Gianfranco Marrone nel Semiocene

Gianfranco Marrone nel Semiocene
Gianfranco Marrone nel Semiocene

Il rapporto con gli altri esseri viventi e non viventi, presenti o estinti, è uno dei temi a cui la nostra cultura si è maggiormente dedicata negli ultimi anni, sviscerandone aspetti, trovando percorsi, indicando soluzioni in ogni disciplina umana e non umana. Come ogni letteratura anticipatrice che si rispetti, la fantascienza ha già esplorato questi territori più di quarant’anni fa. Nel 1974 fu pubblicata la storia di Ursula Le Guinn L’autore del seme di acacia (e altri estratti dal giornale dell’Associazione Terolinguistica) in cui compare per la prima volta il termine Terolinguistica. Quarantasette anni dopo, nel 2021, Vinciane Despret pubblica Autobiographie d’un poulpe et autres récits d’anticipationdove sviluppa il seme lanciato mezzo secolo prima da Le Guin in un libro in equilibrio tra scienza e invenzione pubblicato nel 2022 in Italia da Contrasto con il titolo Autobiografia di un polipo e altre storie di animali, perché è proprio di animali, o meglio, di esseri viventi che stiamo parlando. La radice in greco antico indica l’animale selvatico, la Terolinguistica poi “designa quella branca della linguistica che si dedica allo studio e alla traduzione delle produzioni scritte dagli animali (e successivamente dalle piante), nelle forme letterarie del romanzo, della poesia, dell’epica , opuscolo o archivio.” È quanto si legge nel testo di Despret, filosofo della scienza che insegna alle Università di Liegi e Bruxelles. Dalla Terolinguistica alla Teroarchitettura, l’architettura del selvaggio, il passo è breve: Teroarchitettura “si riferisce non solo allo studio degli habitat, ma anche a quello delle diverse infrastrutture create dagli animali (strade, tunnel, segnaletica, monumenti, corridoi migratori, ecc.) ed è particolarmente interessato alla dimensione artistica, simbolica ed espressiva di questi manufatti.” L’idea di una Teroarchitettura è fruttuosa e apre universi inesplorati o quasi, perché ci sono studi notevoli sulle costruzioni animali come quelli di James Gould e Carol Grant Gould, L’architettura degli animalipubblicato da Raffaello Cortina nel 2008, ma è la prospettiva e soprattutto il nome di una possibile nuova disciplina a cambiare le cose.

Mi sono imbattuto in Teroarchitettura verso la fine di una lettura scoppiettante e variegata che non mi capitava da tempo, forse perché l’autore, Gianfranco Marrone, appartiene a quella categoria di intellettuali nati dalla semiotica, disciplina prevalente negli anni Settanta e oltre, chi, occupandosi di segni e linguaggi, finisce per occuparsi un po’ di tutto e negli animi più raffinati permette brillanti disquisizioni degne di Pindaro che rimbalzano dal pop all’erudito nello spazio della stessa riga di testo. Il libro si chiama Nel semiocene, è uscito nel 2024 per la Luiss University Press ed è uno di quei testi simili a preziosi scrigni contenenti semi che, arrivati ​​nel terreno pronto, iniziano a germogliare, creando nuovi percorsi di pensiero e di azione. All’inizio del primo capitolo troviamo un’idea che percorre tutto il libro, quella di multinaturalismo, introdotto da una sintesi gustosa e brillante: “l’idea di natura è seicentesca, quella di cultura è ottocentesca, sicché la grande spartizione tra i due ha potuto svilupparsi quasi spontaneamente – e ingenuamente – all’interno del paradigma novecentesco delle scienze umane e sociali. L’idea che da un lato, quello della cultura, ci siano gli esseri umani e le loro forme di aggregazione, mentre dall’altro, quello della natura, ci siano i non umani governati da leggi eterne nel tempo e nello spazio, è tipica del nostro Occidente naturalistico; in molte altre culture non è dato: umani e non umani vivono all’interno della stessa società. Regolato da leggi che sono sia antropologiche che biologiche. Ne consegue che, come esistono molte culture diverse, allo stesso modo esistono molte nature: idea insensata, se non blasfema, per alcuni, ma molto ragionevole per molti altri. Viveiros, a questo proposito, ha trovato vere e proprie forme di allevamento in alcune etnie amazzoniche multinaturalismoun termine che recentemente ha cominciato a essere preso molto sul serio”.

Viveiros de Castro, Ingold, Descola, Latour sono i compagni di viaggio raffinati e selezionati che spesso ci accompagnano durante il viaggio del testo, che mi ha fatto pensare ad un viaggio in cui attraversiamo territori diversi e ci fermiamo, scendiamo, camminiamo, parliamo persone e ripartiamo con la voglia di trattenerci ancora un po’ ma già con lo sguardo rivolto alla prossima meta, mentre ascoltiamo i pareri del gruppo di compagni tra i quali l’autore fa da mediatore, dando la parola a uno e a dall’altro compaiono tanti animali ma soprattutto tanti punti di vista che sgretolano le nostre piccole certezze occidentali. Ad un certo punto del viaggio, Eduardo Viveiros de Castro, uno dei nostri compagni più loquaci, citando il Storia delle India, scritto nel 1526 da Gonzalo Fernandez de Oviedo, ci racconta come “Gli spagnoli, incuriositi dagli abitanti di quei luoghi, istituirono commissioni d’inchiesta per decidere se gli indios avessero o meno un’anima, e se potessero essere considerati persone a tutti gli effetti umano. Come noi. Gli indiani, dal canto loro, immergevano i prigionieri bianchi sott’acqua, per esaminare attentamente le trasformazioni fisiche dei loro cadaveri, al fine di capire se quei corpi fossero in putrefazione oppure no; e se, per questo motivo, potessero essere considerati esseri umani a tutti gli effetti. Come loro.”

Marrone prosegue: “non esiste la natura, non esiste la cultura, così come, più che altro, non esiste un modo univoco per separare questi due ambiti. Per noi occidentali la natura è una ed una sola, la base fisica e biologica da cui si costituiscono le varie culture come altrettanti modi per distaccarsi da essa. Per molte altre etnie, invece, le cose non stanno così. Per loro, ciò che è unico è la cultura, mentre le nature sono molteplici”. Parlando di prospettivismo, concetto chiave nel pensiero di Viveiros de Castro, emerge l’idea che “siamo tutti o prede o predatori (oggetti mangiati o soggetti mangiati, come tradotto dal grande matematico francese René Thom). Da qui la molteplicità e la variazione costante dei punti di vista, che a loro volta dipendono dalla posizione e dal ruolo dei corpi in determinate circostanze”.

Dopo l’apparizione di René Thom che porta con sé la teoria delle catastrofi, mancherebbe solo l’altro grande francese, Edgar Morin con la sua complessità, per fare del gruppo uno dei più fruttuosi per lo sviluppo del pensiero nei prossimi anni, visto che ognuno di essi aggiunge un passo verso l’abbandono dei modelli di riferimento che ci hanno accompagnato negli ultimi secoli. Tra le cose che stiamo sicuramente abbandonando c’è l’idea antropocentrica del mondo di cui stiamo scoprendo tutte le sfumature più nascoste e in questo abbandono (anche Dio è ormai una nostalgia) è come se cercassimo consolazione nella nuova famiglia a cui scopriamo di appartenere, quello di tutti gli esseri viventi e in particolare quello dei nostri vicini più prossimi, i mammiferi. È con una sorta di sollievo che li vediamo sempre più simili a noi, anche nelle passioni scatenate dalla gelosia, uno dei sentimenti che credevamo esclusivi dell’uomo. Marrone prende spunto da un delitto passionale avvenuto tra oranghi nel luglio 2014 nella giungla del Borneo indonesiano, per analizzare come questo evento è stato riportato sia dalla comunità scientifica che dalla stampa. Kondor, una quindicenne, ha aggredito e ucciso la matura Sony, trentacinquenne, perché Ekko, il maschio con cui aveva una relazione, si è avvicinato a lei e ha annusato nei posti sbagliati. L’analisi di Marrone prende svolte diverse e inaspettate, dal ruolo attivo delle due femmine in spregio a tutte le teorie sui maschi alfa alla contrapposizione tra testi giornalistici e scientifici. Un altro primate, quello del racconto di Kafka “Una relazione accademica”, è il protagonista di uno dei capitoli del libro, dove una scimmia si prende infatti gioco degli uomini che le hanno insegnato a parlare e a comportarsi come loro. Al di là delle dettagliate e gustose considerazioni di Marrone, trovo significativa la presenza preponderante del discorso sugli animali che pervade l’intero testo.

Ma tra tutti i semi che Marrone ha seminato a piene mani, quello che ha cominciato subito a germogliare in me è stato sicuramente quello di Theroarchitecture. L’architettura della natura ha dato un nome a una serie di intuizioni che sto sviluppando da tempo e che coinvolgono insieme ad altri molti dei compagni di viaggio che ci hanno accompagnato nel testo di Marrone. Ma questa è un’altra storia.

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV Un QR Code fa rivivere l’imperatore Federico II nel libro “Repubblica” – .
NEXT “Agrifoglio”. Miglior libro al Premio Andersen Italiano – .