Premio Sila 2024, a Cosenza la finalista della Decina Chiara Galeazzi presenta il libro “Poverina” – .


11 maggio 2024 13:57

Avere un’emorragia cerebrale a 34 anni. E raccontarlo in un libro, nei dettagli, dal ricovero alla riabilitazione, disegnando una serie di storie divertenti. Questa è la genesi di “Poverina”, libro di memorie di Chiara Galeazzi. Iscritto al Decennio 2024 del Premio Sila, è stato presentato ieri sera alla Feltrinelli di Cosenza dallo stesso autore. Speaker radiofonica e freelance, la Galeazzi ha trasmesso al pubblico presente, alla giornalista Giuliana Scura e al direttore di Sila Gemma Cestari la sua perenne overdose di umorismo. Spirito sagace, simpatia contagiosa, verve originale nel raccontare quella sua storia che è diventata un libro.

“La vicenda della mia emorragia cerebrale ha presentato fin dall’inizio aspetti comici – è esordita così Chiara Galeazzi con una battuta inevitabile –. Innanzitutto perché sono arrivato al pronto soccorso carico di benzodiazepine perché avevo scambiato l’ictus per un attacco di panico”. Poi, un’altra frecciata molto intelligente: «Non è facile che i libri umoristici finiscano nei premi letterari perché sono un po’ come i figli servi della letteratura. Sono paragonabili ai romanzi rosa, ai romanzi horror, questo genere è un libro che, sì, può anche avere ambizioni di argomentare, ma con il fatto che fa ridere, diventa automaticamente un intrattenimento di basso livello. Ho intitolato questo libro “Poverina” anche per ironizzare su quella letteratura motivazionale in cui le grandi tragedie vengono raccontate con il lieto fine”.

“Questo libro è una delizia – ha sottolineato Gemma Cestari – e definirlo umoristico è molto riduttivo perché è vero che questa parola viene spesso usata come diminutio e invece, ben usata, ha la straordinaria qualità di essere una lente con cui confrontarsi capace di leggere gli eventi della vita, anche i più drammatici, e raccontarli. Ci vuole un grande talento per gestire le parole e produrre questo effetto ed è un grande dono per quelli come te che ce l’hanno. Il mio consiglio è di conservare questo libro per i giorni tristi!”.

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Tre domande a Chiara Galeazzi

Il senso dell’umorismo dell’autrice milanese non l’ha abbandonata nemmeno di fronte alle nostre domande…

Non cerco scoop, ma ammettilo… hai scritto questo libro anche per toglierti la soddisfazione di etichettare gli stronzi che questa esperienza ha smascherato…

Devo dire che molto di quello che scrivo in generale, non solo in questo libro ma anche in altri ambiti, parte sempre dal mio essere arrabbiato con qualcuno e paradossalmente anche in questo libro sono costantemente arrabbiato con qualcuno. Questo non è un colpo mio, perché anche il “povero ragazzo” l’ha avuto, ma non è colpa sua. Sotto la scrittura umoristica – e la commedia in generale – ho notato che c’è sempre molto odio. E nel momento in cui riuscirai a trasformarlo in qualcosa di bello e divertente per gli altri, beh almeno tutta questa rabbia avrà avuto un senso.

L’umorismo ci salverà dalla retorica! È lo stendardo della “Poverina”. Oppure la formula magica, fai da te. Ma come hai fatto a tenerla lontana dalle tue pagine? Processo naturale o attenzione maniacale?

Quindi, mentre scrivevo era complicato. Soprattutto i parti fuori dall’ospedale, quando in realtà accadeva di meno. Perché quando sei in ospedale sei circondato da persone che fanno cose insensate, in alcuni casi, e questo è molto stimolante. La parte fuori dall’ospedale è stata un po’ più complicata, paradossalmente. Hai meno gente intorno perché sei a casa, torni alla vita di tutti i giorni. Quando stavo scrivendo quella parte e iniziavo a riflettere su quello che era successo, il rischio di diventare retorico era molto alto e quindi ho cercato di rimanere il più chiaro possibile. Nel frattempo leggevo anche grandi esempi di scrittrici che parlavano di malattia come Susan Sontag e mi sono detto: ma io non sono Susan Sontag, è inutile che mi sieda qui a fare grandi riflessioni sulla malattia. Certo, ho scritto del mio caso, più che della malattia in generale, ma non ho filosofeggiato. Ed è vero, come dici tu, scrivendo era più complicato tenere lontana la retorica.

La leggo anch’io così… la cronaca di uno spaccato sociale che spazia dalla caducità del lavoro al sincopato sistema sanitario italiano, passando per l’inevitabile ritratto generazionale dei 30-40enni di oggi…

I Millennial devono restare ovunque quando scrivono, questo è il loro difetto. Nostro, diciamo! Parlo di sanità e di complicanze sanitarie ma in un caso estremamente virtuoso come quello in cui mi sono trovato. E poi ci sono le riflessioni riguardo al “ruolo” che viene dato al paziente. Il paziente è una persona con la propria vita e io ero la persona con la propria vita all’interno dell’ospedale. E la mia vita prevede anche che, ad un certo punto, debba inviare delle fatture altrimenti non avrei più niente su cui fare. E quando sei “rinchiuso” per un mese e mezzo, anche queste cose vanno gestite. In tutto questo i medici continuavano a dirmi che era stata una fortuna aver avuto un’emorragia cerebrale da giovane! Beh, forse non avevano tutti i torti, ma in quel momento fu una cosa orribile da sentire.

 
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