Pfas, le mamme parlano al processo di Vicenza – .

«Non era facile parlare dei propri problemi di salute e familiari, delle proprie preoccupazioni, in un’aula di tribunale. Ma andava fatto, però sensibilizzare sui rischi a cui è esposta la comunità, a causa della presenza dei Pfas in ogni aspetto della vita quotidiana“, Lui dice Cristina Cola, portavoce del gruppo Mamme NoPfas. In molti si sono schierati parte civile nel processo in corso alla Corte d’Assise di Vicenza per accertare la responsabilità dell’inquinamento delle acque da parte delle sostanze perfluoroalchiliche, gli interferenti endocrini responsabili di gravi patologie (leggi l’intervista all’endocrinologo Luca Chiovato al link: https://www.vita.it/lendocrinologo-cosi-i-pfas-avvelenano-il-nostro-corpo/), tra le province di Vicenza, Verona e Padova. «Al di là delle patologie, abbiamo spiegato come ci si sente a sapere di avere sostanze estranee nel proprio corpo, sapendo che i nostri figli le hanno. Sono pensieri difficili da sopportare e da condividere».

Consapevolezza

La contaminazione della falda acquifera, che interessa un bacino di 350mila persone, ha radici lontane. Rimar, acronimo di Ricerche Marzotto, nasce nel 1965 a Trissino, in provincia di Vicenza, che produce sostanze chimiche utilizzate per impermeabilizzare tessuti e pellami: sono i precursori del Pfas. Nel 1988 l’azienda fu acquisita da Enichem e Mitsubishi e prese il nome di Miteni. Nel 2009 è stata rilevata, all’incredibile prezzo di 1 euro, dall’International Chemical Investors Group – ICIG, visto che il costo reale sarebbe stato quello della bonifica ambientale. Dalle indagini dell’Unità Operativa Ecologica – Noe di Treviso, è emerso che più volte, tra il 1990 e il 2009, Miteni aveva valutato lo stato di inquinamento del sito e cercato possibili soluzioni per contenere l’inquinamento, senza però mai comunicarne i risultati. delle proprie indagini agli organi competenti.

Solo nel 2013 uno studio realizzato dal Cnr e Arpa Veneto per il Ministero dell’Ambiente ha portato alla luce la notizia dell’inquinamento. E nel 2014 l’Istituto Superiore di Sanità – ISS ha fissato per la prima volta i limiti per le sostanze perfluoroalchiliche nell’acqua potabile. «All’epoca il problema non era noto. Gli stessi medici di famiglia e il personale sanitario si sono rivelati impreparati a rispondere ai dubbi dei pazienti. Il dottor Vincenzo Cordiano, che aveva avvertito di pericoli per la salute, è stato sottoposto a procedimento disciplinare. E noi ambientalistiche abbiamo cercato di creare occasioni di approfondimento insieme a Medici per l’Ambiente – Isde, siamo stati accusati di allarmismo”, dice l’avvocato Enrico Varali, difensore di Legambiente e tra i fondatori del circolo Perla Blu di Cologna VenetaParti civili nel processo di Vicenza.

Mamme in campo

Quando, con il piano di sorveglianza sanitaria intrapreso dalla Regione Veneto, furono riscontrati valori altissimi di PFAS nel sangue dei bambini della zona rossa, i più contaminati, le mamme reagirono e, dal basso, si formò un grande movimento cittadino che chiedeva acqua pulita e giustizia. «Ad agosto 2018 ci siamo organizzati una manifestazione davanti alla Procura di Vicenza, per incoraggiare i magistrati a proseguire le indagini e aprire un procedimento penale”, ricorda Cristina Cola. «Ci ​​siamo alternati, eravamo in tanti e in tanti ci hanno portato da mangiare e da bere per sostenerci. La gente ci ha sostenuto, non ci siamo sentiti soli. Stavamo dimostrando che c’era interesse da parte della popolazione ad andare a fondo della questione e ad accertare le responsabilità».

Alcune settimane dopo, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di quindici dirigenti della Miteni, appena dichiarata fallita, dell’ICIG e della Mitsubishi per reati di inquinamento ambientale, avvelenamento delle acque e disastro ambientale senza nome, oltre che per reati di bancarotta.

«Come mamme abbiamo deciso di costituirci parte civile. Era l’unico modo per essere parte attiva del procedimento. Abbiamo fatto campagne di raccolta fondi per pagare spese legali e consulenti. Per molti di noi è stato e continua ad essere un grande impegno, che toglie tempo al lavoro e alla famiglia, ma lo facciamo perché è nostro dovere. Ed è giusto che noi, i più contaminati, ci mettiamo a disposizione della scienza affinché si possano studiare le conseguenze di queste sostanze nell’organismo umano», continua Cola. Tra i consulenti delle mamme è stato chiamato anche il professore Philippe Grandjean, dell’Università della Danimarca Meridionale, uno dei massimi esperti di Pfas al mondo. «Quello che abbiamo capito, in questi anni, è questo siamo noi che dobbiamo prenderci cura del nostro territorio, perché non sempre le autorità preposte lo fanno. Credo che questa consapevolezza sia cresciuta anche a livello generale”. Ma le iniziative di sensibilizzazione continuano, per non far diminuire l’interesse verso il problema: recentemente le mamme si sono ritrovate nelle piazze portando bancarelle di fiori e piante. «È un modo per dire che siamo ancora qui. C’è bisogno di farsi vedere, di continuare a combattere le sostanze invisibili, incolori, inodore e insapore. La nostra è una lotta che non fa notizia, anche perché va contro gli interessi del settore”.

In attesa della sentenza

La sentenza di primo grado potrebbe arrivare entro l’anno. Se non sono in discussione l’inquinamento e il luogo da cui ha avuto origine, la difesa degli imputati sottolinea che fino a pochi anni fa non sarebbero stati consapevoli della pericolosità dei PFAS e della mancanza di limiti nelle acque. «Abbiamo ottenuto che venga valutata non solo la responsabilità dei manager, ma anche quella delle aziende, che certamente hanno le risorse finanziarie per rispondere a un danno ambientale così pervasivo. E’ già un grande risultato”, commenta Varali. «Siamo di fronte a uno dei casi di inquinamento ambientale più importanti in Italia, perché colpisce un numero molto elevato di persone: quelle servite dalla falda acquifera, ma potenzialmente anche tutte quelle colpite dalla filiera agroalimentare».

Alla Corte d’Assise di Vicenza

Varali osserva che, nel giro di pochi anni, la vicenda Pfas ha aumentato la consapevolezza e la forza della società civile nell’affrontare i problemi ambientali. Infatti, se il processo è iniziato, è stato grazie alla pressione dell’opinione pubblica. E negli ultimi anni gli studi e le pubblicazioni scientifiche si sono moltiplicati. Resta aperta la questione su chi pagherà la bonifica del sito, dopo il fallimento di Miteni.

Episodio n. 2

Le foto sono tratte dal gruppo Facebook Mamme NoPfas

 
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