ritrovata» – .

«Nella Maledetto Poeta finalmente mi sono ritrovata» – .
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Poeta maledetto, edito da Feltrinelli Comics, segna il ritorno di Mattia Labadessa. È un libro pieno di cose, ma soprattutto pieno degli ultimi anni della sua vita. Racconta del difficile viaggio che ha dovuto affrontare per ritrovare se stesso. Le vignette – alcune disegnate di getto, viscerali, veloci, sporche e scarabocchiate; altri più attenti e attenti, e con un significato preciso alle spalle – si alternano a poesie, e Labadessa si diverte a parlare con il suo pubblico in modo aperto, quasi spudorato, senza cercare alcun tipo di compromesso o scusa: semplicemente si mostra per questo che è , e dal periodo di profonda solitudine e incertezza passa al rapporto con i lettori e con la pagina bianca; e dall’idea di doversi coinvolgere, in prima persona, ricava il coraggio di dire esattamente quello che ha in mente.

Durante la sua assenza, Labadessa ha potuto raggiungere un nuovo equilibrio, qualcosa in cui rivedere se stesso. Come uno specchio, sì. In cui lui è l’Uomo-Uccello e le storie che mette in scena sono le sue storie di lui: quelle che ha vissuto in prima persona. Più che in ogni altro libro, in Poeta maledetto c’è un Labadessa più consapevole e maturo, sicuramente pronto a seguire la propria strada e a fare finalmente solo le cose che gli piacciono. La realtà, dice citando Paolo Sorrentino, è misera. E ciò di cui sentiamo sempre più bisogno è la nostra versione romanzata, più colorata e ricca. Perché più che vivere la vita, insiste Labadessa, è bello poterne parlare.

Come definiresti questo libro?

È difficile anche per me definire me stessa. Non so dirvi se sono un illustratore o un fumettista. Questo libro è diventato quello che è oggi non tanto per caso, ma per una precisa esigenza che sentivo dentro di me. In particolare è stato influenzato dal modo in cui mi comporto ogni volta di fronte ad un nuovo lavoro.

E tu come ti comporti?

Ogni libro, per me, è una tragedia. (ride, ndr) Non posso dirvi, adesso, di cosa si tratta Poeta maledetto. È sicuramente un ibrido, perché contiene più cose e più linguaggi, dalla poesia al fumetto. E perché provare a raccogliere la mia esperienza negli ultimi anni? Ma vi dirò la verità: poter definire questo libro non mi interessa più di tanto; in effetti, non voglio nemmeno sapere di cosa si tratta. Pensi che sia importante?

Dato il tempo che hai impiegato per finirlo e i continui cambiamenti che contiene tra disegno e scrittura, potrebbe essere interessante saperlo. Proverò a restringere il campo. Perché hai scelto di includere anche le poesie?

È una cosa relativamente nuova per me. E non parlo da lettore; Parlo proprio come possibilità espressiva. La poesia, in questo momento, sta diventando una sorta di regola nel mio modo di comunicare. Ed è del tutto involontario, credimi. Non so quanto sia bello. Forse un giorno deciderò davvero di dedicarmi alla poesia. Per me poterlo includere in questo libro è già un grande traguardo. Perché ho superato la paura di essere giudicata e di sentirmi fuori posto.

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Feltrinelli Fumetti

Da dove nasce la tua passione per la poesia?

Da un libro di Patrizia Cavalli, Il cielo, che ho letto e riletto innumerevoli volte. Poi, da quel momento, ho preso in mano solo un’altra raccolta di Pablo Neruda e ho iniziato a leggere qualsiasi cosa, senza troppe distinzioni. La poesia mi ha accompagnato in uno dei periodi più difficili della mia vita, e mi ha aiutato, in qualche modo, a gestirlo. Dedicarle spazio in questo libro è stato quasi un dovere, se vogliamo.

Il primo ad avvicinarsi alla poesia, se non sbaglio, è stato il cantante Casadilego.

Si è vero.

Glielo hai fatto leggere Poeta maledetto?

No, non sa niente. Non l’ha ancora visto. Mi ha detto che in qualche modo ho sempre scritto poesie. E a volte era davvero così. Forse era una poesia involontaria, la mia. Ma era così, aveva ragione.

Che rapporto hai con te stesso oggi?

Non mi vergogno più di me stesso e di chi sono; non come prima, almeno. Ho capito che dovevo smetterla di tirarmi addosso merda. In questi tre anni ho sperimentato la solitudine e il dolore più profondo. Nel libro c’è uno scarafaggio, e quello scarafaggio rappresenta proprio questo. In Poeta maledetto, penso che sia abbastanza chiaro che il rapporto che ho con me stesso è cambiato. C’è una libertà diversa, che non ho mai manifestato. Soprattutto nei libri. Già dalle prime pagine puoi vedere che sono pronto a fare esattamente quello che ho in mente. Forse non è libertà; Forse è stanchezza.

Mi sembra che anche il tuo rapporto con il segno sia cambiato.

Si vede, spero, la voglia di essere me stessa al massimo. Mi piace quando il disegno è sporco, poco preciso, più istintivo. E lo dico: un bicchiere progettato con entusiasmo, seguendo la propria visione, è meglio di uno rifinito con cura.

È la stessa cosa che pensa il pubblico, secondo te?

Alcune persone pensano di sapere cos’è un buon disegno, anche se non sanno come disegnare. E credono di poterti dire come disegnare bene, anche se non hanno mai studiato disegno. Ho sempre cercato di mantenere un rapporto con i miei lettori. Adesso, su Instagram, sono tornato. Molti, e non lo nascondo, quasi mi odiano per come mi comporto; altri, invece, mi riconoscono per quello che sono, mi accettano anche se faccio tardi e scompaiono. Nel libro non prendo in giro tutti i lettori; Prendo in giro quei lettori che non sono proprio affezionati a me, ma solo alle vignette che pubblico sui social. Tornando al disegno, però, sto cercando di portare avanti una – per così dire – campagna.

Dimmi.

Il disegno non è solo un disegno realistico; disegnare è tante altre cose, ed è importante capirlo e ribadirlo. E in questo libro c’è, spero, anche questo. Ci sono tavole realizzate realmente con il primo segno che ha toccato la carta, e ci sono tavole di cui mi sono occupato completamente, ritornando su di esse più volte. Quindi c’è un equilibrio. Pubblicare una vignetta con i lettori che si lamentano di disegni che somigliano a fotografie è proprio un modo per affrontare questa idea del disegno abbastanza diffusa e distorta.

Quale legame pensi che ti unisca al tuo pubblico?

Una specie di amicizia, se vuoi. Anche se resiste, ed è innegabile, ad una certa distanza. Spesso nei messaggi diretti leggo parole estremamente simili. Si preoccupano per me, i miei lettori. E sono tristi quando io sono triste. E felice quando sono felice. Quando lo leggi più volte, da più persone, ti rendi conto che c’è una connessione davvero genuina.

Quante cose hai disegnato e tenuto fuori da questo libro?

Non troppi, ma alcuni sì. E quelli che ho rimosso, a volte, li ho postati su Instagram. Come quel post in cui parlo di me e di mio fratello. Ma ci sono anche cose che ho tagliato completamente e non ho più riutilizzato.

Perché?

Perché era difficile capire l’identità di questo libro e quale sequenza di eventi seguire. Ho tagliato del materiale perché lo ritenevo superfluo; e ho tenuto fuori parecchie poesie perché non volevo rischiare di distruggere l’equilibrio di cui ti parlavo prima e che avevo raggiunto tra disegno e parole. Se fosse dipeso solo da me, e non te lo nascondo, avrei inserito almeno altre cento pagine di poesie.

Come ha reagito il tuo editore quando hai consegnato il libro?

Sinceramente mi aspettavo un po’ di perplessità da parte di Tito (Faraci, curatore di Feltrinelli Comics, ndr). Ma a parte l’evidente sollievo di aver aspettato diversi anni per ricevere questo libro finito, era piuttosto soddisfatto. Mi ha fatto tanti complimenti e mi ha sorpreso.

Cosa hai pensato quando hai finito? Poeta maledetto?

Che finalmente avevo tra le mani un libro che mi rappresentava, un libro tutto mio. Non so quante altre volte mi sono sentita così. Proprio per questo mi aspettavo un muro da Feltrinelli, e invece no, l’hanno accolto favorevolmente.

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Feltrinelli Fumetti

Stai già lavorando su qualcos’altro in questo momento?

Non adesso. E francamente non posso dirti cosa mi succederà in futuro. Mi sto aprendo a qualcos’altro. Sto cercando di lavorare al di fuori dei fumetti.

Perché?

Il problema non è il fumetto; il problema sono io. E, più nello specifico, il modo in cui mi approccio ogni volta a un nuovo fumetto. È un trauma per me, credimi. Se vi dico che non voglio pubblicare nient’altro vi dico una stupidaggine. Ma in questo momento sto decisamente faticando a firmare un nuovo contratto. Ho un background piuttosto difficile; Mi ci sono voluti tre anni per finirlo Poeta maledetto. Devo fermarmi adesso. Per rimettere in ordine le tue idee e i tuoi pensieri. Ho una consapevolezza diversa dentro di me. Molto dipenderà dal mio ritorno in fiera. Se al COMICON mi sentissi bene e a mio agio, potrei anche ricredermi.

Mi hai detto che ti stai aprendo anche ad altre cose, cose al di fuori dei fumetti. In che senso?

Non posso ancora parlarne. Ma, sia chiaro, sarà la mia prima collaborazione con un brand. E ovviamente è una cosa che mi terrorizza. Anche questa, secondo me, è la prova del mio cambiamento. Negli anni ho sempre detto di no. Mi sono chiuso in me stesso e ho rifiutato tutto. Io e il mio Birdman. Ho attraversato tutte le fasi, intendiamoci. Dal panico più profondo alla voglia di fare altro.

Disegni mai per te stesso e conservi quei disegni?

Il rapporto con il disegno è sempre problematico. Prima che fosse una costante, era la legge che governava la mia vita. Adesso è sempre più raro.

Secondo te, per quale motivo?

Non ne ho trovato uno. A volte penso che sia la mancanza di stimoli; altri, invece, che la colpa è di aver disegnato la stessa cosa per anni e anni. Non lo so, te lo ripeto. Sono certo, però, che risolveremo anche questo problema.

Sei pronto a uccidere Birdman?

Pronto no, probabilmente non lo sarò mai. Preferisco abbandonare le cose. E penso che, se necessario, farò lo stesso per l’Uomo-Uccello. Non prenderò alcuna decisione; Non mi dirò seccamente che basta. In questo momento però voglio continuare a disegnarlo e a farmi rappresentare da lui.

Proprio alla fine di Poeta maledetto, scrivi: “che beffa essere, che euforia scriverne”. È più interessante parlare della vita che viverla?

Assolutamente sì, e penso che sia così per tutti. La vita che viviamo oggi è una storia costante. Filtrato, rivisto, rielaborato. Nessuno sperimenta la realtà per quello che è; lo viviamo per quello che pensiamo che sia. Siamo tutti poeti, in fondo. E ciò che raccontiamo a noi stessi è la nostra personalissima versione della vita. Come dice Paolo Sorrentino, la realtà è povera. Ci auguriamo che tutto sia speciale e incredibile, ma non è così. Ed ecco perché, allora, troviamo il vero piacere nel raccontare le cose.

C’è qualcosa per cui vale la pena vivere? Senza doverlo necessariamente raccontare agli altri o a te stesso.

Credo nell’amore. Ma inteso nel suo senso più ampio, assoluto e universale. Amore non romantico, tra due persone. E poi, dopo quest’ultimo anno, vi parlerei dell’amicizia.

Mattia Labadessa sarà al COMICON di Napoli dal 25 al 28 aprile presso lo stand Feltrinelli Comics. Il 27 aprile alle 17, nella Sala Italia del Teatro Mediterraneo, sarà protagonista dell’incontro “Labadessa canta, parla e suda, tutto dal vivo”.

Segno di lettera

Gianmaria Tammaro è un giornalista freelance specializzato in spettacolo e cultura. Collabora con quotidiani, come La Stampa e La Repubblica, e riviste, come Esquire e Rivista Studio. È nato a Napoli, e a Napoli è stato direttore artistico della sezione CartooNa di COMICON. Successivamente diventa consulente editoriale per Lucca Comics and Games; ha diretto la prima edizione del SeriesCon di QMI, a Milano, e ha curato diversi podcast originali per Lucky Red, Circuito Cinema e MUBI. Su Fanpage tiene la rubrica Controcampo, dedicata ai produttori; su Miglior Film, invece, Dentro le nuvole dove parla di fumetti; infine, su Cinecittà News, firma Una vita da protagonista, uno spazio di approfondimento sui personaggi delle serie televisive. In Disuniti, progetto autoprodotto pubblicato apertamente su Instagram, intervista personaggi della cultura e dello spettacolo italiano.

 
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